Ebrei

di Cavaglion Alberto

Rompere con i luoghi comuni

Il rapporto maggioranza­minoranze è mutato negli anni. La minoranza religiosa non esclude, supponiamo, l’appartenenza politica ad un partito di maggioranza, o viceversa. Gli storici del diritto ci insegnano che il concetto di minoranza muta nelle società complesse. Le storie delle minoranze, per conseguenza, non possono più essere unidimensionali, ma si debbono riconoscere fenomeni di reciprocità, che del resto, nella storia ebraica non sono mai mancati, né gli storici, per esempio del Rinascimento, li hanno trascurati. Solo per la contemporaneità si pensa che non possa sussistere osmosi e continua a prevalere il gusto per le storie "a una dimensione", gli stessi ebrei pensano ad una linea di confine molto marcata. L’impegno politico, che una volta era per tutti più fortemente marcato dall’appartenenza, ora sembra condizionato dalla crisi più generale entro la quale si trova immersa la società italiana nella sua globalità. La minoranza, le minoranze, nelle società contemporanee, assumono dalla maggioranza raramente le virtù, più sovente i limiti, purtroppo. Che in Italia significa poi, a dirla sinceramente: la disponibilità al compromesso, l’accettazione del senso comune, il rifiuto ad infrangere certi tabù, l’incapacità di dire «Mi sono sbagliato»… Nell’esame di cosa è stato, per esempio, il legame ebrei­fascismo, gli ebrei italiani sembrano ritardare alle calende greche quell’esame di coscienza rinviato a data da destinarsi dagli italiani tutti quanti. Poiché si vive in una società omologata, non si vede perché il fenomeno non dovrebbe riguardare gli ebrei. Il problema è serio e riguarda altre questioni di stretta, strettissima attualità, per esempio l’idea stessa di laicità, che non potrà più essere quella degli anni cinquanta o sessanta, quando trovavamo gli ebrei in prima linea nella lotta contro il Concordato e l’articolo 7, mentre oggi, avendo accettato l’8 per mille, come i valdesi, hanno ceduto alla tentazione di un mini­concordato, confezionato su misura.

Una visione propria del mondo
Appartenere a una minoranza significa serbare l’orgoglio di "fare da sé" (nell’insegnamento, nel concepire la democrazia, nel definire i problemi della modernità, il divorzio, l’aborto, l’eutanasia e così via) non per mero esclusivismo, ma nella convinzione di avere una propria visione del mondo capace di incidere positivamente nella società in cui si vive. Sapere quale sia il posto che si deve occupare in una società che, per fortuna, caduto il fascismo, da più di cinquant’anni non mette più in discussione il principio che quel ruolo positivo, quale che sia, esista, è un dato essenziale, ma non sempre gli ebrei italiani ne sono consci, spesso anzi, lacerati al loro interno, preferiscono coltivare un gusto nostalgico della memoria. Parlo naturalmente a titolo personale, testimone del resto di un momento di transizione i cui esiti sono difficili da decifrare.
La crisi, assai grave, che divide le comunità italiane, infatti, è una crisi identitaria che va ben al di là del contrasto laici­religiosi.

Non solo per le sofferenze subite
Che tutte le minoranze abbiano diritto ad essere rispettate è diventato un luogo comune. Non sempre però si specifica che le minoranze hanno sì diritto ad essere rispettate, ma in virtù delle loro realizzazioni, non esclusivamente in conseguenza delle sofferenze patite. Il peso incombente della Shoah, dello sterminio nazifasista, è stato ed è un condizionamento forte nel ristabilirsi di un dialogo con il mondo esterno e nel favorire il sorgere di un nuovo modello di identità moderno ma non immemore. A dirla così sembra una banalità, tuttavia la precisazione è necessaria, perché capita assai spesso che gli ebrei in Italia siano chiamati a dirimere questioni legate alla sofferenza altrui. Ricordate il governo Prodi quando chiamò l’allora presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche a entrare in una commissione che avrebbe dovuto giudicare le atrocità commesse da alcuni soldati italiani in Somalia? Il problema riguarda gli ebrei, ma non solo loro: se in una società l’attenzione compassionevole prevale sull’attenzione oggettiva vuol dire che qualcosa non funziona, sia nella maggioranza che deve garantire il rispetto, sia nella minoranza che nel rivendicare l’eguaglianza non sa andare al di là dell’elenco delle umiliazioni cui è stata costretta.