Individuo, persona, comunità

di Lazzaretto Monica

Individuo e persona: interscambiabili?
Oggi, nel sentire comune, i termini individuo e persona sono utilizzati come equivalenti; è abbastanza usuale fare riferimento a una persona come individuo e a un individuo come persona. Tendiamo a usare queste parole come sinonimi e possiamo trovarli entrambi interscambiabilmente in un unico paragrafo di scrittura. Ma questi termini sono davvero uguali? Trasmettono lo stesso significato o esistono differenze tra una persona e un individuo per giustificare l’esistenza di questi due parole così diverse? È un argomentare che nelle diverse discipline, e fin dall’antichità, ha impegnato filosofi, sociologi, e più recentemente psicologi, economisti e biologi.
Etimologicamente la parola individuo deriva dal latino individuus, parola composta dal prefisso in- privativo e dividuus, «diviso»: è il lemma corrispondente alla traduzione latina, fatta per la prima volta da Cicerone, del termine greco ἄτομος (composto di ἀ- privativo e tema di τέμνω, «tagliare»). Individuo, quindi, vuol dire indivisibile ed è usato in filosofia per indicare che ogni singolo essere ha caratteristiche tali, un’individualità appunto, che lo rendono unico e lo differenziano da tutti gli altri esseri della stessa specie.
Nel suo significato più generale, la parola individuo indica ogni singolo “ente” in quanto distinto da altri della stessa specie. In particolare, in biologia, è un individuo ogni organismo vivente, animale o vegetale, che non può essere suddiviso senza perdere le sue caratteristiche strutturali (il complesso di tutti gli individui che hanno le stesse caratteristiche costituisce una specie). Nel linguaggio comune, la parola individuo indica l’uomo, considerato genericamente, singolo elemento di una collettività, spesso connotato, a torto, anche con un tono spregiativo.
L’etimologia della parola persona intreccia, invece, etimi diversi ma convergenti: è legata al verbo latino personare, formato da per = attraverso e sonare = risuonare. Ci si riferiva agli attori del teatro classico che «parlavano attraverso» la maschera lignea che indossavano in scena.
Un’altra interpretazione etimologica della parola persona individua le origini del termine nell’etrusco φersu, e nell’indi φersuna, che indicano comunque sempre “personaggi mascherati”, a loro volta derivanti dal greco πρόσωπον (prósōpon) che indica sia il volto dell’individuo sia la maschera dell’attore e il personaggio rappresentato.
Un ulteriore riferimento etimologico della parola persona deriva dal latino pars, nella sua accezione di parte, funzione, ruolo di un personaggio. Tutte queste interpretazioni individuano, comunque e concordemente, nel mondo del teatro classico, l’origine della parola persona, legata alla maschera necessaria per permettere il riconoscimento del “personaggio” sulla scena, il suo ruolo, l’espressione delle sue specificità, l’insieme di qualità, di tratti caratteriali che contraddistinguono la sua maschera che “per-sona”, suona attraverso quel volto ligneo, in relazione con gli altri, per narrare una storia a volte commedia, altre volte tragedia.
L’uomo, dunque, è individuo in quanto unico, singolare e irripetibile ed è persona e come tale non può trovare compimento solo in sé stesso, a prescindere cioè dal suo essere con e per gli altri. Essere “persona” significa essere e porsi in relazione con l’altro e con il mondo, esplicitando chi si è, il proprio carattere, mondo valoriale e sensibilità, per tendere a realizzare il vero e il bene come singolo e come comunità (bene comune).

Comunità: tra contesto, vincolo e dono
Altra parola il cui complesso significato va ri-scoperto e ri-generato è comunità. Questa parola deriva dal latino com-munis che ha almeno tre riferimenti etimologici: moenia che significa mura, recinto, munia che richiama i doveri, i vincoli, e munus: il dono. Si fa allora esperienza di comunità quando si hanno rispettate e assolte queste tre dimensioni che la caratterizzano: ci si sente all’interno di uno spazio comune (mura-moenia), si accetta di sottostare a delle regole, a dei vincoli (munia), vengono operati al proprio interno degli scambi attraverso doni (munus), nella dimensione e nella pratica del gratuito. E queste caratteristiche specifiche riguardano tutte le diverse forme comunitarie: da quella più piccola, familiare, a quella scolastica, a quella territoriale, a quella terapeutica.
Mai come oggi è fondamentale e strutturante fare esperienza di comunità nel rispetto di ogni individuo/persona, perché è una concreta risposta a un orizzonte di liberazione come possibilità di vita nuova, ogni giorno, dentro al quotidiano, per ognuno di noi.
Fare esperienza combinata di contesto comunitario, condivisione valoriale e di scambio gratuito, donazione, educa a una visione ospitale e di frontiera che insegna a stare in una dimensione dinamica di identità, accoglienza e appartenenza, che può permettere ogni giorno di superare le contraddizioni e ricucire gli strappi.
È una pratica di condivisione che chiede l’esercizio fedele della non violenza nel senso che prova a prevenire la violenza, spesso implicita, che si sperimenta quando si toglie il tempo e la parola che servono per costruire lo spazio della relazione e dell’agire comune. Fare comunità è rispondere concretamente all’appello, profondamente umano, che ogni giorno chiede riconoscimento di sé e della propria possibilità o sofferenza, cercando di non restare anestetizzati al dolore degli altri. È esperienza della possibilità di essere-con-altri nella vita, per provare a s-velarci.

Monica Lazzaretto presidente di Macondo, vive a Tramonte (Pd), lavora a Mira (Ve), come responsabile del centro studi della Cooperativa Olivotti scs

monica lazzaretto

Monica Lazzaretto

Jedi Mastresponsabile del centro studi della Cooperativa Olivotti scs

presidente di Macondo