All’origine dell’aggressività

di Bruni Alessandro

Dall’oggettivo al soggettivo e ritorno

L’aggressività individuale e sociale sono caratteri dominanti del tempo contemporaneo. A ben guardare, si potrebbe dire che il conflitto Russia-Ucraina è il lascito delle invasioni barbariche da est a ovest che hanno caratterizzato la fine dell’impero romano e il medioevo. Mentre la guerra Israele-Palestina ricorda tanto le crociate, con le teste reciprocamente mozzate. Non solo, l’aggressività individuale, come in passato, rende insicure le città e rende insicure le persone fragili facendo nascere una paura individuale e sociale strisciante, che determina un aumento di aggressività, da difesa modulabile in odio da conservazione e in odio da attacco, ovviamente sempre espresse ipocritamente come “volontà di pace”, che ha sostituito il precedente “dio lo vuole”.
Dunque, l’uomo è lupo e a nulla sono serviti nei secoli gli uomini di pace e a nulla serviranno quelli contemporanei? Uomini dalle mani nude, imbelli, vocati all’utopia buonista che predica l’illusione dell’altruismo non rendendosi conto che la solidarietà altro non è che la faccia nascosta dell’egoismo, altro non è che un vello di agnello sul corpo di un lupo la cui natura è originariamente ed evolutivamente aggressiva? Le teorie biologiche dell’aggressività partono dal principio che è innata nell’uomo come eredità evolutiva per filogenesi animale. L’istinto sarebbe quindi uno stimolo o impulso innato trasmesso sulla base di un comportamento etologico determinato geneticamente e controllato dalla selezione naturale. Questo assunto biologico non riesce a spiegare completamente il comportamento umano e dei primati (esistono in natura anche esempi di società animali pacifiche), ma costituisce uno zoccolo evolutivo sul quale si sono basate molte spiegazioni del passato, specie per giustificare l’aggressività e la violenza di alcuni popoli.
Di qui alla domanda corrente: l’aggressività è giustificata da un istinto naturale? Le guerre correnti tra Russia e Ucraina e tra Israele e Palestina trovano giustificazione genetica o sono il frutto di costruzioni sociali sbagliate? Le teorie biosociali dell’aggressività partono dal principio che l’aggressività non è dovuta solamente a un istinto innato, ma che è attivata ed esaltata da uno specifico contesto sociale. Essenzialmente si basano sull’ipotesi della frustrazione-aggressività, secondo la quale l’aggressività è la risposta a una precedente condizione di frustrazione. L’aggressività, dunque, può essere elicitata da numerosi fattori che scatenano la paura inconscia e il meccanismo di difesa sia individuale che di gruppo. In questo contesto psicosociale la mescolanza dei fatti e delle opinioni è tanto stretta da non riuscire a distinguere le une dagli altri dato che spesso le opinioni vengono vissute come fatti. È chiaro che in questa condizione la negoziazione della pacificazione non può agire, essendo interpretata come un segno di debolezza invece che come un segno di responsabilità.
In psicologia sociale si descrive l’aggressività in tre fasi di processo: l’acquisizione, il percorso, l’azione. Le ultime due sono pertinenti e in relazione all’argomento sul quale si applica l’azione aggressiva, mentre il primo, l’acquisizione, è pertinente con la fase generale che riguarda tutte le possibili espressioni individuali e sociali dell’aggressività. Questi fattori possono essere classificati come aspetti contestuali o situazionali, oppure come aspetti personali elicitati dalla situazione di contesto quali: genere sessuale, convinzioni etnico-culturali, attitudini personali, valori identitari, obiettivi personali a lungo termine, leggi, normative e cultura scritta, fattori di contesto. Una pletora di fattori di distinguo che impediscono ogni soluzione negoziale ed esaltano ogni situazione conflittuale in un sovranismo del «noi siamo diversi» che sfocia nel «noi non siamo uguali a loro». Ovvero, il fatto biologicamente costitutivo della diversità nella fratellanza del nostro DNA viene trasmesso facendo passare una opinione (sbagliata) legata a una frustrazione individuale come un fatto sociale costitutivo immutabile: quasi fossimo lupi che ritengono nemici quelli di un altro branco; quasi dimenticando che la differenza sta nell’evoluzione umana di una corteccia cerebrale che sovrasta il cervello rettile primigenio.
La pace è sempre stata difficile da raggiungere, ma oggi l’esiguità delle risorse e la globalizzazione inducono a pensare che la soluzione di divergenze con la guerra siano più stupide che in passato. Il futuro dell’uomo è sempre più legato al principio della non violenza basato su chi opera nel silenzio delle azioni concrete della solidarietà tra i popoli.
La pace non è solo espressa dal comportamento dei governi, ma soprattutto un’esigenza individuale di non aggressività quotidiana nei piccoli gesti, nel non costruire recinti, nel continuare a fare ponti verso l’altro poiché la guerra rimane, sempre e comunque, un atto che porta alla disperazione dello spirito umano.

Alessandro Bruni

biologo farmaceutico, già preside della facoltà di farmacia dell’università di Ferrara, componente la redazione di madrugada, curatore del nostro blog madrugada.blogs.com