Le fake news tra invenzione, distorsione ed esagerazione

di Lazzaretto Monica

«Ciò che turba gli uomini non sono le cose,
ma le opinioni che essi hanno delle cose».
Epitteto

La manipolazione dell’informazione

Con il termine fake news si intendono tutte quelle notizie false che o inventano ex novo le informazioni, o producono contenuti ingannevoli o, ispirandosi a notizie vere, arrivano a distorcerle in modo esagerato. Si usa genericamente la parola fake dunque per riferirsi a notizie inventate, fuorvianti, esagerate, tre significati diversi che, allo stato attuale, fanno invece tutte capo alla medesima, generica, espressione, come sottolinea Margaret Sullivan, media editor del Washington Post, che ritiene questa locuzione inglese ormai troppo generica per indicare fenomeni così diversi tra loro, tanto che propone di abbandonare del tutto questo modo di dire.
La manipolazione dell’informazione non è certo un fenomeno recente, ha una storia che parte da lontano: una delle più famose notizie false data nel IV secolo e fu conosciuta come la “Donazione di Costantino”: l’atto di donazione che l’Imperatore Costantino I il Grande avrebbe fatto a papa Silvestro I cedendo non solo un territorio vastissimo, compreso Roma, ma soprattutto il potere temporale, che sanciva il dominio politico del papa su tutti gli imperi. Falso storico sbugiardato quando Lorenzo Valla nel 1440, con dovizia di particolari e mettendo a frutto i suoi approfonditi studi di filologia, storia e retorica, ma più ancora esercitando lo spirito di uomo libero, scrisse Il Discorso sulla falsa e menzognera donazione di Costantino.
L’uso manipolatorio delle informazioni è passato, nei secoli, attraverso diverse modalità, per esempio famosi i “canard” (pettegolezzi), fogli distribuiti nelle strade di Parigi con notizie spesso ingannevoli; i giornali londinesi di fine ’700, quando, secondo Robert Darnton, storico statunitense che ha ricostruito la storia della disinformazione a partire dal VI secolo d.C., le notizie false hanno raggiunto il proprio apice.
È certo però che la complessità del fenomeno della disinformazione attraverso la diffusione di fake news ha assunto nella contemporaneità caratteri esplosivi, soprattutto nel web dove social networks o motori di ricerca forniscono agli utenti informazioni più o meno vere in tempo reale dando più risalto al singolo contenuto (un titolo sensazionalistico, una bella foto) che non alla fonte che l’ha prodotto. E questo elemento gioca molto a favore di siti che producono per l’appunto “fake news” per scopi di clickbaiting (acchiappaclick o esca da click). Il clickbait è strettamente connesso al concetto di fake news e indica un contenuto web la cui principale funzione è di attirare il maggior numero possibile d’internauti, per influenzare l’opinione altrui per finalità altre dalla mera comunicazione e che vanno dalle cospicue rendite pubblicitarie online, a campagne di propaganda politica, o disinformazione sanitaria, sociale ed economico-finanziaria.
Sono mille i motivi e gli interessi per cui non si sbaglia se si pensa che il lievito del mondo del web sia in parte la falsità e sono ancora basse le competenze personali e sociali per potersi difendere e riconoscere, con una certa velocità e sicurezza, la notizia falsa, manipolata o esagerata. Pochi sanno verificare alla fonte, o dedicano il tempo necessario per cercare riscontri, per evitare di essere influenzati nelle decisioni e nelle proprie opinioni, per non cadere in un’adesione acritica e sbrigativa alle dis-informazioni che girano, rischiando di diventare complici di un sistema di diffusione che ci vede attori superficiali e distratti di un passaparola di notizie ritenute, a volte, anche solo sufficientemente plausibili.
Notizie che creano grandi confusioni, che mescolano e impastano assieme episteme e doxa, che sanno fare perno sull’emotività e sulle convinzioni condivise dall’opinione pubblica, prescindendo del tutto, o in parte, dalla conformità con il reale in un mondo sempre più digital oriented.
Anche qui è opportuna un’ulteriore distinzione tra il concetto di disinformazione, che implica la creazione e condivisione consapevole di informazioni che si sa essere false, da “misinformazione”, ovvero condivisione involontaria di informazioni false, che può capitare anche a chi non ha l’obiettivo di ingannare chi legge.

Perché le fake news si chiamano bufale?

Se il web è ormai una prateria senza confini noi abbiamo le nostre “bufale”. Da dove deriva questo modo di dire? Su questo tema viene in soccorso l’Accademia della Crusca che al termine “bufala” riconosce come significato anche quello della notizia falsa. Ma come mai? Secondo gli accademici della Crusca, questo modo di dire potrebbe derivare da «menare per il naso come una bufala», ossia portare a spasso il lettore, prenderlo in giro, trascinandolo come si faceva con i buoi e i bufali, ossia tirando l’anello che hanno attaccato al naso. E questo può essere un primo significato, figurativamente efficace perché si collega e si rinforza anche rispetto a un altro modo di dire, estremamente comune e simile: “essere preso per il naso” che significa, appunto, essere presi in giro.
Un’altra spiegazione possibile viene sempre riportata dalla Crusca, che ricorda che nell’antica Roma l’espressione: «ma questa è una bufala» divenne popolare quando i cittadini si accorgevano che i macellai disonesti vendevano loro carne di bufala spacciandola per la più pregiata carne di vitella.
Pare comunque che bufala nell’accezione di falso, fregatura, sia una nuova acquisizione e non risulti registrata prima del XX secolo.

Le fake non nascono dal nulla

Le fake news non nascono dal nulla… hanno una storia antica, non sono solo un sistema distorto della comunicazione esterno a noi, che ruota intorno a noi, ma sono anche dentro di noi, hanno anche a che fare con alcune inclinazioni personali e interiori.
Facciamo infatti i conti con la falsità e le sue numerose sfumature anche personalmente, perché si impasta con le nostre difese, si nasconde nelle nostre rimozioni, negazioni, resistenze, fa capolino con i nostri desideri e le nostre incoerenze più nascoste e non dette, spesso non ammesse. Ognuno è infatti impegnato a riconoscere e gestire margini slabbrati di ambiguità personali, che permettono di far vivere dentro di noi – tramite meccanismi di micro-scissioni – identità molteplici, faticosamente o difficilmente conciliabili, che oscillano tra il vero e il falso, e a volte ci portano a eludere il conflitto interiore e la fatica che la coerenza necessariamente comporta.
Condivido la riflessione di una importante psicanalista, Simona Argenteri, quando afferma che le fake così demonizzate hanno spesso gioco facile nell’uomo perché «siamo tutti un po’ bugiardi, inconsapevoli creatori di fake news: nella migliore delle ipotesi lo facciamo per proteggerci, per consolarci e comunque senza cercare un tornaconto. Ma, come si sa, non è sempre così. Quali sono i meccanismi che regolano il nostro rapporto psicologico con il vero e il falso? E qual è il grado di “ambiguità” che possiamo permetterci senza troppe conseguenze per noi e per gli altri?». Sta di fatto, incalza la Argentieri, che «continuamente ci troviamo a “scegliere”, tra le tante versioni possibili dell’interpretazione della realtà, quelle che meglio corrispondono ai nostri desideri, ai nostri pregiudizi, al nostro bisogno di scongiurare angosce e paure, o, più banalmente, alla nostra pigrizia».
Sembrava allora visionaria l’affermazione che Roger MoneyKyrle, altro importante psicanalista, fece nel 1960 quando ancora non c’era il web, e nemmeno l’esperienza drammatica di un virus aveva segnato la storia del dopoguerra: «Le falsità, le imposture, i pregiudizi si comportano a livello sociale come i virus: non solo tendono a conservare sé stessi, ma si diffondono agli altri per contagio, poiché per sopravvivere hanno bisogno di “ospiti”. È inoltre evidente che rischiamo di essere contagiati da un’idea sbagliata quanto più siamo inclini, mentalmente predisposti all’infezione».

Monica Lazzaretto

presidente di Macondo, vive a Tramonte (Pd), lavora a Mira (Ve), come responsabile del centro studi della Cooperativa Olivotti scs