La bioversità entra nel piatto

di Caruso Paolo

Cibo e salute

Il tema dell’alimentazione sta catalizzando il dibattito sui mezzi di informazione, soprattutto riguardo la correlazione ormai acclarata tra cibo e salute.

Le statistiche disponibili segnalano negli ultimi venti anni un aumento esponenziale delle malattie cronico-degenerative legate anche al regime alimentare adottato.

Tra le patologie in sensibile incremento, la celiachia, le intolleranze al glutine (gluten sensitivity) e la sindrome dell’intestino irritabile stanno assumendo una significativa rilevanza sociale. Per questo motivo il ruolo che il frumento, e in particolare le proteine del glutine, svolgono nella nostra dieta viene ampiamente analizzato e i temi di questo dibattito spesso oscillano su punti di vista totalmente divergenti.

Una parte importante della discussione verte sulla contrapposizione tra i sostenitori del consumo di alimenti derivati da farine di grani antichi e i loro detrattori. I grani moderni vengono definiti da alcuni studiosi come «perfetti veleni cronici» mentre grandi associazioni di produttori, come la National Association of Wheat Growers, sostengono che «il glutine dei frumenti moderni non fa male».

Negli ultimi anni si sta assistendo a un rinnovato interesse per la coltivazione dei frumenti antichi, cioè popolazioni locali coltivate prima del miglioramento genetico delle cultivar (n.r. varietà di grani) ottenute tramite incrocio. A partire da quel momento le popolazioni locali hanno ceduto progressivamente il passo alle varietà migliorate, certamente più produttive, ma che necessitano, per assicurare rese soddisfacenti, di considerevoli apporti di concimi e diserbanti di matrice chimica.

Ritorno ai frumenti antichi?

Nonostante questa aumentata attenzione per la coltivazione dei frumenti antichi e per il consumo dei prodotti ottenuti dalla loro trasformazione, il volume economico da essi generato, anche se in netta ascesa, è assolutamente inferiore a quello dei grani «moderni». Si consideri che in Sicilia, ovvero la regione che possiede il maggior numero di popolazioni locali di frumenti antichi (52), leàsuperfici a essi dedicate sono pari all’1% del totale delle superfici coltivate a grano (3.000 ettari su 300.000).

Ma queste dimensioni stanno già consentendo lo sviluppo di una filiera, grazie anche alla meritoria attività di associazioni come Simenza, che si occupano della tutela e valorizzazione della biodiversità siciliana di interesse agrario. Il tentativo che si sta perseguendo ha comportato altri effetti positivi, come la coltivazione in terreni ritenuti marginali per le moderne cultivar, la riattivazione di tanti mulini a pietra in tutta l’isola, il ritorno di tanti giovani al lavoro nei campi e la possibilità di disporre di farine semi-integrali, più ricche di sostanze nutritive e funzionali, a vantaggio della salute dei consumatori.

La ripresa della coltivazione di questi frumenti antichi assume anche una straordinaria importanza sia in termini di salvaguardia della biodiversità che di recupero del loro valore storico e culturale. La limitata produzione di grani antichi è inversamente proporzionale all’interesse che i consumatori stanno mostrando verso questi prodotti, alcuni sono spinti da una questione legata alla moda del momento, altri da una consapevolezza e da una conoscenza delle loro proprietà salutistiche.

Dei 52 frumenti antichi presenti in Sicilia, una decina viene prodotta in quantitativi che rendono possibile la commercializzazione sotto forma di farine e prodotti trasformati (pane, pasta e prodotti da forno). Oggi le farine di timilia, perciasacchi, maiorca, russello, biancolilla, margherito, ecc., ovvero frumenti antichi siciliani, stanno cominciando a farsi conoscere da una platea sempre più ampia. Ognuna di esse ha una sua specificità legata alle caratteristiche genetiche e alle condizioni pedo-climatiche di coltivazione, ma tutte sono caratterizzate da una diversa qualità del glutine rispetto alle farine derivate dalla trasformazione di frumenti moderni.

È assolutamente necessario sfatare il mito del ridotto quantitativo di glutine presente nei grani antichi, non è infatti questo parametro che li rende differenti rispetto ai grani moderni bensì la diversa qualità, determinata dalla differente composizione delle gliadine e glutenine presenti. Esse formano il glutine, la predominanza dell’una o dell’altra frazione proteica influenza le proprietààdell’impasto. Questa informazione è necessaria ai soggetti affetti da celiachia che non possono in alcun modo consumare prodotti derivati da farine di grani antichi.

Un indice che evidenzia la forza delle farine viene indicato con la lettera W e calcola l’energia totale necessaria per rompere l’impasto. Questo indice è particolarmente basso nelle farine di grani antichi, qualità che li rende inadatti ai moderni pastifici, ma particolarmente digeribili e quindi apprezzate dai consumatori. Il valore medio di W per le farine di grani antichi è circa di 80, mentre per le farine di grani moderni questo valore sale mediamente a 250. Questi valori vengono riportati nelle confezioni dei prodotti.

Molte evidenze scientifiche confermano le qualità nutrizionali e salutistiche dei grani antichi; esse, rispetto ai grani moderni, possiedono:

una maggiore e migliore varietà di composti funzionali o bioattivi (Dinelli et al., 2007);
– un contenuto maggiore di sostanze fitochimiche biologicamente attive come polifenoli (flavonoidi, lignani, isoflavoni), carotenoidi, tocoferoli e fibra, che svolgono importanti funzioni farmacologiche incluse l’attività antitumorale, antinfiammatoria, immunosoppressiva, cardiovascolare, antiossidante e antivirale (Dinelli, et al., 2007);
– una minore forza del glutine (Gallo et al., 2010);
– meno «epitopi tossici», cioè le sequenze aminoacidiche riconosciute dai linfociti delle persone affette da celiachia (Van den Broeck et al., 2010).

Inoltre, consumando prodotti ottenuti da frumenti antichi si abbassano i livelli del colesterolo (quello «cattivo»), la glicemia e altri valori che costituiscono fattori di rischio per infarti e ictus e un aumento delle cellule staminali in circolazione mobilizzate dal midollo osseo, quelle che riparano i vasi sanguigni danneggiati (Sereni et al., 2016).

Occorre sottolineare che i grani antichi vengono coltivati per la maggior parte in regime di agricoltura biologica e la loro produzione nelle regioni meridionali li priva della presenza di micotossine, contrariamente a quanto accade per i frumenti importati da stati esteri caratterizzati da climi umidi (es. Canada).

Diffusione e controllo dei grani antichi

La repentina ascesa nel gradimento dei consumatori di questi prodotti sta stimolando gli appetiti di grandi industrie alimentari che vedonoàil «business» a portata di mano, ma i grani antichi possiedono peculiarità che mal si sposano con le esigenze dei colossi industriali; l’attuale ridotta disponibilità di seme da riproduzione, la loro salvaguardia affidata per legge alla figura degli «agricoltori custodi», la molitura a pietra, la non adattabilità alle industrie di trasformazione, la necessità della filiera corta per la salvaguardia delle caratteristiche qualitative e della shelf life, rappresentano, fortunatamente, ostacoli pesanti per la loro diffusione nella grande industria.

Purtroppo la diffusione su larga scala dei prodotti a base di grani antichi è per certi versi impedita dagli elevati prezzi di vendita, giustificati in parte da rese inferiori a quelle dei grani moderni e da elevati costi di trasformazione. Lo sforzo che si sta perseguendo è legato alla ricerca di aggregazioni tra produttori e trasformatori di territori contigui che consentano la riduzione dei costi di produzione attraverso economie di scala.

I grani antichi possono certamente rappresentare un’occasione di riscatto economico e sociale per gli agricoltori, troppo spesso ignorati e bistrattati, ma sono senza dubbio una risorsa per produrre alimenti in modo sostenibile e possono migliorare la qualità complessiva dell’odierna alimentazione, salvaguardando i principi fondamentali della «food safety», della «food security» e della tutela della biodiversità.

Paolo Caruso
dipartimento agricoltura, alimentazione e ambiente,
università degli studi di Catania

 

Bibliografia:

Dinelli G., Marotti I., Bosi S., Benedettelli S., Ghiselli L., Cortacero-Ramirez S., Carrasco-Pancorbo A., SeguraCarretero A., Fernandez-Gutierrez A., 2007. Lignan profile in seeds of modern and old Italian soft wheat (Triticum aestivum L.) cultivars as revealed by CE-MS analyses). Electrophoresis. 2007 Nov;28 (22):4212-9.
G. Gallo, M. Lo Bianco, R. Bognanni, G. Saimbene, A. Orlando, O. Grillo, R. Saccone and G. Venora – Durum Wheat Bread: Old Sicilian Varieties and Improved Ones – Aug. 2010, Volume 4, No.4 (Serial No.29) – Journal of Agricultural Science and Technology, ISSN 1939-1250, USA.
Van den Broeck H. C. et al., de Jong H. C.Elma M. J. Salentijn E. M. J., Dekking L., Bosch D., Hamer R. J., Gilissen L. J. W. J., Van der Meer I. M. Smulders M. J. M., 2010. Presence of celiac disease epitopes in modern and old hexaploid wheat varieties: wheat breeding may have contributed to increased prevalence of celiac disease. Theor Appl Genet (2010) 121:1527″1539 DOI 10.1007/s00122-0101408-4.