Gennaio-Giugno 2016

1/1/2016
IL PRIMO GIORNO DELL’ANNO

Questa mattina mi sono svegliato presto. Ho deciso allora di andare sul sentiero della montagna. Mi è venuto incontro il sole. Ho presentato alla luce il soffio raccolto nelle mie mani, il mio camminare sulla montagna, il bastone. Il silenzio luminoso fasciava di rosa, azzurro e di verde l’orizzonte.
Chiamai, chiamai! Poi ho sentito la brezza leggera e fredda che mi accarezzava. Due mani calde presero il mio volto: una voce, uguale a quella di Bernardo, mio padre, baciandomi, ha sussurrato piano: “Bambino mio, troverai la felicità quando saprai donarla. L’avrai tutta, quando per amore donerai la vita. Non cercare mai di comprarla, neppure con l’elemosina».
La memoria mi riportò al Maestro di Galilea. ” Ricordati, mi ripeteva spesso, Chi ama dà vita, dove si muore. La felicità sarà piena in te quando il tuo amore coverà il seme gettato nella terra che ti circonda. Giuseppe, non farti mai cercare, perché, quando ti avrà trovato chi non ha fame, tu non ricorderai più il tuo nome”.
Ora vai, mi disse, abbracciandomi. Ero commosso di speranza… ed era il primo giorno dell’anno 2016.


Giuseppe – Prete –

7/1/2016
IL TEMPO CHE PASSA.

Gli anni insegnano molte cose che dai giorni non si possono imparare
(Ralph Emerson)

C’è un duplice modo di misurare il tempo, ci ricorda il poeta americano Emerson: l’unità di misura quotidiana (che spesso si dissolve senza lasciare traccia), c’è poi lo sguardo dall’alto su un intero anno. In quest’ultima unità di misura c’è la continuità, che pur essendo fatta di tanti piccoli segmenti, alla fine si compone su una linea – il tracciato della vita – la continuità della persona – il mosaico d’insieme. È qui che l’atto buono quotidiano si trasforma in virtù e il peccato singolo in vizio. Ricordando, AMICI CARI, che tutti vogliono il vostro bene, ma non fatevelo prendere, donatelo a chi non può restituirvelo.

Giuseppe – Prete –


10/1/2016
L’ARTE DELLA MISERICORDIA

L’imbecillità è una rocca inespugnabile:
tutto ciò che vi urta contro si spezza
(Flaubert)

Chi vede Dio come un creditore, vede la vita come un debito da estinguere e si fa forte delle proprie presunte ricchezze. Il suo rapporto con Dio e con gli altri non è libero, perché ha sempre bisogno di farsi valere. Neppure con se stesso è libero: ha infatti bisogno di costruirsi una maschera di sicurezza e di superiorità.
L’ansia all’autosufficienza nasconde la paura di non avere il controllo della propria vita. Con quest’ansia, si finisce con fare del male a se stessi e agli altri, diventando spietati e intransigenti.
Chi, invece, riconosce la vita come un dono, ne intuisce la bontà fondamentale. È più aperto all’amore e alla gratitudine, perché non sente il bisogno di far valere i propri meriti. Le relazioni con gli altri e con Dio, perciò, cambiano completamente. Ci si converte quando ci si sente amati, non quando ci si sente giudicati. Impareremo cosa significa amare, quando faremo esperienza dell’amore di Dio e ci renderemo conto come agisce questo “folle creditore”.
Giuseppe – Prete –


18/1/2016
LA STRADA, LA MENO BATTUTA.

Due strade nel bosco si dividevano e io presi la meno battuta.
Da questa scelta è arrivata tutta la differenza.
(Robert Lee Frost)

L’immagine sboccia in un paesaggio campestre, per il poeta americano Lee Frost, è sempre stata la sua regione poetica. Due sentieri si diramano in un bosco. il primo istinto è quello d’imboccare la strada battuta, segno di un percorso agevole, sicuro e una meta certa.

Il poeta, invece, s’inoltra sulla pista più esile e meno calpestata. È la via del rischio, della domanda, della ricerca, ma è anche la pista dell’amore e perfino della fede. I temi, infatti, più ricercati dal poeta, sono, appunto, i “novissimi”, (la vita e la morte, il bene e il male, l’invisibile e il mistero), in un percorso fatto di silenzio e solitudine lungo la strada ” meno battuta”.


22/1/2016

Nei giorni che ho vissuto con voi, da vecchio viandante, ho avuto un attimo di nostalgia, al ritorno nella terra dove vivo il mio esilio. Vorrei chiedervi perdono. Lo faccio con una riflessione sulla vita che rispecchia il mio pensiero e vi assicuro che sto camminando al vostro fianco, né davanti, né dietro.
Ho perdonato errori quasi imperdonabili. Ho provato a sostituire persone insostituibili e dimenticato persone indimenticabili. Ho agito per impulso. Sono stato deluso dalle persone che non pensavo lo potessero fare, ma anch’io ho deluso. Ho tenuto qualcuno tra le mie braccia per proteggerlo; mi sono fatto amici per l’eternità.
Ho riso quando non era necessario. Ho amato, ma sono stato riamato, anche respinto. Sono stato amato e non ho saputo ricambiare. Ho gridato e saltato per tante gioie. Ho pianto ascoltando la musica o guardando le foto. Ho telefonato solo per ascoltare una voce. Mi sono di nuovo innamorato di un sorriso. Ho di nuovo creduto di morire di nostalgia e poi ho avuto paura di perdere qualcuno molto speciale (che ho finito per perdere)… ma sono sopravvissuto!
E vivo ancora! E la vita non mi stanca mai. E anche tu non dovrai stancartene. Vivi! È veramente bello battersi con persuasione, vivere con passione, perdere con classe e vincere osando, perché il mondo appartiene a chi osa! La Vita è troppo bella per essere insignificante!


23/1/2016
ENZO BIANCHI AFFERMA: «GESÙ NON HA MAI PARLATO DEI GAY, LA CHIESA TACCIA. SÌ ALLE UNIONI CIVILI»

Il priore di Bose Enzo Bianchi sostiene le ragioni del riconoscimento delle unioni civili tra persone omosessuali e anche la separazione tra coniugi che non vanno più d’accordo. Lo ha affermato nel corso di un’assemblea pastorale diocesana tenutasi a Trento, secondo quanto riporta L’Adige.
«La Chiesa non può avvallare il divorzio, ma se due persone non stanno bene assieme, e si avvelenano reciprocamente l’esistenza, è meglio che si separino. – scrive il quotidiano trentino – Diversamente, se due persone dello stesso sesso si vogliono bene e sono propense ad aiutarsi e a sostenersi reciprocamente è giusto che lo Stato preveda una regolarizzazione del loro rapporto». Il priore della comunità monastica di Bose ha tenuto una lezione magistrale dedicata interamente al valore cristiano della misericordia, poi ha risposto alle domande dei presenti.
«Dobbiamo chiedere scusa –ha detto Bianchi– alle famiglie per la presunta superiorità mostrata dai religiosi nei tempi passati: la vita di coppia è molto difficile, e noi dobbiamo essere in grado di riconoscere il grande merito di chi sceglie di costruire un nucleo famigliare. Tuttavia, in una realtà in cui tutto è precario, dal lavoro alle relazioni, non possiamo aspettarci che l’amore o la famiglia non lo sia. Su questo, però, non possiamo permetterci in alcun modo di giudicare, né, tantomeno, di escludere», riporta ancora l’Adige.
Enzo Bianchi ha spiegato che «se Cristo nel Vangelo parla del matrimonio come unione indissolubile nulla dice in merito all’omosessualità. L’onestà, quindi, ci obbliga ad ammettere l’enigma, a lasciare il quesito senza una risposta. Su questo, io vorrei una Chiesa che, non potendo pronunciarsi, preferisca tacere. Che la Chiesa faccia il matrimonio per persone dello stesso sesso – ha concluso – è una cosa senza senso. Tuttavia, se lo Stato decide di regolarizzare una realtà affettiva, lasciamo fare, applicando la misericordia come vuole il Vangelo, non come la vogliamo noi».


30/1/2016
VIOLINISTA AD AUSCHWITZ

«Quando una SS ascolta della musica, soprattutto se è musica che ama in modo particolare, curiosamente comincia a sembrare un essere umano. Ciò è capitato a me, quando suonavo da solo, nell’angolo della baracca, il famoso Concerto in La maggiore di Mozart, e una SS mi fece scivolare una sigaretta nella tasca dell’uniforme, dicendomi Weitermachen (Continua)»
(Jacques Stroumsa )

Ascoltare oggi il concerto K. 219 di Mozart potrebbe diventare un simbolo e quella musica si presenterebbe infatti come segno di una speranza, confidando che, persino nel cuore della barbarie, si annidi qualche traccia, sia pur lieve, di umanità.


31/1/2016
GIOCO D’AZZARDO

“Il poker si gioca in quattro, oppure in tre col morto, o anche in tre col pollo”.(Stefano Benni)

Nei dizionari di Psicologia fino a qualche anno fa esisteva la voce “ludoterapia”, ultimamente si è aggiunto un’altra voce “ludopatia”, il suo antidoto. È un morbo dell’anima, della mente, della vita, sul quale molti guadagnano, spesso con cinismo. La battuta di Stefano Benni, citata dal suo divertente libro “Bar Sport”, è una chiara denuncia sulla degenerazione della persona umana, che è diventato il gioco d’azzardo. Contro la lobby degli speculatori, che non solo spennano, ma strangolano i loro polli, si sta alzando la voce di chi svela le tragedie a cui sempre più è condotto il giocatore compulsivo. Veri e propri drammi personali e familiari. Il maestro Mosè Maimonide, un ebreo, vissuto nel XII secolo, ammoniva:”Un giocatore perde sempre. Perde denaro, dignità e tempo. E se vince, sta tessendo attorno a sé una ragnatela.”


5/2/2016
UN BUON CONSIGLIO

“Non si dà nulla con tanta liberalità quanto i consigli…”
“Tutti abbiamo forza sufficiente per sopportare i mali altrui”
(Rochefoucauld)

Graffiante e realistica battuta, sia la prima come la seconda. “Il consiglio”, nella tradizione ebraico/cristiana, è un dono dello Spirito, ma spesso si riduce in un atto poco costoso, ben diverso da una condivisione genuina e operosa. È su questo aspetto che si colloca la seconda citazione. La solidarietà, infatti, chiamata “pelosa”, ma di fatto ipocrita, è dispensata agli altri con molta generosità. Quando, però, un male ci colpisce personalmente, quanto sentiamo artificiose le parole e i gesti di circostanza degli altri!

C’è, però, un’altra famosa battuta di Rochefoucauld: “I vecchi si compiacciono di dare buoni consigli, per consolarsi di non poter dare più cattivi esempi”. Ricordo quanto scriveva Albert Einstein: “La saggezza non è il risultato di un’educazione, ma il tentativo di una vita intera per acquistarla”.


16/2/2016
IL CAMBIAMENTO E LA FINTA RIBELLIONE DEI GIOVANI

Dobbiamo fare: dell’interruzione un nuovo cammino, della caduta un passo di danza, della paura una scala, del sogno un ponte, del bisogno un incontro.
(João Pessoa)

Quello del poeta e scrittore portoghese è un modo per dire che il cambiamento è fatto di inciampi e di voglia di rialzarsi. Nei gruppi poi dove le relazioni sono più consolidate e talvolta anche più usurate, la danza, i ponti e gli incontri sono difficili.
Se vale per tutti, vale anche per noi. L’eccesso di amor proprio produce sempre persone antipatiche e nefaste: basta guardarsi attorno. L’individualismo di cui ci si illude, oggi, è una finzione, una parodia. La critica arrabbiata dell’esistente è, purtroppo, mera finzione, non è critica, ma accettazione. Tale parodia dell’individualismo è una truffa in cui, soprattutto i giovani -quelli che non hanno sofferto o visto soffrire- non sanno guardare e confrontare. È una folla, una moltitudine di “io fasulli”, tra i quali è giusto e indispensabile sperare nella lucidità, nella passione di nuovi leader, di maestri, di poeti, di artisti e musicisti.


21/2/2016
LA COSCIENZA

Quando suona il campanello dello loro coscienza, fingono di non essere in casa
(Leo Longanesi)

Nonostante il manto dell’ironia che le avvolge, da sembrare solo uno scettico pessimista, lo scrittore e giornalista Longanesi, ci riserva pagine di un sano ‘moralista’, nel senso nobile del termine. L’ottundimento della coscienza, la frase sopra citata ne è la chiara indicazione, è una delle più gravi malattie della persona. Basterebbe leggere quando scriveva, in altra occasione, con sarcasmo feroce: “Certamente, la coscienza è un grande impedimento, ma poi ci si accorda sempre con lei, come col Fisco.”
La superficialità, l’indifferenza, l’amoralità frenano ogni sussulto etico dell’anima. Fa parte del nostro bagaglio cogliere il monito che la virtù affascina tutti, ma c’è sempre in noi la speranza di corromperla o no?


24/2/2016
A CASA MIA

PUNTO DI PARTENZA

Dopo cinque giorni dalla nascita, mio padre Bernardo, mia madre Paolina, il parroco, don Vittore Spada, a Pove del Grappa nel battesimo mi istruirono circa il sacro.
Aprirono la gabbia a un uccello, preso: perché imparassi ad amare l’aria.
Mi regalarono fiori di campo, perché imparassi ad amare la terra.
Mi lasciarono una bottiglia chiusa: «Non aprirla mai, mai!’», perché imparassi ad amare il mistero.
Avevo quasi sei anni e non conoscevo ancora le cime del Massiccio del Grappa. Il papà Bernardo, mi portò perché le scoprissi oltre Campo/Solagna fino al Ponte San Lorenzo. Quando raggiunsi il Col del Gallo, dopo aver camminato molto, fu tanta l’immensità dell’orizzonte che, bambino com’ero, rimasi muto per la bellezza. Quando ripresi finalmente a parlare, tremando e balbettando, chiesi a mio padre: «Aiutami a guardare!»
A domani amici, amiche, abitanti del mio paese ( Pove del Grappa) che vi conosco poco, per una vita trascorsa fra le strade del mondo, intrecciata con quella dei poveri, dei bambini abbandonati e degli emarginati. Vorrei donarvi un po’ della gioia dell’Alba/ Madrugada.

PUNTO DI ARRIVO…

…vorrei tutto il mio tempo per imporre l’accoglienza come grande virtù religiosa, forse la più grande… Accogliere l’altro è la sfida di ogni civiltà e la sfida di ogni persona che voglia essere umana.
Un’identità accogliente è disponibile ad aprirsi alle necessità altrui senza immaginare quale sarà la propria ricompensa o il proprio tornconto. Accoglienza che presuppone il fatto che non ci riteniamo gli unici depositari della verità. La verità ci trascende, trascende le nostre chiese, le nostre comunità, i nostri movimenti e le nostre Associazioni.


27/2/2016
BERE E NON SOLO, ALCOL E DROGA

“Perché bevo? Perché non riesco ad affrontare la vita quando sono sobrio”
(Charles Bukowski)

Lo scrittore americano, Bukowski, anticonformista “scandaloso”, visse, alternando la scrittura a colossali sbronze a una sessualità sfrenata, in una precipitosa discesa nell’inferno degli eccessi. La sua frase ha il sapore di una sincera confessione, una dichiarazione che potrebbe essere sottoscritta, oggi, da tanti alcolisti e drogati. È una generazione che non rivela una libertà, ma piuttosto una schiavitù, non una liberazione ma una disperazione, non esalta una sfida ma una sconfitta. Non sembra celebrare una scelta, ma una paura di vivere. È drammatico, purtroppo che siano i giovani ad affidarsi all’alcol e alla droga, per mostrarsi all’esterno indipendenti e sprezzanti, per narcotizzare il non senso della loro esistenza e la loro incapacità ad affrontare la vita da sobri.


28/2/2016
PAROLE URLATE

È stata, quella passata, la settimana delle Parole Urlate. Parole che hanno ferito alcuni, fatto bene ad altri. Ho incontrato molte persone che su Amore, Famiglia e Genitorialità, in punta di piedi e con rispetto, hanno sussurrato la complessità e la varietà di questi mondi.

L’amore nasce, ma finisce anche. È l’esperienza di tanti. Ci sono famiglie, dove si sperimenta la convivialità delle differenze, altre dove, invece, le liti scandiscono i giorni. Ci sono percorsi che possono supportare le coppie anche quando l’amore finisce e percorsi che necessitano di una rigenerazione che nasca da una relazione più profonda.
Giuseppe – prete.


4 /3/2016
AVER FAME

La società è composta da due grandi classi: quelli che hanno più roba da mangiare che appetito e quelli che hanno più appetito che roba da mangiare
(Nicolas Chamfort)

Una linea netta e precisa quella tracciata dallo scrittore francese: da un lato un gruppo di persone davanti a una mole immensa di portate (e che non ha più appetito), dall’altro lato un folla con qualche residuo di cibo. Aveva ragione Brecht, quando annotava: «Per chi sta in alto, parlare di mangiare è cosa meschina», certamente loro hanno già mangiato. È per questo che noi, seduti in quella tavola, dal lato imbandito, non possiamo ignorare i visi smunti e gli occhi spalancati sul nostro pranzo abbondante di bambini denutriti.


8/3/2016
A TUTTE LE DONNE

Insegnateci la certezza che stiamo sempre per iniziare, la certezza che abbiamo bisogno di continuare e la certezza che saremo interrotti prima di finire. Per questo impareremo da voi che l’interruzione è l’inizio di un nuovo cammino, e, con la compiacenza del poeta Fernando Pessoa, potremmo ricordare, come “la caduta sia un passo di danza, la paura sia una scala, il sogno sia un ponte, il bisogno sia un incontro”.

La Donna è, probabilmente, l’essere che più si avvicina a Dio, capace di tramutare la sofferenza nella forza della Vita. È un fiore eterno che non appassisce col vento freddo della malinconia. È il sole che non s’arrende all’arrivo della sera. Le donne migliori le respiri una volta e non te ne scordi più. Hanno l’umiltà nel sangue e pur non sapendo molto di te, intervengono nella tua vita sempre con delicatezza, senza stroncarti il respiro nel momento in cui si affanna un po’ in salita .

Ad ogni singola donna vorrei sussurrare all’orecchio, nel giorno in cui l’umanità s’inorgoglisce nel voler festeggiarvi con un piccolo invito – preghiera: Conta i fiori del tuo giardino, mai le foglie che cadono. Conta le ore della tua giornata, dimentica le nuvole. Conta le stelle delle tue notti, non le ombre. Conta i sorrisi della tua vita, non le lacrime. E ad ogni compleanno conta con gioia la tua età dal numero degli amici, non da quello degli anni.
Giuseppe – prete.


12/3/2016
IL SILENZIO CHE PARLA

Va’ dove non puoi, vedi dove non vedi, ascolta dove nulla risuona e ti troverai dove parla Dio.
(Angelus Silesius)

Paradossali questi versi del grande poeta e mistico Silesius, vissuto nel Seicento, eppure si innestano in un filone spirituale sempre ardente. Per incontrare Dio non bisogna accumulare, ma occorre sottrarre. Lo scultore toglie dal marmo e dalla pietra; solo così fa sbocciare la sua creazione.
La natura è muta per chi parla sempre. In mezzo alla valanga di chiacchiere, di urla e di rumori, sarebbe bello che si compisse quanto annuncia Giovanni nell’Apocalisse: “Si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora.” Del resto, anche nelle parole dei nostri simili, ci è dato di cogliere il senso profondo, solamente, se sappiamo tacere. anche te, non sforzati di tacere, ascolta.


21/3/2016
COMACCHIO, ORA SONO TUO FIGLIO E FRATELLO

(Discorso tenuto al ricevimento della cittadinanza onoraria di Comacchio)

Arrivai a Comacchio nel 1964, giovane diacono, alcuni mesi prima dell’Ordinazione sacerdotale, con una grande aspettativa e un’attrattiva particolare, che ancora oggi, non so spiegare. Mi avevano caricato di pregiudizi, me ne liberai subito, appassionandomi alla città e ai comacchiesi immediatamente, ignorando, con una certa sicurezza e spavalderia, coloro che ne parlavano male o vivevano un fatalismo mortale. Studiai la loro cultura, mi entusiasmai alla loro storia, soprattutto sentivo un amore profondo per i bambini e i ragazzi, cercando di aiutarli a cercare spazi educativi, e per le donne, forti e resistenti alle avversità, senza pregiudizio alcuno, vedendo e gustando la loro straordinaria capacità di riempire la casa. Mi sono sentito subito accolto ed amato.

Gli undici anni trascorsi in quella città hanno cancellato completamente il tormento, vissuto negli anni del Seminario, che aveva danneggiato la mia salute e la mia fede. «Lasciatemi vivere, o lasciatemi morire, ma non seppellitemi vivo». Parole dure, forti, sconvolgenti forse, tratte da dal romanzo “Maestro e Margherita” dello scrittore russo Bulgakov, ma che esprimono bene il grido di chi vuole affermare che la vita parte da dentro ciascuno di noi. Sono stati certamente, dopo gli anni dell’infanzia, gli anni più belli della mia vita, soprattutto di prete. Lì ho incontrato don Giovanni Marinelli, (un papà), don Gaetano Farinelli, un fratello, di più, un amico intelligente, paziente e buono. Ed è stato lì, che Dio mi si è rivelato in maniera definitiva e chiara. È stato proprio a Comacchio che ho realizzato la scelta di farmi sacerdote per il Regno di Dio più che per Dio, come, invece, ero stato formato ed educato. Nel pellegrinare per il mondo, fra gli uomini, avevo riempito il mio fardello di tutte le miserie incontrate. Non ho saputo dare una risposta al perché di tanta miseria, al punto da inaridirmi e da allontanarmi dal Dio delle mie usate preghiere. Poi alla domanda di un dirigente comunista mi sono sentito come frastornato: «Perché tu, prete, non vuoi seppellire i nostri morti? Non siamo anche noi comunisti degli “ʼstian” (dei cristiani)?» Ecco allora, nel deserto della mia anima, ho visto entrare un fuoco divoratore, all’improvviso, non chiamato. Quel fuoco, mi aveva stretto con lacci molto forti. Mi aveva reso obbediente, nello stesso tempo mi trascinava con sé verso gli altri. Forse era il Dio che discendeva in me e mi mandava verso gli altri?

Sentivo che la mano del Dio dei Viventi aveva preso la mia e mi accompagnava verso gli altri. Gli altri, quelli che chiamiamo nostro prossimo, gli altri da me, il diverso, l’emarginato, diventavano la mia religione, diventavano l’amore mio per il Dio dei Viventi, diventavano la mia obbedienza a Dio Padre, che non fa differenze tra persona e persona, tra uomo e donna. Così incominciai ad essere come tutti gli uomini e m’incamminai sulla strada del ritorno, che era la vera strada. Rialzai i fiori calpestati, ricomposi le membra degli idoli infranti e non mi soffermai a contemplare le rovine del tempio distrutto.

Ricordo, come fosse oggi. Era l’alba nascente. Una luce vivida nel cielo dove le nubi fuggivano sospinte dal vento che trascinava via il temporale. C’era una campana che suonava lontano, e risvegliava il giorno. Così mi misi a correre verso le case degli uomini. È passato tanto tempo…. La scoperta dell’altro diventò l’Eccomi, l’ultima parola che l’io pronuncia prima di dissolversi nel fuoco. La fiamma ha distrutto l’io burattino, l’io maschera, l’io che viveva del duplice ruolo di dominare e di essere dominato. Diventava chiara la parola di Gesù quando diceva che bisogna perdere la propria vita per ritrovarla. Scoprivo che essere me stesso significava non sottrarmi alla mia responsabilità. Nessuno poteva rispondere in mia vece. La responsabilità, che priva il mio io del suo egoismo, sento che non mi riduce a nullità …. anzi. La moralità è infatti questo io infinitamente responsabile di fronte agli altri.

Questa nuova posizione (vale a dire la trasformazione dell’io nella relazione) custodisce il segreto che oltrepassa la condizione individuale per metterci in un nuovo comune orizzonte di senso, che tutti abbraccia e tutti comprende. E spinge su di una ricerca senza sosta di un qualcosa che possa portare scintille di luce, anche quando le disfatte esistenziali ci precipitano dentro le tenebre.

Per una chiesa che annuncia il Vangelo, vivendolo, la confessione delle proprie colpe è un’istanza preliminare. L’atto di privilegiare l’etica, con la conseguenza di presentarsi protagonista che ammaestra alla vita pubblica, si trova nella necessità inevitabile di porre al centro l’apologetica. La componente difensiva diviene allora primaria e la grammatica insuperabile della stessa apologetica esige di presentarsi come perseguitati. In un prossimo futuro occorre parlare di Cristo, non dall’alto di una qualsiasi cattedra e imparare nuovamente che la fede non si trasmette solo attraverso lo spettacolo dell’assimilazione nelle società, ma tramite l’umile proclamazione della differenza evangelica.

Il cristianesimo penetrerà il nostro mondo solo se i battezzati avranno la forza di arrabbiarsi, di indignarsi, di non confondere la beatitudine dei buoni con la tolleranza universale. Il mio è tentativo di spiegare l’incanto della spiritualità? No. Perché la spiritualità che è come la rosa di cui parla Angelus Silesius. Non ha una ragione per sbocciare: sboccia e basta. La ragione profonda della vita è il vivere. Per conquistare la propria vita, l’uomo deve perdere il proprio “io” e vivere nello stupore. Vivere lasciandosi invadere dall’altro da sé. Completamente all’opposto sta la vita dell’imbecille, il solo a trionfare nel mondo. L’imbecillità è, infatti, l’esatto opposto dell’amore e della coscienza. Dio lo percepisce chi ama, non chi sa. Dio è un incontro, è un affidarsi, non il contenuto di una fede. Le verità, infatti, non si possono impacchettare. Le trova chi le incontra di persona, che le cerchi o no. Le verità si incontrano. Questo ho scoperto nell’umiltà dei “comacchiesi”, che accogliendomi mi hanno messo nella condizione di apprendere. Grazie a voi che siete qui e al caro sindaco Marco che in questo momento rappresenta tutta la città di Comacchio. Vi voglio bene.
Giuseppe Stoppiglia


21/3/2016
GIUSEPPE STOPPIGLIA – CITTADINO DI COMACCHIO –

Prolusione al conferimento della cittadinanza onoraria di Comacchio a don Giuseppe Stoppiglia fondatore e presidente onorario dell’Associazione Macondo Onlus del prof. avv. Daniele Lugli.

Giuseppe Stoppiglia è cittadino di Comacchio. Lo è da tempo. È bello che la città lo riconosca ora. È passato mezzo secolo del suo arrivo. Ci è restato dieci anni intensissimi dal ’65 al ’75, decisivi per lui e Comacchio. È arrivato dopo una dura esperienza seminariale a Bologna, interrotta su consiglio di un rettore, apprezzato e sensibile, e ripresa nel 1959. Faticosa la frequenza in un seminario chiuso e conservatore. Nonostante il cardinale Lercaro e le visite di Dossetti, l’aria nuova del Concilio Vaticano si avverte appena. Papa Giovanni XXIII lo ha annunciato nel gennaio del ’59, indetto alla fine del ’61 e avviato nell’ottobre del ’62. Lo prosegue Paolo VI fino al dicembre del 1965. Sono anni di intensa applicazione per Stoppiglia, di preparazione biblica e teologica e di letture allora eterodosse: Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Henri-Marie De Lubac, Marie-Dominique Chenu, Emmanuel Mounier, Jacques Maritain.

Nella scelta di essere accanto agli emigrati e ai poveri pensa di andare a lavorare in Australia, dove sono emigrati una sorella e uno zio. Si interessa all’esperienza dei preti operai, censurata in Italia dalla gerarchia cattolica. Questo duplice interesse è sollecitato anche dall’intervento, promosso dal rettore, di Alfred Ancel, vescovo operaio di Lione, rifondatore del Prado, un movimento che si sviluppa in tutti i continenti, vicino alla popolazioni più povere, agli operai delle periferie, agli emarginati. Al seminario di Bologna conosce Gaetano Farinelli, che gli sarà compagno prima, mentre e dopo la cruciale presenza a Comacchio. Ordinato prete nel 1965, a Pove del Grappa dal vescovo di Comacchio Mocellini, non in Australia, ma a Comacchio appunto, va come cappellano in Cattedrale.

L’aria del Concilio, quella più fresca, la porta dunque il giovane “prete bello” in clergyman, lunghi capelli biondi e occhi azzurri. È l’uomo della novità per tutti i dieci anni. Sono stati i dieci anni più belli, dove ho scoperto che essere preti è stare in mezzo alla gente, raccogliere le domande collettive. Sono anni belli, ma non sono una passeggiata. Nell’oratorio salesiano vuole accanto ai bambini, che soli lo frequentano, anche le bambine: maschi e femmine devono crescere sempre assieme. Accanto ai figli di piccola e media borghesia i figli degli operai i figli dei poveri. Le famiglie “bene” minacciano di ritirare i figli e lui risponde scelgo i piccoli, i ragazzi che hanno più bisogno.

Vuole una Chiesa aperta a tutti e solo una minoranza, spesso clericale, la frequenta, con un’ostilità, ricambiata, nei confronti della maggioranza, anticlericale, di comunisti, socialisti e repubblicani. Di questi diventa amico don Giuseppe. Lo apprezza l’arciprete Marinelli, il parroco della cattedrale che lo propone per la sua sostituzione al vescovo, che non è però contento delle iniziative di Stoppiglia, troppo spregiudicate. Alla fine degli anni 60, movimento studentesco e lotte operaie trovano anche nella chiesa risposte e proposte. Io mi ero già iscritto al sindacato nel ’66. Era il periodo in cui facevo l’insegnante: un anno alle medie, due al biennio dell’Itis. Poi sono passato all’Enap. Il vescovo ha detto: «Guarda che ti sospendo a divinis, non puoi». «Il sindacato unisce, Eccellenza, non divide».

Non in Cattedrale ma al Santo Rosario sarà parroco Stoppiglia e come cappellano lo raggiungerà Farinelli. Nascerà un gruppo parrocchiale vivace e attento alle novità. Don Giuseppe invita Ernesto Balducci, con il quale è in contatto, così come lo è con Davide Maria Turoldo, Umberto Vivarelli e i preti operai Sirio Politi e Bruno Borghi, il cui esempio finirà col seguire. Lotte e scioperi sono un po’ ovunque. Alla perdita di posti di lavoro Comacchio reagisce. Da due giorni c’era sciopero generale: chiuso tutto, scuole, negozi. Eravamo alla prima settimana dopo Pasqua e c’era l’abitudine di benedire le case. Io vado dall’arciprete e dico: «Come si fa ad andare nelle case e a dire “pace a questa casa e ai suoi abitanti”, quando sono in lotta, sono in difficoltà». Allora decidiamo di sospendere e scriviamo un manifesto, suoniamo le campane e andiamo noi, preti giovani, nella piazza a spiegare perché sospendiamo la benedizione delle case. Questo succede alle 11. Andiamo vestiti da preti, con la cotta e la stola. La gente è diventata tutta nostra. «Finalmente abbiamo i preti comunisti che stanno con noi!». A mezzogiorno c’erano il prefetto, il questore, il vescovo e il colonnello dei carabinieri. Allora abbiamo detto all’arciprete: «Guai a Lei se va dal vescovo da solo. Abbiamo deciso insieme e insieme dobbiamo andare». E lui così ha detto al vescovo: «Chiami anche gli altri», «No, no, voglio parlare con Lei». Invece il prefetto e il questore hanno voluto parlare anche con noi. Fatto sta che alle due avevano già deciso che i posti di lavoro dovevano essere riaperti. Da allora, quando c’era sciopero la gente mi diceva: «Dai, suona le campane».
Alla realtà locale Stoppiglia aderisce dunque profondamente. Critico verso la bonifica incoraggia l’approfondita, importante ricerca di Serafina Cernuschi Salkoff, che troverà anni dopo la pubblicazione in un libro dai titoli eloquenti, sia in italiano che in francese, La città senza tempo, La ville du silence, dal quale risulta come la distruzione dell’ambiente lagunare avesse reso il centro abitato una città morta. Perché avete bonificato? Avete sbagliato. Rimettete l’acqua nelle valli – dice don Giuseppe. Diverso il giudizio del vescovo, che lascia Comacchio, dopo tredici anni in diocesi, nell’ultimo discorso, 9 marzo 1969, in cattedrale: un diffuso benessere e un’edilizia dall’aspetto più dignitoso, frutto dei «lavori di bonifica e di appoderamento delle valli e allo sviluppo turistico dei lidi». Problemi ci saranno anche con il nuovo vescovo, Mosconi, arcivescovo della diocesi riunificata, che pure lo stima. Nell’omelia in cattedrale a Ferrara alla fine del ’65 aveva riassunto con prudenza il compito assegnato dal Concilio: «Né immobilismo, né avventura. Operosità fedele alle direttive della chiesa: onde i vescovi stessi hanno il dovere di studiarle, farle conoscere, farle gradualmente attuare. Tempo di azione. Non fretta, non frenesia, non febbre, come s’è visto di recente anche, con affermazioni, interpretazioni, anticipazioni illegittime e con autentici errori».

Diverso l’approccio di Stoppiglia. Parroco al Rosario vive in comunità con Farinelli e altri tre preti, ansiosi portatori di novità: Loro volevano far cambiare la Chiesa all’improvviso, ma io sapevo che c’erano dei passaggi obbligati. Mosconi in una lettera alla diocesi del 16 aprile 1969 cita don Milani, ma solo per ricordare tempo pieno e celibato del sacerdote, che non può e non deve fare altro. Frequenti sono subito le sue visite pastorali nelle parrocchie di Comacchio. «Nessuno si preoccupi eccessivamente. Non si tratta di ispezioni, di controlli, di fiscalismi. Si tratta soltanto dell’incontro del vescovo con tutte le anime che Cristo gli ha affidato». Ma qualche preoccupazione ne riceve da più parti: un gruppo di fedeli di Comacchio invia un esposto a Paolo VI per chiedere un vescovo residenziale per la diocesi di Comacchio, proprio il 13 agosto 1970, festa di San Cassiano. Due anni dopo, nella stessa ricorrenza, il vescovo protesta per la voluta coincidenza della Festa dell’Unità con le celebrazioni patronali: «Per questo l’ultima parola del vescovo stasera è una protesta; ma non soltanto contro il mondo, non soltanto contro lo pseudocristianesimo. Ma è protesta specifica in nome di San Cassiano nostro patrono. È la protesta, umile ma ferma contro la celebrazione della festa dell’Unità contemporaneamente alla celebrazione diocesana di San Cassiano. Tutti lamentano questo; ma senza compromettersi. Il vescovo in nome di tutta la comunità diocesana sottolinea le ragioni della sua protesta…».

Il 9 novembre dello stesso anno ai sacerdoti di Ferrara e Comacchio lo stimmatino Sergio Faè, parla di “Aspetti storici delle tensioni nella chiesa”, componenti essenziali della vita ecclesiale, continua tensione verso il meglio ma non “spaccature” tra la “chiesa dei perfetti” e la chiesa della tradizione e della istituzione. Gaetano va a lavorare nel 1973, senza chiedere niente a nessuno, come elettricista nei cantieri. La scelta di Farinelli non sfugge al vescovo che scrive due volte a Stoppiglia, che non risponde. Lo chiama al telefono: «Ma non si risponde?», «Eccellenza, quando sono cose serie le ho sempre risposto».

Il vescovo incomincia a discutere con me al telefono: «Io ho ordinato Gaetano sacerdote non perché vada a lavorare, ma per salvare le anime». «Ma esistono le anime, Eccellenza?». «Ho bisogno di parlarti». Il confronto avviene, Gaetano è rimasto a lavorare. Era veramente intelligente e aveva stima di me (Mosconi naturalmente). Sapevano Giuseppe e Gaetano l’importanza del lavoro per la dignità delle persone, per costituirle pienamente cittadini. Un papa dal nome che ci è caro lo ricorda ai decisori di politiche economiche che nessuna considerazione ne hanno. A settembre l’arcivescovo rende pubbliche in una lettera, “Tempo di cedimenti”, riflessioni e amarezza per il clima di rinuncia e di adattamento alle situazioni e alla cultura del tempo, del mondo cattolico e delle diocesi a lui affidate. «I cedimenti in materia di verità, di costume, di giustizia, di morale, di educazione, di fedeltà alla disciplina e al magistero della chiesa non possono mai né ritenersi né essere costruttivi. La passività stessa in tali materie non è mai costruttiva…». E ancora: «…Il rifiuto del magistero ecclesiastico ha accentuato il rifiuto della disciplina ecclesiastica e della legge morale; così la norma del costume è sempre più autonoma, situazionistica, soggettiva e quindi arbitraria e velleitaria e il malcostume diventa normale e, peggio, dissacratore e aggressivo…». Novità vi sono anche a a Comacchio, il 6 novembre 1973, veniva costituita la “Caritas”. Sul settimanale diocesano si discute di “strutture ed evangelizzazione” con riferimento all’autorità nella Chiesa. Partecipano don Franco Patruno e don Armando Blanzieri. Cresce a Comacchio, promosso dai sacerdoti della parrocchia del Rosario, il gruppo di cristiani che analizzano i problemi locali, nazionali e mondiali colti in una prospettiva autonoma rispetto alle indicazioni dei vescovi e alla tradizione del mondo cattolico. Iniziative, dibattiti, partecipazione a momenti di studio, documenti redatti dal gruppo, in parrocchia e poi in altra sede al centro di Comacchio, animano e fanno riflettere particolarmente i giovani sui temi di attualità e sulle ragioni delle ingiustizie. Noi eravamo 4-5 preti giovani in due parrocchie, ispirati dal Concilio, e mettevamo in moto dei processi di cambiamento: tutti a Comacchio discutevano della predica mia delle 11 o di quella di don Giacomo, un altro prete-operaio. Il referendum sul divorzio produce scontri. Lettere del parroco del duomo di Comacchio, la risposta del gruppo parrocchiale del Rosario, con il parroco Stoppiglia, fanno cogliere le difficoltà del mondo cattolico tradizionale alle prese non solo con la cultura laica favorevole al divorzio, ma anche con una parte dei credenti, che operano scelte diverse dalle indicazioni dei vescovi. Durante la Quaresima 1974 il “Centro cattolico di cultura” di Comacchio promuove un seminario di Il cristiano di fronte al mondo che cambia, con Ancarani, Blanzieri, Cenacchi, Marinelli, Mori, Patruno, Samaritani. Sul periodico diocesano articoli e interventi mirano a una ricomposizione del mondo cattolico e al dialogo tra diverse sensibilità. La frattura non è però componibile. Nel ’74 c’è stata la questione del referendum sul divorzio e ci siamo schierati a favore. Siamo stati contestati. Le modalità della contestazione sono state ripugnanti e insopportabili. Resiste fino al ’75 e poi Ho detto al vescovo: «Vado via». «Finalmente, Giuseppe, mi sollevi, è un continuo lamentarsi di te. Mi dispiace, ma mi sollevi». …L’aveva pensato anche prima con Gaetano. Eravamo nel ’74 e avevamo deciso di lasciare quando Serafina Cernuschi-Salkoff ci ha detto: «La gente vi vuol bene, non potete andare via». «Noi non vogliamo andar via per motivi sociali ma per motivi di fede, perché altrimenti la Chiesa si spacca in due: quella dei preti dei poveri e quella dei preti dei ricchi» …Nel ’75 siamo venuti via e siamo andati a lavorare in fabbrica. Se non ci fosse stato questo clima io forse non sarei andato via così velocemente.

Non c’è stata solo la fabbrica pur così importante nella vita di Giuseppe c’è stato e c’è Macondo, con l’attività di aiuto e di sostegno a progetti di formazione e di educazione rivolti all’infanzia e all’adolescenza, in paesi dell’America latina, Brasile, Argentina, Messico; e dell’Africa, Sierra Leone, Angola, Togo. Sono la continuazione, l’apertura, l’espansione dell’oratorio di Comacchio. Ci sono le tante Macondo che ha incontrato e nelle cui pieghe dolorose è entrato, ma aveva imparato a farlo qui a Comacchio. Ci sono i mille incontri dei quali ci parla nei suoi libri e nell’articolo che apre Madrugada, la bella rivista, che col suo nome ci assicura che il sole sorgerà ancora e vincerà le tenebre.

Le persone dalle quali e con le quali si è fermato e si ferma come già a Comacchio, amico delle donne e degli uomini, amico di tutti. Andavo a prendere il giornale e ci mettevo due ore a fare duecento metri. Ci sono i suoi libri, tutti da leggere: l’ultimo Vedo un ramo di mandorlo…, quando è ancora è inverno fiorisce e ci assicura che la primavera ci sarà; prima c’è stato Piantare alberi e costruire altalene, la generosità di piantare alberi di cui altri godrà, ombra e frutti, ma buoni anche per costruirvi altalene per il gioco dei fanciulli, pegno di liberazione di donne e uomini; ancor prima in Diario di un viandante e Camminando sul confine, percorre instancabile un mondo difficile, stabilendo contatti, camminando su crinali, attraversando e riattraversando confini con passo sicuro:
«Sono cresciuto in Valsugana: mio padre era un contrabbandiere».

Comacchio, 21/03/2016


27/3/2016
PASQUA È GIOIA, È CANTO.

Pasqua è gioia, è canto. La primavera, che sta esplodendo in questi giorni, niente e nessuno riuscirà a fermarla. Eppure i segni della morte sono talmente diffusi e potenti, che potremmo dire, con il popolo ebreo in esilio “Come cantare i canti di Sion in terra straniera?” (Salmo 37, 4) Vorrei consegnare il sogno di Dio a tutte le periferie del mondo, con la gente che vi abita e grazie alla quale ho imparato a restare umano e vivente. Percorrendo il cammino di liberazione con ostinata speranza, ho voluto trasformare, a modo mio, una poesia di p. Davide M. Turoldo, cercando di rendere possibile il mistero del mattino pasquale. “Andrò nel bosco questa notte e abbraccerò gli alberi e starò in ascolto dell’usignolo, che canta, ogni notte … Poi andrò a lavarmi nel fiume e all’ alba passerò sulle porte di tutti i miei fratelli e dirò in ogni casa: “Pace”! Andrò in giro per le strade, zufolando, finché gli uomini diranno: “È pazzo!”. Mi fermerò soprattutto con i bambini a giocare per strada. Lascerò un fiore ad ogni finestra dove abitano i poveri. Saluterò chiunque incontrerò per via, inchinandomi fino a terra… E poi suonerò con le mani le campane finché non sarò esausto.. E, a chiunque venga, anche al ricco, dirò: “Siedi pure alla mia mensa!”. Anche il ricco è un pover’uomo.. E a tutti dirò: “Avete visto il Signore?” Ma lo dirò in silenzio, con un sorriso.

Giuseppe – prete .


3/4/2016
CI SI PUÒ VENDERE?

“Non venderti, sei tutto ciò che hai”
(Janis Joplin)

Oggi, ho scelto una frase della cantante americana, è quella che ha introdotto i timbri blues afro-americani nel rock bianco. Una frase che suona come un monito tragico sulle sue labbra. Morì per overdose di eroina nel 1970. Vendendosi a soli 27 anni a quel idolo implacabile. Alla base forse c’era la sua profonda solitudine interiore. Lei stessa confessava: “Sul palco faccio l’amore con venticinque mila persone. Poi torno a casa sola”. Sono tanti i modi di vendersi e non solo cedendo il proprio corpo. C’è la rinuncia alla propria dignità, scegliendo il compromesso morale, bruciando l’anima nel vizio, lasciandosi andare alla deriva della disperazione. È ancora la Joplin a dichiarare: “Si può distruggere il presente, preoccupandosi solo del futuro”.


10/4/2016

Al corso sindacale ho cominciato citando il profeta Geremia: “I bambini suonano in piazza e nessuno danza e i bambini in piazza hanno paura e nessuno piange”. Infine la frase poetica di Zanzanthakis, che si stampa nelle coscienze con la musica: “La quercia disse al mandorlo, parlami di Dio, e il mandorlo fiorì” . Sono stralci poetici che i lavoratori e le lavoratrici sanno apprezzare molto bene e non batteranno le mani. Forse spiegate loro bene a capire il PIL (saranno scrosci di applausi), ma poiché, la crisi non è né politica né finanziaria e neppure religiosa, ma spirituale, tentare di trasmettere loro la simpatia di Dio, credo sia un atto gratuito d’amore.


10/4/2016
L’ULTIMA STANZA

“Rientrando nella chiesa del mio battesimo, fu come mi riconciliassi con l’ultima stanza di casa, la più ampia, la più aperta all’ospitalità, con negli angoli l’odore della mia infanzia”.
(don Luisito Bianchi)

Lo stesso, vagabondo, Jack Kerouac, restava affascinato nella chiesa della sua infanzia.
Stessa cosa succede pure a me. Facendo ridere di tenerezza i vecchi paesani e i miei parenti, nel tempio del mio battesimo e della mia infanzia, ritrovo non l’odore dell’incenso, ma il profumo più puro e felice della mia vita.
Le parole “nella Messa dell’uomo disarmato” di Luisito Bianchi, prima prete operaio e poi un mistico appassionato, sono significative perché la stanza ritrovata non è la “prima” (come sarebbe istintivo affermare, ma l'”ultima”). Scavando, infatti, in profondità nell’anima, viene alla luce la bontà sepolta, appunto la stanza bella e ospitale che abbiamo abbandonato e che dovrebbe invece diventare la stanza definitiva.


14 aprile 2016

Io che sono vicina alla morte,
io che sono lontana dalla morte,
io che ho trovato un solco di fiori
che ho chiamato vita
perché mi ha sorpreso,
enormemente sorpreso
che da una riva all’altra
di disperazione e passione
ci fosse un uomo chiamato Gesù.
Io che l’ho seguito senza mai parlare
e sono diventata una discepola
dell’attesa del pianto,
io ti posso parlare di lui.
Io lo conosco:
ha riempito le mie notti con frastuoni orrendi,
ha accarezzato le mie viscere,
imbiancato i miei capelli per lo stupore.
Mi ha resa giovane e vecchia
a seconda delle stagioni,
mi ha fatta fiorire e morire
un’infinità di volte.
Ma io so che mi ama
e ti dirò, anche se tu non ci credi,
che si preannuncia sempre con una
grande frescura in tutte le membra
come se tu ricominciassi a vivere
e vedessi il mondo per la prima volta.
E questa è la fede, e questo è lui,
che ti cerca per ogni dove
anche quando tu ti nascondi
per non farti vedere.

Alda Merini

Chi suona le corde della nostra vita, meglio del genio sublime di una donna.
Non sentite il respiro e l’armonia?
Ascoltatela e poi camminate lungo un sentiero che va incontro all’Alba.
Grazie Alda Merini.
Giuseppe – prete


17 aprile 2016
BEATI I POVERI

Esiste un’unica classe di persone che pensano
al denaro più dei ricchi: i poveri non riescono
a pensare ad altro
(Oscar Wilde)

È questa una delle battute più acide, ma realistiche di Oscar Wilde.
Il denaro è il grande idolo protettore, sia del ricco, come del resto è il dio dorato, invocato, dai poveri e dai miserabili..
Sarà per questo che San Matteo ha reso nel suo Vangelo il “Beati voi, poveri” del passo parallelo di San Luca, in un “Beati i poveri in spirito”. Non credo l’abbia fatto per esaltare un comodo distacco “spirituale” dai beni posseduti e goduti, quanto invece per ricordare che il demonio del denaro può essere presente in tutte le coscienze e diventare un signore implacabile ed esigente sia del benestante, sia del mendicante.


19 aprile 2016

Vi affido questo pensiero di Pablo Neruda, per domani quando vi svegliate.
“Lasciate tranquilli i vostri figli.
Lasciate spazio e tempo perché vivano.
Non preparate per loro tutto già fatto.
Non leggete a tutti lo stesso libro.
Lasciate a loro scoprire l’alba…e
siano loro dare il nome ai loro baci.”


25/4/2016

“Lo straniero comincia quando sorge la coscienza della mia differenza e finisce quando ci riconosciamo tutti stranieri, ribelli ai legami e alle comunità”
(Julia Kristeva)

Non esiste il ‘pane mio’. Tutto il pane è nostro, ma è dato a me. Agli altri è dato per mezzo di me, a me per mezzo degli altri.
Mi viene incontro il sole. Presento alla luce il soffio raccolto nelle mie mani, il mio camminare e il bastone, sul sentiero della montagna. Il canto della preghiera, il profumo dell’incenso hanno fatto germogliare un sapore di pace. Che tornaconto può avere la felicità, se la vita è una gara a chi arriva primo. Non si lotta a essere migliori, si costruisce la pace a essere migliori.
C’è ancora negli occhi di chi ci ascolta, un riflesso di accordo? C’è magari un cenno di rivolta al clima di depressione in cui siamo precipitati, messi alle corde, accucciati dalla paura? I recinti, i cancelli, le pareti, le torture, le manette, i sequestri, le guerre, i blocchi vogliono separare i fortunati dagli sfortunati, quasi esistesse un destino inamovibile, che separa i buoni dai cattivi, i giusti dagli ingiusti, gli inclusi dagli esclusi del mondo.
Arriva, però, un uomo che annuncia l’anno della misericordia, per allungare la mano, aprire la porta, offrire un tetto, scaldare il cuore di uomini, donne, bambini che fuggono dalla guerra, dalla carestia, che cadono a terra e precipitano in mare alla fine di un lungo viaggio.
La misericordia non ha la corazza della religione, ma porta le ali della fede, nasce dalla giustizia e la supera, perché germoglia dalla scelta di condividere la sorte di chi cammina nel pianto e non nutre più ragioni di speranza.
Ci è chiesta, allora, la forza di osare di più. La capacità di inventarsi. La gioia di prendere il largo perché il bisogno di sicurezze ci ha inchiodati un mondo vecchio.
Ci stimola ad una creatività più fresca, ad una fantasia più liberante, alla gioia turbinosa dell’iniziativa che ci ponga al riparo da ogni prostituzione. Ci doni, l’amore di Dio, una solidarietà nuova, una comunione profonda, una «cospirazione» tenace.
Basta, così, non vi voglio stancare. È già scesa la notte, laggiù, sul mare, ancora senza vele e senza sogni, si è accesa una lampada.
Giuseppe – prete


19/6/2016
DOMANDARSI: PERCHÉ?

“La stupidità della gente deriva dall’avere una risposta per ogni cosa. La saggezza deriva dall’avere una domanda per ogni cosa”
(Milan Kundera)

È, l’arte di interrogarsi, più da maestri che da discepoli. “Occorre aver imparato molte cose per sapere domandare ciò che non si sa”, ammoniva Rousseau. Effettivamente credo che l’intelligenza di una persona si misura dalla profondità delle sue domande, che spingono al di là dell’ovvio.
Purtroppo il trionfo dello slogan, ci ha abituato alla risposta, quella preconfezionata, pronta a incartare nello stereotipo della banalità, anche le questioni più delicate e complesse.
L’animo umano nasce col desiderio di trovare il senso intimo delle cose, come ci insegnano i temuti ed insistenti “perché” dei bambini. E’ un desiderio che viene narcotizzato dalle riposte superficiali e dai tanti luoghi comuni…”Una vita senza ricerca non merita di essere vissuta”, diceva il buon Socrate.


22/6/2016

E un angelo arrivò… venuto da dove? Non lo so. Era l’8 di maggio 2016, giorno della festa di Macondo. Non lo conoscevo, ma lui da tempo mi seguiva, come uno sconosciuto. Chiese umilmente di poter aiutarmi con qualche esercizio per tutelarmi e di conoscere il compagno Parkinson, che sbadatamente aveva occupato il mio corpo, togliendomi la possibilità di portare a termine il mio progetto di veder danzare e cantare i bambini di strada sulle piazze del mondo. Chi ti manda? gli chiesi, lui non rispose. Mite e sicuro parlò al mio cuore. Accettai, dicendogli che la mia paura non cerca rivali, ma solo la quiete per vincere il nemico che è in me. E lui, quasi piangendo, aggiunse, la vita non mi stanca mai e anche tu non dovrai stancartene.
Sì, risposi, ora, che siamo amici, posso dirti che dobbiamo vivere con passione, perdere con classe e vincere osando.


2/5/2016
DUBBIO INTELLIGENTE

“La cosa seccante di questo mondo è che gli imbecilli sono sicuri di sé mentre le persone intelligenti sono piene di dubbi”.
( Bertrand Russell)

Tante persone appena sveglie sono piene di dubbi. soprattutto se hanno un impegno delicato o la responsabilità di un gesto. E’ sempre difficile prendere la decisione giusta, aver chiara la soluzione ottimale. Passano i minuti e si fa breve il tempo per pensarci. Un fuoco d’ansia colpisce la mente e una frenesia poco controllabile agita le mani, i pensieri e le parole.

Arrivare ad una decisione è importante, direi inevitabile, ed è qui che sorge l’intelligenza del dubbio: non agire superficialmente, accettare il travaglio di ogni decisione, in modo che non accada di fare la scelta sbagliata e di pentirsi quando è troppo tardi. E’ perciò intelligente dubitare al mattino, mentre farlo alla sera, è, se non proprio da imbecille, quanto meno inutile.


5/5/2016
GESÙ NON SE NE VA, MANUELA – MAURIZIO – MILENA – GIANNI E….

“E se me ne andrò mentre tu sei ancora qui… Sappi che io continuo a vivere, vibrando con diversa intensità, dietro un sottile velo che il tuo sguardo non può attraversare. Tu non mi vedrai devi quindi aver fede. Io attenderò il momento in cui di nuovo potremo librarci assieme in volo, entrambi sapendo che l’altro è lì accanto. Fino ad allora, vivi nella pienezza della vita. E quando avrai bisogno di me, sussurra appena il mio nome nel tuo cuore, …e sarò lì”. (Colleen Hitchcock)

OGGI È L’ ASCENSIONE. Ieri sera ho scoperto questo canto, dolcissimo , per tutte le amiche e per tutti gli amici che la vita mi ha fatto incontrare in questi ultimi anni, dove ho scoperto la mia fragilità e tenerezza.


16/5/2016
PAURA

La paura è comprensibile. Gli imprenditori della paura, invece, sono pericolosi

(Stefano Rodotà)

La paura è umana, anzi, addirittura Montaigne affermava che “Era la cosa di cui aveva più paura”. Di fronte a certi politici, che con la bava alla bocca, costruiscono le loro fortune di consenso, proprio nel seminare paura, penso che il monito di Rodotà sia di una persona saggia, in quanto una sapienza nasce, in una società, come la nostra, squarciata da eccessi verbali e pratici di rigetto, di chiusura, di panico, con scelte politiche lungimiranti, cioè insegnando che i mali vanno guariti e non vendicati e praticando il valore del silenzio, spesso unico antidoto al discorso fallace. Quanto diceva Tagore è assai istruttivo. ” Hai in cuore qualcosa da dire? Al mercato dei ciarlatani nascondilo nel silenzio”.
Giuseppe – Prete.


30/5/2016
SIAMO TORNATI

Siamo tornati questa sera tardi, sotto un vero diluvio. Un modo per accettare che la pazienza è una risposta che non ha mai fine. Siamo andati a Pels di Maiano (Udine) a battezzare Tomas .figlio di Miriam e di Fabio, docili creature. E’ stata una grande festa, preparata e convogliata nel mistero della gratuità da tanti amici e amiche. Chiedo comprensone da parte di chi sta aspettando, un mio cenno o una mia risposta. Il mese di giugno si presenta silenzioso. Sarà dedicato, con prevalenza, al silenzio e al tentativo di rispondere. Carissime e carissimi, vi consegno a conclusione delle due giornate passate in Friuli un pensiero di Ferdinando Pessoa che oggi mi ha letteralmente martellato la testa ” Grandi sono la poesia, la bontà e la danza, ma il meglio del mondo sono i bambini”.
Giuseppe – prete


3/6/2016
IL FANATISMO ED ELEZIONI DEMOCRATICHE…

“La democrazia non è la perfezione raggiunta.
Essa dipende dall’umanità, la quale è
grandezza e miseria, miseria e grandezza”
(B. Pascal)

La più grande perdita di tempo è discutere col fanatico, al quale non importa la verità e neppure la realtà, ma solo la vittoria del suo fanatismo.
Credo sinceramente nel progresso morale dell’umanità, ma penso non possa avvenire senza il monito severo dei saggi, senza l’esempio dei santi e dei semplici, senza la visione dei profeti, senza la libertà dei poveri nel cuore e neppure senza che gli scettici, accecati dallo spettacolo del male non si neghino alla speranza attiva e ostinata.
La corruzione popolare è possibile, ed è la volontà e il programma ben chiaro di chi vuole dominare lasciando credere il popolo di essere libero, infatti, se le elezioni servissero a qualcosa ce le lascerebbero fare? Sta a noi fare che servano.
Giuseppe – prete.


8/6/2016
CREDERE

Essere credenti vuol dire «essere dei cercatori», non già «avere delle risposte». Uno che crede veramente in Dio è sicuro che non può dimostrarlo. (G. Stoppiglia)


14/6/2016
INSEGNARE

“Tutti coloro che sono incapaci d’imparare, si sono messi a insegnare”
(Oscar Wilde)

Lo scrittore raffinato, con la lingua tagliente, come mi piace definire Oscar Wilde, nella sua battuta, come in tutti i paradossi, mescola verità ed esagerazione.
Ci sono, infatti, dei docenti capaci di rendere odioso all’alunno, ogni capolavoro di arte o di letteratura, di scienza o di filosofia, perché non li hanno mai imparati o perché sono confusi e prolissi nell’esposizione.
Papini aggiunge che arrivano a “non dire niente e a dirlo male”. Oscar Wilde, va ancora più in là, quando afferma: “Agli esami gli sciocchi fanno domande a cui, neppure i saggi non sanno rispondere”. Posso, del resto testimoniare, di aver incontrato dei docenti straordinari sia in giovinezza, sia in età matura, ma ugualmente, prima di accusare gli studenti di superficialità e di svogliatezza, dovrebbe fare un esame critico anche chi insegna, me compreso, anche se non uso mai il verbo insegnare.


21/6/2016
ANALFABETA POLITICO ED EMERGENZA EDUCATIVA

“Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista”
(Kenneth Boulding)

Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, né s’interessa degli avvenimenti politici. Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine, dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è talmente somaro che si inorgoglisce e si gonfia il petto nel dire che odia la politica. Non sa l’imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi che è il politico disonesto, il mafioso, il corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali. ((B. Brecht).

Ho fatto l’impossibile, ieri pomeriggio e nella notte, per non ascoltare i commenti dei politici sui risultati delle Elezioni. Per capire l’emergenza educativa che stiamo vivendo in Italia e in Europa, è prodotta da molti fattori, ma anche da una politica che porterà all’odio, all’antagonismo distruttivo, all’uccisione delle idee dell’altro, fino a desiderarne la morte, mi ha spinto ad ascoltare i loro discorsi inquietanti, paranoici o trionfanti, tutte parole vuote disperanza collettiva.

Personalmente credo in nuovi luoghi, luoghi per ridere all’aria aperta ( la natura), luoghi per sentirsi comunità (l’umanità) e luoghi per attendere la vita eterna. ( che è già nell’oggi). Prendere la politica sul serio significa semplicemente essere capaci di mettersi al posto dell’altro, per poter accettare che è tanto reale, quanto me.