Sentirsi a casa

di Cifelli Adriano

Una casa non ho,
e nemmeno ne ho persa una;
mia madre mi ha partorito per il mondo immenso:
così adesso mi trovo nel mondo.
E sempre più nel mondo mi addentro,
ho la mia gioia, ho il mio dolore,
e l’una e l’altro li trovo da solo.
[…] Nelle mie mani, nel mio grembo, devo
serbarlo, fino alla morte.
Perché ciò che ripongo
Dentro il mondo – cade;
è come fossi posto
su di un’onda».
(R. M. Rilke, Diario di Worpswede,
in Diari 1898-1900, Milano, Mursia, 1994)

Figlio di un mondo immenso.
Ho fatto un’esperienza che mi ha fatto pensare molto alle parole del poeta Rilke. La casa – e chi di noi ne ha una deve sempre potersi dire fortunato, soprattutto nel tempo in cui viviamo – è diventato un luogo essenziale e quasi totalizzante. Io resto a casa è stato lo slogan durante la pandemia che stiamo vivendo.
Ho vissuto la prima fase in un posto speciale: una casa grande, nella struttura e nello spirito, perché accoglieva mamme, bambini e altre situazioni di fragilità, oltre a una piccola fraternità e agli uffici. Parlo di Archè, la fondazione presso la quale ho vissuto e lavorato a Milano per circa due anni. Stare chiusi in casa durante il primo lockdown non è stata per me così dura perché ero circondato da tante persone e da tanta voglia di non mollare.
Poi alla fine del 2020 la scelta di tornare nella mia terra di origine, il verde e selvaggio Molise, e di nuovo a servizio della mia diocesi. Io eterno “migrante”, davvero mi sento come il poeta, «partorito nel mondo immenso».
Il vescovo mi ha proposto di servire una piccola comunità. Un paesino vivace, ma come tanti altri in via di spopolamento, arroccato su una bellissima collina da cui svettano i suoi due campanili e la torre del municipio. Prima difficoltà: dove vado ad abitare? La casa dedicata al prete era affittata a una piccola RSA. Gli anziani qui sono la maggioranza della popolazione. Triste effetto di emigrazione dei giovani e calo delle nascite. La ricerca di una casa mi ha fatto pensare e riflettere: come tenere insieme il desiderio e la ricerca di un luogo dove vivere e la missione a cui siamo chiamati? come il Maestro, che non aveva nemmeno un luogo dove posare il capo.
Una casa l’ho trovata, l’ho sistemata e ho cercato di renderla un luogo accogliente, non solo per me. Ho sempre creduto nell’accoglienza, a volte come luogo di approdo, un “porto di terra”, un piccolo spazio dove chiunque potesse trovare calore.
La casa – diceva Charles de Foucauld – influisce sulla mentalità, impregna il modo di vivere e di pensare; dice molto di noi, del tempo che viviamo: case piccole come quelle delle città, quasi fossero alveari, spazi ormai ridotto all’osso, figli della cultura della vita moderna e borghese.
Qui al sud resistono ancora case ampie e spaziose, a volte vuote: chi ci abitava ha cercato fortuna altrove o è morto. La casa è luogo di vita e di intimità, di relazioni che fanno nascere alla vita ma talvolta, invece, sono corrotte dalla violenza.

Una Chiesa che abiti il tempo.
La pandemia, e la costrizione a vivere tutti chiusi e reclusi in casa, ha generato anche tanta violenza. Culla e tomba, ma luogo sempre vitale, come la Terra che abitiamo. Avere una casa è un diritto, come quello di una Terra da abitare. Diritto a restare ma anche e soprattutto a poter andare in luoghi che quella opportunità ce la offrono. Ogni paese in Molise racconta di emigrazioni massicce che lo hanno spopolato. In cerca di un lavoro e di un po’ di fortuna, come succede oggi a tanti migranti moderni. Il cristianesimo è accoglienza, pura e gratuita. Dono e accoglienza in una logica di gratuità che vede l’Altro come qualcuno che viene sempre prima, anche di me.
Il dramma del Maestro è stato proprio quella della non accoglienza: non aveva un luogo dove posare il capo, ma di sicuro tante persone che lo amavano e lo accoglievano.
Anche la Chiesa deve diventare sempre più luogo di relazioni che fanno stare bene e aiutano a crescere, in cui si sente il profumo della benedizione e non la puzza della condanna. Un luogo che ci ricorda la nostra radice profonda, i nostri legami materni e paterni.
Una casa come quella in cui fa ritorno il figlio prodigo, una Chiesa che abita il tempo e fa sentire tutti a casa, accolti e benedetti. Non posso accettare invece una Chiesa che ancora si esprime con condanne e rifiuti, lasciando qualcun fuori dalla casa, in nome del potere.
La casa, la Chiesa, la politica rivestano i segni del servizio e non del potere. Servizio all’umanità ferita. E se non si dispone di una casa, si paghi una locanda, ma si soccorra chi è ferito.
La malattia e la sofferenza chiedono luoghi di attenzione, di cura, di affetto e non tanto luoghi dove relegare e delegare ad altri in termini imprenditoriali la questione, come purtroppo sono diventati tanti ospedali, RSA ecc.
Curare la nostra casa comune Nel giorno di sabato santo ho vissuto un’esperienza che mi ha segnato. Mi chiamano al capezzale di una giovane donna e mamma morente. Un male incurabile l’ha portata alla soglia della morte, anche se lei combatte fino all’ultimo respiro. Donna amata da tutti, sempre disponibile nel servizio. Accanto ci sono i suoi due splendidi figli, il marito e altri parenti. Dopo la mia benedizione, ricordo come anche il corpo di Gesù, dopo la crocifissione, fu unto dalle donne, segno di grande dignità. La speranza flebile che potesse superare anche questo momento.
Poco dopo, stringendo le mani del marito, ci lascia, emettendo l’ultimo respiro. Indelebile per me questo momento. Una casa, una famiglia, inondate dal profumo dell’olio crismale, un gesto di affetto meraviglioso come stringere la mano e tanto amore che si faceva spazio pur in tanto dolore: una donna meravigliosa, una lezione di vita. Il dolore può essere vissuto e attraversato solo se abbiamo qualcuno che ci stringe la mano e una casa che si fa relazione e non solitudine.
Sentirsi a casa, ovunque nel mondo, l’ho sperimentato in tanti viaggi fatti in Africa, dove una capanna ti faceva sentire un re davanti al calore e all’accoglienza. La sfida che forse ci attende è proprio quella di curare la nostra casa comune, il pianeta innanzitutto, e poi le nostre case e la nostra vita interiore, spazi dove sentirsi a casa.

Adriano Cifelli

prete

svolge il suo ministero a San Giuliano nel Sannio (CB)