Almanacco 2021

di Monini Francesco

Il venditore di almanacchi

Tra gli auguri per l’anno nuovo arrivati negli ultimi spiccioli di questo drammatico 2020, mi ha colpito un messaggio di un amico di Monaco di Baviera, innamorato dell’Italia. Una breve citazione che molti non faticheranno a riconoscere: «Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?». Così Il venditore di almanacchi cerca di convincere Il passeggere Giacomo Leopardi. E tutti noi. Un’ultima speranza? O invece un’estrema fallace illusione? Conosciamo la risposta assoluta di Leopardi. E sappiamo (basta guardarci intorno) quanto il suo pessimismo sia pieno di verità e di attualità. Eppure dobbiamo puntare sulla speranza. Sperare: altrimenti non potrebbe nascere e vivere La ginestra, il fiore del deserto. Altrimenti nulla avrebbe un senso. Un vaccino democratico? Dopo dieci mesi di pandemia – e ancora non è assolutamente finita – questa speranza ha assunto il nome di vaccino. Dal 27 dicembre sono incominciate in tutta Europa le vaccinazioni, in alcuni paesi qualche giorno prima. Il vaccino è arrivato in tempi record, con sei mesi di anticipo. Il vaccino, o per meglio dire, i vaccini, perché ne sono stati fabbricati più di uno dalle grandi multinazionali farmaceutiche e risultano in qualche modo tra loro concorrenti. Quando mi chiameranno, anch’io faro il vaccino, non sono un disfattista negazionista, ma sul vaccino mi rimangono due domande e una perplessità di fondo. La prima domanda: questo vaccino sarà un vaccino “democratico”? Garantirà protezione a tutti, a cominciare dai più deboli, dai vecchi, dai malati, dagli abbandonati? Sono proprio loro, gli ultimi, che hanno subito molto più degli altri il flagello della pandemia. E ora – secondo i proclami della politica – gli ultimi diverranno i primi a essere vaccinati? Su questo confesso di nutrire molti dubbi.

Vaccini e profitti

La seconda domanda è su chi e quanto si arricchirà con i vaccini. Che si tratti di un enorme affare l’abbiamo capito tutti. Affari illeciti (come successe per accaparrarsi le introvabili mascherine) perché su ogni grande affare si muovono speculatori, tangenti, accordi sottobanco. Ma anche e soprattutto affari leciti, parlo cioè degli enormi guadagni delle case produttrici che possono fissare a piacimento il prezzo per il loro preziosissimo prodotto. Non a caso in borsa le quotazioni della Pfizer e di altre case farmaceutiche sono salite alle stelle. Affari leciti, ho scritto. Perché così succede normalmente nel nostro sistema economico basato sul profitto e sulla concorrenza: quel capitalismo vorace che è rimasto l’unico sistema economico in campo. Anche oggi, anche davanti a un milione e mezzo di morti, abbiamo visto che «lo spettacolo doveva continuare»: il grande capitale che aumenta i profitti e la politica che si mette in coda per avere i vaccini a qualsiasi prezzo. Ma davvero doveva andare così? Davvero dovevamo battere la solita strada? Davvero questa grande tragedia non ci poteva insegnare un altro modo in cui la vita delle persone veniva al primo posto? Sarebbe stato bello e giusto che sui vaccini nessuno potesse trarre profitto. Che tutti i governi del mondo imponessero alle case farmaceutiche di acquistare i vaccini al prezzo di costo.

La nostra speranza

Speravo in un vaccino più democratico. E non riesco a dare al vaccino la corona d’alloro. Non riesco a credere che la nostra speranza sia nel vaccino e solo nel vaccino. E non tanto perché il virus, come ha già dimostrato, può mutare. O perché fra qualche mese, o qualche anno, potrà arrivare un Covid-20 o un Covid-31. La nostra speranza è in cambiamenti strutturali (lo ricordava Gino Strada in una bellissima e durissima lettera al quotidiano La Stampa). Prima di tutto in una sanità pubblica, in ospedali e in una sanità territoriale efficienti, in assunzioni di molti nuovi medici e infermieri. Se infatti l’Italia ha raggiunto il triste primato di morti in Europa (oltre 90.000) è perché negli ultimi 10 anni la nostra sanità pubblica ha subito tagli per 37 miliardi di euro. La nostra speranza sta in un grande investimento nella scuola, nella ricerca e nei servizi di assistenza pubblica. Tutti settori dove il nostro paese figura agli ultimi posti in Europa. Ce l’eravamo detti nei primi mesi della pandemia: come ne usciremo? Come cambieremo? Impareremo qualcosa da questa tragedia o torneremo a fare i medesimi errori? Purtroppo, seguendo la quotidiana zuffa politica e mediatica tra governo e opposizioni e tra regioni e Stato centrale, non sembra che la nostra classe dirigente si stia ponendo il problema di cambiare radicalmente un sistema economico sempre più votato alla ineguaglianza.

El Pibe de Oro

Pochi giorni prima della morte del nostro campione domestico Paolo Rossi, se n’è andato Diego Armando Maradona. La scomparsa del Pibe de Oro ha conquistato le prime pagine di tutti i media del mondo. Ma quello che più mi ha colpito sono state le spontanee manifestazioni popolari. In Argentina piangevano in migliaia, i tifosi, anche gli acerrimi avversari di opposte fazioni si abbracciavano. A Napoli, la sua Napoli, un’immensa fiaccolata in suo onore. Maradona è stato il più grande? Più grande di Pelé? Forse sì e forse no. Sono classifiche un po’ inutili. Quello che è certo è che Maradona è stato, ha rappresentato qualcosa di molto di più di un calciatore dal talento purissimo. Non ci ha commosso la sua grandezza, ma la sua umanità: i suoi errori, i suoi difetti, le sue tante strade perse, persino i suoi vizi. E il suo cuore di miliardario di borgata.

Francesco Monini

direttore responsabile di Madrugada