Volontariato

di Cantarelli Marco

Una verifica in controluce

Premessa
Ho esitato ad accettare l’onere di introdurre questo numero di Madrugada dedicato al tema del volontariato, non già per mancanza di simpatia per Macondo
e affetto per Giuseppe, quanto per due motivi.
Il primo è che non mi considero affatto un «esperto» del tema: penso di avere
esperienza, quella sì, e forse non poca, di volontariato, ma non sono uno studioso della materia in senso sociologico e, quindi, non ho dati recenti e originali
su quanti siano i volontari in Italia, in cosa siano impegnati, in che regioni siano
più numerosi, ecc., da offrire ai lettori della rivista.
In secondo luogo, perché ritengo che sul termine volontariato si siano accumulate con il tempo e anche per insipienza umana, delle incrostazioni
semantiche che rendono a volte incerto, confuso e, persino, fuorviante il
suo significato. Non avendo pretese e capacità di sciogliere tale nodo, mi ero
limitato ad un modesto invito al discernimento, giusto per capirci di cosa
stiamo parlando.
Per niente frenato da queste mie resistenze, con amabile cortesia Gaetano
mi ha tuttavia chiesto di scriverne, di esporre ai lettori tali dubbi. Eccomi,
dunque, qua, a tentare di «uscire dal guscio» per proporvi qualche traccia
di riflessione, rimandandovi per gli approfondimenti agli articoli ospitati su
questo numero.

Il volontariato nella Carta dei Valori
Nei fatti, il termine «volontariato» oggi comprende – non so fino a che punto
«identifichi» – una vasta gamma di esperienze. Ciò vale sia dal punto di vista
soggettivo – molti dicono di «fare volontariato» o di essere «volontari», indipendentemente dall’appartenenza ad un’associazione ad hoc -, sia da quello formale,
riconosciuto dalla legge.
Or dunque, chi può dirsi davvero volontario e a cosa ci riferiamo quando
usiamo la parola volontariato?
Vale la pena ripassare e commentare qualche stralcio dalla Carta dei Valori
stilata nel 2001 proprio dalle associazioni italiane di volontariato: «Volontario
è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio
tempo e la propria capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza e per
l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito, promuovendo risposte creative
ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni».
In tal senso, si può agire da volontari «in forma individuale, in aggregazioni
informali, in organizzazioni strutturate». Perché, pur con «motivazioni, radici
culturali e/o religiose diverse», i volontari «hanno in comune la passione per la causa
degli esseri umani e per la costruzione di un mondo migliore».
Dal testo emerge chiaramente la volontà degli estensori di distinguere e, se
possibile, gerarchizzare, se non in ordine di importanza, almeno nella dimensione spazio-temporale, la sfera sociale del cittadino, e quindi dei doveri di
cittadinanza, da quella del volontario, che viene dopo la prima e, dunque, non
la sostituisce, anzi non può e non deve sostituirla.
Belle definizioni a parte, si converrà che, nella realtà…

Libero, gratuito, per il bene comune
Ancora: «Il volontariato è azione gratuita».
Ed è proprio tale gratuità «l’elemento distintivo dell’agire volontario», quello che «lo rende originale rispetto ad altre componenti del terzo settore e ad altre forme di impegno civile.
Ciò comporta assenza di guadagno economico, libertà da ogni forma di potere e rinuncia ai vantaggi diretti e indiretti.
In questo modo diviene testimonianza credibile di libertà rispetto alle logiche dell’individualismo, dell’utilitarismo economico e rifiuta i modelli di società centrati esclusivamente sull’»avere» e sul consumismo».
L’unico arricchimento che i volontari possono trarre è, dunque, quello «interiore» che, sul piano relazionale, deriva «dalla propria esperienza di dono», giacché «il volontariato è, in tutte le sue forme e manifestazioni, espressione del valore della relazione e della condivisione con l’altro.
Al centro del suo agire ci sono le persone considerate nella loro dignità umana, nella loro integrità e nel contesto delle relazioni familiari, sociali e culturali in cui vivono.
Pertanto considera ogni persona titolare di diritti di cittadinanza, promuove la conoscenza degli stessi e ne tutela l’esercizio concreto e consapevole, favorendo la partecipazione di tutti allo sviluppo civile della società».
Alla base di questa visione alternativa – rispetto ai valori oggi dominanti – di società stanno, dunque, il senso del dono, l’altruismo fatto sistema regolatore dei rapporti umani con conseguente lotta a ogni forma di egoismo personale e sociale, la teoria dello scambio disinteressato e della reciprocità del dare e ricevere: per i «bisognosi», un «servizio» che colma qualche lacuna che li assilla; per i volontari l’appagamento spirituale; per tutti, una società più umana.
Ma, nella realtà è sempre così?

Alcune ambiguità
Circa la gratuità, poi, la confusione regna, tuttavia, sovrana, favorita anche dal legislativo. Qualche esempio.
La vecchia, ma tuttora in vigore, legge sulla cooperazione internazionale (n. 49/1987) introduce la figura del «volontario», accanto a quella del «cooperante».
Una distinzione foriera di più di un malinteso: giacché anche il «volontario» percepisce uno stipendio dalla Ong che lo manda in qualche Sud del mondo; il volontario prenderà, comunque, meno – anche molto meno! -, di quel che guadagna un «cooperante»; giacché quest’ultimo è visto come professionalmente più preparato del primo; distinzione, però, tutta da dimostrare; con la conseguenza, che dal primo si esige in qualche modo la «passione» per i poveri e magari la condivisione con i dannati della Terra, mentre al secondo si richiedono più che altro «soluzioni tecniche».
In definitiva, a decidere se uno parte come «volontario» o «cooperante» non è tanto la «disposizione interiore», quanto il fatto che nel documento di progetto si preveda l’una o l’altra figura.
Altroché per scelta! In ogni caso: senza nulla togliere al valore della stessa, che «volontario» è se, a fine mese, riceve un salario e usufruisce di casa, mezzi di trasporto, e altro, messi a disposizione dall’organizzazione che lo invia? Non sarebbe il caso, quanto meno, di chiamarlo in altro modo? Idem dicasi per i «volontari» del nuovo servizio civile nazionale.
Come è noto, con l’eliminazione della leva obbligatoria e la relativa «professionalizzazione» delle forze armate, è venuta meno anche l’opportunità di manifestare la propria obiezione di coscienza.
Oggi, chi vuole obiettare, basta che non intraprenda la carriera militare e faccia un altro «lavoro».
Di conseguenza, è scomparso il «servizio civile» sostitutivo (o alternativo, a seconda delle coscienze) a quello militare.
Anche se negli ultimi tempi tale scelta aveva perso, per molti, la valenza etica e politica dei primi anni, che furono irti di ostacoli, essa era, comunque, espressione di una precisa volontà (parafrasando, di «volontarietà»).
Tuttavia, ai sensi della Carta citata, nemmeno per essa c’erano i presupposti di gratuità (per poche lire, ma tant’è!), né tale servizio poteva essere considerato un’azione di volontariato condotta dopo aver espletato i propri doveri di cittadino.
Eppure.
Tale equivoco si ripropone, oggi, ampliato ai due sessi con il nuovo servizio civile.
A rigor di logica, l’unica volontarietà sta nel fatto che alcuni giovani scelgono di farlo e altri no.
I primi ricevono 433,80 euro, che dovranno dichiarare ai fini fiscali in quanto collaborazione coordinata e continuativa o a progetto, come si dice ora; hanno un orario da rispettare, che consente loro di svolgere un altro lavoro o studiare, e non tutti magari sono disponibili a fare una riunione la sera.
Di nuovo, senza nulla togliere alla valenza della scelta di tanti ragazzi e ragazze, vale la pena chiedersi: in che senso essi si possono definire «volontari» e si può parlare di «volontariato» per le azioni che essi svolgono?

La funzione politica del volontariato
Ma andiamo oltre e riprendiamo a leggere la Carta: «Il volontariato è scuola di solidarietà in quanto concorre alla formazione dell’uomo solidale e di cittadini responsabili.
Propone a tutti di farsi carico, ciascuno per le proprie competenze, tanto dei problemi locali quanto di quelli globali e, attraverso la partecipazione, di portare un contributo al cambiamento sociale.
In tal modo il volontariato produce legami, beni relazionali,rapporti fiduciari e cooperazione tra soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale sociale de contesto in cui opera».
In tal senso, «il volontariato è esperienza di solidarietà e pratica di sussidiarietà: opera per la crescita della comunità locale,nazionale e internazionale, per il sostegno dei suoi membri più deboli o in stato di disagio e per il superamento delle situazioni di degrado.
Solidale è ogni azione che consente la fruizione dei diritti, la qualità della vita per tutti, il superamento di comportamenti discriminatori e di svantaggi di tipo economico e sociale,la valorizzazione delle culture, dell’ambiente e del territorio.
Nel volontariato, la solidarietà si fonda sulla giustizia».
Di più: «Il volontariato è responsabile partecipazione e pratica di cittadinanza solidale in quanto si impegna per rimuovere le cause delle diseguaglianze economiche, culturali, sociali, religiose e politiche e concorre all’allargamento, tutela e fruizione dei beni comuni.
Non si ferma all’opera di denuncia ma avanza proposte e progetti coinvolgendo quanto più possibile la popolazione nella costruzione di una società più vivibile».
Forse, si tratta di idee «di parte»; forse, non tutte le organizzazioni di volontariato si riconoscono davvero in questo manifesto e lo applicano nel fare quotidiano.
Perché, come è evidente, qui si entra nella sfera squisitamente politica,di cui, probabilmente, qualche volontario è persino inconsapevole.
Del resto, più avanti, la Carta è assai esplicita al riguardo: «Il volontariato svolge un ruolo politico: partecipa attivamente ai processi della vita sociale favorendo la crescita del sistema democratico; soprattutto con le sue organizzazioni sollecita la conoscenza e il rispetto dei diritti, rileva i bisogni e i fattori di emarginazione e degrado, propone idee e progetti, individua e sperimenta soluzioni e servizi, concorre a programmare e a valutare le politiche sociali in pari dignità con le istituzioni pubbliche cui spetta la responsabilità primaria della risposta ai diritti delle persone».
Il volontariato, dunque, come opzione per il cambiamento sociale – niente meno! -; quindi, senza retorica ma neanche in fingimenti, come «azione politica».

Marco Cantarelli
giornalista, direttore del bollettino
mensile centroamericano di envÁ­o