Vieni via con me

di Cifelli Adriano

Dalla casa al mondo

Perché per me l’unica gente possibile sono i
pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi
per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi
di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che
mai sbadigliano o dicono un luogo comune,
ma bruciano… bruciano… bruciano come
favolosi fuochi artificiali color giallo che
esplodono come ragni attraverso le stelle e nel
mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio
centrale e tutti fanno ooohh».
[ Jack Kerouac, On the road]

Un luogo dove accogliere
Abbiamo tutti bisogno di una casa, di un luogo caldo e accogliente dove vivere o tornare dopo un viaggio per trovare un po’ di sicurezza. Un approdo, un porto di terra da dove vedere e scrutare l’orizzonte e poi sognare quel viaggio, anche se mai lo si farà. Un luogo dove accogliere.
Nell’estate appena trascorsa ho vissuto la splendida esperienza di fare della mia casa un piccolo porto, dove sono avvenuti tanti incontri, i più disparati. È passata tanta vita, sofferenza e gioia. Il momento più bello e difficile: le partenze, nella libertà di chi ha vissuto e condiviso con te un pezzo della sua storia ma ora torna nel suo luogo di vita o verso altri approdi.
Un mese di gioia e bellezza condivisa anche attraverso le foto, che ad esempio Paul, seminarista ucraino, continuava a scattare e che poi sono diventate una mostra che abbiamo titolato Da casa mia a casa tua.
Come l’altro vede noi, e come noi vediamo lui. Un dialogo fatto di immagini ed emozioni che regalano più consapevolezza e più libertà. Ho conosciuto una realtà, una terra, attraverso i racconti e gli sguardi di Paul e Roman, sicuramente in modo parziale, ma forse è l’unico modo per uscire da una concezione troppo astratta e occidentale della conoscenza. Lunghe serate e chiacchierate pur non conoscendo la lingua, semplicemente attraverso gesti e immagini che dicono tutto. Uno sguardo corrucciato mentre si parla di Russia dice tanto. E poi la musica, linguaggio universale. Ho capito ancora di più che al di là di tante cose che sembrano dividerci, ce ne sono tante, profonde e universali che ci uniscono a ogni latitudine.

Nel viaggio si incontra l’Altro e si scopre sé stessi
Viaggiare è stato da sempre un mio desiderio profondo, a volte per scoprire nuovi luoghi, altre volte soltanto per sfuggire dalla propria realtà.
Ho letto da ragazzo il romanzo di Jack Kerouac, On the road, un cult per tante generazioni. Un romanzo scritto “on the road” come metafora di ogni vita: il racconto di due amici che scoprono sé stessi proprio viaggiando ma che poi proseguono ognuno per la propria strada. Ogni vero maestro ti porta sulla strada e ti aiuta a scoprire la meta, viaggiando con te e poi lasciandoti andare.
Nel suo romanzo il giovane Kerouac, esponente di quella che sarà poi chiamata generazione beat, esprime il desiderio profondo di seguire sé stesso e raccontando non solo dei due protagonisti e dell’America post seconda guerra mondiale, ma di ognuno di noi.
Dopo circa due anni chiusi nelle nostre case per la pandemia, il viaggio assume forse la vera e grande via d’uscita. Viaggio non solo on the road ma anche in the soul, nella nostra anima, da frequentare sempre di più per ridare senso alla nostra vita.
Belle le strade piene di giovani della generazione di Greta Thunberg, che ricordano i giovani delle marce che invadevano le strade americane del secolo scorso in cerca di più libertà uguaglianza e giustizia. Belle le strade percorse dai piedi di nuovi messaggeri e viandanti che cercano, ancora oggi, tracce di giustizia.

Le rotte del dolore
Ho percorso le stradine di Riace, come tanti in questi anni e, pur essendo poco vissute, dopo una sciagurata campagna politica sovranista e populista, restano come pagine di un libro che racconta una storia bella.
Sulla strada si incontra e ci si apre al mondo. Per strada e con un manipolo di discepoli è avvenuta la grande rivoluzione del cristianesimo. I primi cristiani erano chiamati “quelli della strada”.
Come scrive Kerouac nel suo romanzo, servono pazzi, fuori legge, viandanti e visionari per togliere il mondo da questo grigiore tecno-economico.
Nuove rotte, a volte di dolore, continuano a segnare il mondo moderno. Come quelle di tutti quelli che sono fuggiti e continuano a farlo dall’inferno afgano. Donne, uomini e bambini vittime di un sogno di libertà infranto ma mai sopito.
Ogni dittatura inizia privando della libertà, nella ingenua convinzione che si può cambiare davvero in profondità l’impronta vitale che il Dio di ogni latitudine e di ogni popolo ha iscritto sulla nostra pelle e nel nostro sangue.
Giuseppe Stoppiglia, che amava farsi chiamare prete e viandante, ha solcato strade di ogni continente nella ferma convinzione che solo mettendo in dialogo e in relazione i popoli si potesse davvero sperare in un cambiamento profondo della società: un’ibridazione necessaria contro ogni falsa pretesa di purezza, di razza, lingua, fede o cultura. Macondo in fondo è questo, uno spazio di ibridazione e consapevolezza dove solo insieme è possibile intravedere e realizzare nuovi percorsi per rendere migliore questo mondo.

Ci vediamo a metà mondo
Il lungo viaggio della vita ci conduce spesso su strade impolverate che mai avremmo voluto percorrere, talvolta invece si consuma nel guscio dove siamo nati, ma resta pur sempre un viaggio affascinante, come quello che ha portato l’uomo sulla Luna o alla scoperta dell’inconscio.
Amo chi viaggia per cambiare le sue opinioni granitiche e abbatte muri che diventano ponti.

Leggo Nietzsche che dice: “Zaratustra è felice”
E feste per strada, cultura pagana e radice
A Nuova Delhi ho detto: “No” ma lì vuol dire di sì
In Francia: “Garçon, le vin, c’est bon”, passion d’amour
Niente finisce se lo porti dentro
L’Africa balla a un ritmo pazzesco
Io se ti guardo viaggio anche da dentro
Io mi innamoro a pelle di un colore diverso
Oh vita mia, voglio darti l’amore che c’è
E se poi volo via è per vedere se vieni con me.

(Gio Evan, Metà mondo)



Adriano Cifelli

Componente della Segreteria Generale di Macondo

Prete, svolge il suo ministero a san Giuliano nel Sannio (CB)
dove si confonde con il mondo nell’accoglienza dell’altro e nel dono di sé.