Vertice delle nazioni e vertice dei popoli

di Sena Edilberto

I due eventi si sono conclusi nella penultima settimana di giugno, raccogliendo insieme migliaia di persone, le une in qualità di rappresentanti dei Governi delle Nazioni, le altre a rappresentare le guide dei movimenti sociali e i popoli indigeni. Il giornale francese Le Monde ha dato la seguente interpretazione attraverso il suo analista Nathali Brafman: «Il bilancio della conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, può riassumersi in questa maniera semplice: c’è un vincitore, il Brasile; c’è uno sconfitto, il pianeta». Una constatazione dura, venti anni dopo la emblematica «Eco-92», che, nella stessa città, aveva piantato le basi di una politica di sviluppo che si preoccupasse della conservazione delle risorse globali.

La presidentessa brasiliana, Dilma Rousseff, nel suo discorso di chiusura della Conferenza Rio+20 ha dato molto rilievo al successo dell’evento. Per lei, il solo fatto di essere giunti a un documento di generale consenso tra tutti i capi di stato è stato un successo. Non si è preoccupata di ammettere che il documento è stato accolto da tutti perché non ha impegnato nessun governo con obiettivi definiti e immediati di controllo dell’ambiente.

Nel centro di Rio de Janeiro, nel grande parco del Flamengo, invece, si erano riuniti migliaia di leader dei Movimenti sociali dei cinque continenti. Non avevano potere decisionale di governo, tuttavia rappresentavano ciò che di più positivo può esserci oggi nel mondo, in difesa della vita, dell’ambiente. In quella spianata del Flamengo il desiderio era comune, la ricerca di un altro mondo possibile, dello star bene con sé stessi e con la vita (bem viver), che è contrario al modo di vivere capitalista del benessere (viver bem).

Il loro documento finale recita così: «Difendiamo forme di vita diversificate e autonome, ispirate dal modello dello star bene con sé stessi e con la vita (bem viver / vida plena), dove la Madre Terra è rispettata e ben curata, dove gli esseri umani rappresentano solo una specie tra le tante che formano la pluridiversità del pianeta».

Il documento base prodotto dai tecnici dell’ONU ha tentato di dare continuità alle conclusioni di ECO 92 di vent’anni prima, cambiando soltanto la parola d’ordine, lo slogan precedente, che non ha prodotto gli effetti voluti perché i paesi ricchi e quelli emergenti non hanno preso sul serio gli impegni sottoscritti. Adesso per «Rio+20» parlano di economia verde. Ancora una farsa del mondo imprenditoriale dei paesi ricchi, Brasile incluso, con la sua pretesa di essere il quinto paese più ricco del mondo.

Fin dalla conferenza di Stoccolma nel 1972 le preoccupazioni internazionali non riguardavano tanto il controllo della vita nel pianeta, ma il tentativo di conciliare la crescita dell’economia con l’equilibrio della natura, cosa che si è rivelata una volta di più impossibile. E cosa piùàgrave, i paesi emergenti, quelli che oggi sono chiamati i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) rifiutano di prendersi cura della natura più di quanto si interessano della loro crescita economica.

Nel libro Forests in International Environmental Politics (Le foreste nelle politiche internazionali ambientali), l’olandese Ans Kols analizza criticamente gli interessi economici e politici che hanno guidato le istituzioni internazionali e il governo brasiliano: «Due sono le preoccupazioni che hanno spinto i rappresentanti dei paesi industrializzati a voler discutere sugli effetti negativi dell’industrializzazione nella conferenza dell’ONU del 1972, in Stoccolma. In primo luogo, le condizioni di degrado potrebbero colpire le industrie e le imprese private, e i governi dei vari paesi, sotto la pressione delle mobilitazioni sociali, potrebbero promulgare delle leggi in grado di compromettere la produzione e il commercio internazionali. In secondo luogo, il possibile rafforzamento dei paesi del Sud: essi hanno danneggiato il loro ambiente in misura minore dei paesi industrializzati del Nord».

Si può concludere che un’altra opportunità passa tra le mani delle autorità mondiali di salvare il pianeta e le vite in esso contenute e anche questa si perde. Sono passati Kyoto, Copenaghen, Cancun, passa Rio+20 ed è una ulteriore frustrazione per chi ha un po’ di coscienza e sa leggere i segni dei tempi e della natura. I segnali della natura si stanno ripetendo con maggiore frequenza: gli tsunami, i maremoti, gli uragani, le inusuali inondazioni dei fiumi dell’Amazzonia.

I partecipanti al vertice dei popoli hanno fatto quel che dovevano e potevano fare. Nel loro documento finale essi scrivono: «La difesa dei beni comuni passa attraverso la garanzia di una serie di diritti umani e della natura, attraverso la solidarietà e il rispetto per le visioni complessive dell’universo e la crescita dei popoli nella loro diversità. Riaffermiamo l’urgenza della distribuzione della ricchezza e del reddito, della lotta al razzismo e al genocidio, del diritto alla terra e al territorio, all’educazione, alla cultura, alla libertà di espressione e alla democratizzazione dei mezzi di comunicazione, alla salute sessuale e riproduttiva delle donne».

Purtroppo le autorità irresponsabili non raccolgono seriamente tali richieste, fintantoché non si avvererà la profezia del grande capo (cacique) indiano dell’America del Nord: «… fintantoché l’ultimo albero non sarà sepolto, fintantoché l’ultima foglia non sarà appassita».

Edilberto Sena, Commissione Giustizia e Pace
diocesi di Santarem, Parà, Brasile
coordinatore Radio Rural di Santarem
www.radioruraldesantarem.com.br