Nel centenario della nascita di Giorgio La Pira

di Bertin Mario

La prima figura che ci viene incontro sulla soglia dell’anno nuovo è Giorgio La Pira, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. Giorgio La Pira nasce infatti nella cittadina marina di Pozzallo, in provincia di Ragusa, il 9 gennaio 1904 da una famiglia povera e di condizioni molto umili.
A prezzo di grandi sacrifici, proprio a partire da Pozzallo, che presto però abbandona, comincia un lungo cammino che lo porterà ad essere uno dei maggiori protagonisti della rinascita del Paese. Si diploma in ragioneria e, conseguita in un solo anno la maturità classica, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Messina, dove studia sotto la guida del Prof. Betti con il quale si laurea, trasferendosi poi a Firenze. All’Università di Firenze insegna Diritto romano.
È a Firenze, divenuta ormai città di elezione, tanto da far dimenticare le sue origini siciliane, che Giorgio La Pira si converte alla fede cristiana, gettando le basi dell’opera straordinaria che stava iniziando. Ancora oggi il popolo di Firenze lo ricorda come il «sindaco santo».
Si deve al prof. Betti il suo contatto con l’Università cattolica di Milano, dove nasce l’amicizia con padre Gemelli e con Giuseppe Lazzati. Alla vigilia della guerra fonda la rivista «Princìpi», che gli offre l’opportunità di parlare «del valore e della socialità della persona umana, dell’uguaglianza e della disuguaglianza tra gli uomini, della gerarchia dei valori nell’uomo e nella società, della natura e liceità della guerra, del valore della libertà». Già l’anno successivo la rivista viene però soppressa dal fascismo.
Sfuggito alla polizia segreta che cerca di arrestarlo, raggiunge Roma dove insegna con molto successo all’Ateneo Lateranense.
Nel 1946 La Pira viene eletto all’Assemblea Costituente. Nella Commissione dei 75 svolge un’opera fondamentale per la formulazione dei principi fondamentali della nuova Repubblica, contribuendo al carattere personalista e pluralista della Carta costituzionale. Intanto, assieme a Dossetti, Fanfani e Lazzati dà vita a «Cronache Sociali», la rivista che meglio esprime il senso della presenza dei cattolici nel processo di rinascita democratica del paese.
Nel 1948 è nominato sottosegretario al Ministero del lavoro nel primo Governo De Gasperi. È il fatto che segna il suo ingresso nella politica a favore di quella parte di popolazione che aveva subito maggiormente le conseguenze delle devastazioni belliche e, più in generale, dei poveri. Scrive allora uno dei suoi saggi più noti, L’attesa della povera gente, dove affronta in maniera sistematica il problema della disoccupazione e della povertà partendo da premesse religiose, metafisiche, storiche, economiche e politiche. Mentre l’aspetto religioso è visto come lo sfondo di ogni scelta concreta, da un punto di vista economico, La Pira adotta la teoria keynesiana. «L’intero sistema economico e finanziario mondiale — scrive — non può essere lasciato a se stesso, ma deve essere finalizzato in vista di scopi proporzionati ai bisogni essenziali dell’uomo».

La scelta dei poveri
Ai primi di luglio del 1951, La Pira viene eletto sindaco di Firenze. Sarà un sindaco “padre di famiglia”. Diceva: «Se c’è uno che soffre, io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi, con tutti gli accorgimenti, che l’amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia diminuita e lenita. Altra condotta, per un sindaco in genere e per un sindaco cristiano in specie, non c’è».
Come sindaco (1951­1958 e 1961Un politico a servizio della pace e della povera gente 1965), si adopera in particolare per favorire la ricostruzione della città, per dare un alloggio a tutti (utilizzando una legge del 1865, che permetteva la requisizione di alloggi in favore dei terremotati), per fare fronte al problema della disoccupazione. Famosa fu la strenua difesa del posto di lavoro per i duemila operai delle officine Pignone (poi assorbite nell’ENI per il suo intervento presso Mattei) e della fonderia Le Cure, da lui requisita e trasformata in cooperativa. Furono salvate dallo smantellamento anche le Officine Galileo.
I suoi principi ispiratori sono riassunti in una sua frase rimasta celebre: «Il pane è sacro; la casa è sacra: non si tocca impunemente né l’uno né l’altra! Questo non è marxismo: è Vangelo». Il suo è un cristianesimo fortemente impegnato dal punto di vista sociale. La Pira non fu molto amato dalla Democrazia Cristiana (nelle liste della quale venne eletto, pur non avendone mai avuto la tessera) e dagli altri partiti di centro. Nella sua azione, invece, trovò spesso il sostegno dei partiti della sinistra e dei sindacati. Di Vittorio, il Segretario generale della CGIL, un giorno gli disse: «Tu potresti essere un comunista». Questo gli procurò i nomignoli di «comunista da sagrestia» o di «pesce rosso nell’acquasantiera». La Pira non solo ci rideva su, ma rincarava la dose affermando che i veri materialisti erano i cristiani, perché i cristiani credevano che la vocazione eterna dell’uomo non fosse diversa da quella terrena. Il cristiano, sottolineava, non aspira soltanto ad un cielo nuovo, ma anche ad una terra nuova.

L’impegno per la pace
L’altra fondamentale «ipotesi di lavoro» di Giorgio La Pira fu l’impegno per la pace e l’unità dei popoli. Essa contraddistinse la sua attività fin dagli anni Cinquanta, in pieno clima di guerra fredda.
A partire dal 1952, indisse i «Colloqui internazionali per la pace e la civiltà cristiana», che avevano l’obiettivo di far incontrare e dialogare uomini di culture e religioni differenti. Profetici furono i colloqui del Mediterraneo, che si prefiggevano di realizzare l’unità e la pace all’interno della «triplice famiglia abramitica», tra ebrei, cristiani e musulmani.
Fu anche messaggero di pace e mediatore tra i grandi leader mondiali.
Nel 1959 si recò in URSS, dove sollevò per primo il tema della libertà religiosa, come elemento essenziale di un processo di coesistenza pacifica.
Davanti al Soviet Supremo espose, con la franchezza abituale, le sue idee: «Signori, io sono credente e cristiano e, dunque, parto da questa “ipotesi di lavoro”: credo nella presenza di Dio nella storia, nell’incarnazione e resurrezione di Cristo e credo nella forza storica della preghiera; perciò, secondo questa logica, ho deciso di dare un contributo alla coesistenza pacifica tra Est e Ovest, come dice il Signor Krusciov, facendo un ponte di preghiera fra Occidente e Oriente, per sostenere come posso la grande edificazione di pace nella quale tutti siamo impegnati. […] Il nostro comune programma costruttivo, il nostro disegno architettonico, deve essere questo: dare ai popoli la pace, costruire case, fecondare i campi, aprire officine, scuole e ospedali, ricostruire e aprire dovunque le chiese e le cattedrali. Perché la pace deve essere costruita a ogni livello della realtà umana: livello economico, sociale, politico, culturale e religioso. Soltanto così il nostro ponte di pace fra Oriente e Occidente diventerà incrollabile. E così lavoreremo per il più grande ideale storico della nostra epoca, un pacifico tempo di avvento umano e cristiano».
Nel 1965, in piena crisi vietnamita, si reca ad Hanoi dove ha un incontro con Ho Chi Minh. Ha colloqui con Nasser in Egitto e Abba Eban in Israele, scrive a capi di Stato, incontra gente di ogni condizione. Si offre come instancabile proclamatore del «sentiero di Isaia» e della sua attualità. Con Isaia si dice certo che nei tempi futuri tutte le genti affluiranno alla casa del Signore dicendo: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci istruisca nelle sue vie e camminiamo nei suoi sentieri (…) Egli sarà giudice tra le genti e arbitro di popoli numerosi. Muteranno le loro spade in zappe e le loro lame in falci; una nazione non alzerà la spada contro un’altra e non praticheranno più la guerra».
Quando in Italia viene proibita la proiezione del film di Autant Lara sull’obiezione di coscienza, «Non uccidere», La Pira lo fa proiettare a Firenze e per questo viene denunciato alla magistratura.

Politica e profezia
Tutto ciò, sottolinea Giuseppe Dall’Asta, esigeva «una generale e profonda revisione dei concetti, dei metodi e dei fini nella teoria e nell’azione politica, una nuova metodologia capace di edificare nell’unità e nella pace una società nuova e proporzionata a questa epoca».
L’azione di Giorgio La Pira ebbe una valenza politica e una profetica, le sue azioni furono strettamente coerenti al messaggio evangelico nelle sue radici bibliche e nella sua universalità. Egli operò ad ogni livello come uomo politico e come uomo di fede, come contemplativo e come protagonista della politica e dell’impegno sociale.
La Pira seppe esercitare la difficile carità della politica. Disse: «Il pieno adempimento del nostro dovere avviene solo quando noi avremo collaborato, direttamente o indirettamente, a dare alla società una struttura giuridica, economica e politica adeguata al comandamento principale della carità». Al cristiano, secondo La Pira non è consentita alcuna neutralità.
Giorgio La Pira muore a Firenze il 5 novembre 1977, dopo un periodo di isolamento da parte del mondo politico. La sua bara fu portata a spalle dagli operai della Pignone, tra una straordinaria partecipazione di popolo. Sulla sua tomba fu posta una scritta: «Spes contra spem», sperare oltre ogni ragionevole speranza. Paolo VI disse di lui: «La differenza tra Giorgio La Pira e tanti del suo tempo e del suo mondo è che quello sapeva, aveva un’idea, aveva fini davanti da raggiungere e per questo ha impegnato la sua vita. La sua esistenza. È vissuto povero, in mezzo ai tumulti di gente, di questioni, di affari; ma sempre con l’idea, sognatore quasi, di raggiungere questo fine. Era persona che aveva il senso dei fini, non soltanto dei mezzi da percorrere, ma di andare. Dove? Ecco quello che dovremmo avere, ciascuno di noi: una metamorfosi di mentalità».
La sfida di La Pira è ancora attuale e centrale. La strada che lui ha indicato anche. È tempo di far uscire la sua figura e il suo messaggio dall’oblio di cui l’hanno circondato coloro che hanno dimenticato che non c’è pace senza giustizia.