Scienza e coscienza

di Gandini Andrea

Scienza è conoscenza

Condivido con Alessandro Bruni l’importanza della scienza (episteme) sull’opinione (doxa) e che la scienza è «un processo conoscitivo complesso, probabilistico, falsificabile, contraddittorio, fondato anche su fallimenti, ma proprio per questo idoneo a consegnare prove verificabili prive di opinioni». Come dice anche Giorgio Parisi: «la scienza fa previsioni oneste che diventano affidabili dopo che, poco alla volta, si forma un consenso scientifico…, che coinvolge l’intera comunità scientifica e non è manipolabile». La scienza è conoscenza, scoperta di ciò che non si conosceva e, come tale, insieme all’amore, è la forma più eccelsa dello spirito umano. Essa però può essere usata, a differenza dell’amore, anche contro gli esseri umani, se non è accompagnata dalla morale, come nel caso delle armi atomiche e dei 380 laboratori che manipolano virus (e i relativi vaccini) come armi batteriologiche, da cui, secondo la maggioranza degli esperti è fuoriuscito il Covid-19 (tre anni fa non si poteva dirlo).
Queste «prove verificabili che diventano affidabili… poco alla volta», comportano, secondo la prestigiosa rivista Nature, però molti anni di studi e prove. Ciò risponde a princìpi di precauzione che la scienza si è data per evitare di creare danni maggiori di quelli che si vuole curare. Ma ciò contrasta con l’interesse delle imprese di capitalizzare subito i profitti della ricerca, a costo di introdurre innovazioni con difetti o effetti collaterali che solo nel lungo periodo vengono eliminati o ridotti. La pillola anticoncezionale, scoperta nel 1951, aveva un dosaggio ormonale 200 volte superiore a quella di oggi e provocò disturbi vascolari, embolia polmonare e cancro al seno.
Nella storia abbiamo avuto periodi (17801850 in Inghilterra, 1870-1910 in Usa) dove le innovazioni tecnico-scientifiche, non bilanciate da contro-poteri (come sindacati, associazioni o autorità indipendenti), hanno prodotto enormi profitti per chi le ha introdotte, ma danni giganteschi alla grande maggioranza della popolazione.
Ne parla Daron Acemoğlu nel bel libro Power and progress (che non è un economista “contro” il sistema), evidenziando oggi i pericoli dell’Intelligenza Artificiale, spacciata come scienza, qualora fosse introdotta senza che i cittadini e le loro rappresentanze possano negoziarne le modalità d’uso, al fine di favorire tutti e non solo chi la crea.
Siamo in un’epoca in cui non si crede più al “progresso” e società in declino sul piano umano usano la scusa della “scienza” (come modernità) per introdurre processi che di scientifico hanno ben poco. La diffidenza non nasce verso la scienza o il metodo scientifico, ma per l’uso di alcuni risultati scientifici da parte del potere (a volte politico, a volte economico-finanziario) per introdurre, con il supporto della scienza, scelte politiche e non avere così critiche, in un contesto di crescenti paure: pandemia, guerra, ambiente, impoverimento, immigrazione, solitudine, intelligenza artificiale.

Decide il mercato

Il principale regolatore della vita economica in Occidente è oggi il sistema finanziario che è anche il grande finanziatore della ricerca scientifica, stanti i miseri finanziamenti alla ricerca indipendente. Per questo non ci sono studi sugli effetti collaterali di più farmaci ingeriti, pur sapendo che gli anziani ne assumono da 4 a 7 ogni giorno o sui molti problemi oggi centrali per la vita degli esseri umani.
Così la scienza, che ha prodotto grandi progressi per l’umanità (ma anche minacce mortali), oggi è sempre più criticata quando assume (o pare assumere) il volto del potere o del profitto.
Scrivono Sara Gandini (epidemiologa/biostatistica) e Paolo Bartolini (filosofo): «Il fatto è che non esiste scienza moderna senza un intreccio di aspetti specialistici mescolati con fattori economici, finanziari, educativi, ecologici, politici e così via… se consideriamo gli studi in ambito medico o farmaceutico, per esempio, il problema non è solo quello degli affari opachi che legano alcuni medici a determinate case farmaceutiche, o certi ricercatori alle industrie che commissionano l’innovazione tecnologica, ma che questi studi e/o scoperte scientifiche e tecnologiche, rispecchiano le condizioni materiali e simboliche che inseriscono ogni ricerca nella cornice di un progetto di civiltà condiviso… in tal senso non vi è nulla di neutro».
Durante la pandemia i media mainstream, ma anche la comunità scientifica, si sono piegati alla politica nella scelta di cosa pubblicare o meno su importanti riviste scientifiche.
Ora che non c’è più quella pressione politica molte società scientifiche lo stanno ammettendo.
Furono orchestrate campagne di discredito contro i grandi scienziati della Great Barrington Declaration, che si erano uniti per far conoscere la loro voce e mostrare che la comunità scientifica non era compatta a sostenere i lockdown. Chi portava senso critico sulle evidenze scientifiche come Ioannidis, uno dei maggiori epidemiologi al mondo, è stato attaccato brutalmente. In un articolo magistrale sul fallimento della scienza durante la pandemia, spiegò bene come in quel periodo la politica avesse avuto un’influenza deleteria sulla scienza. Qualunque cosa uno scienziato dicesse poteva essere utilizzata come arma per le agende politiche. Ciò che manca oggi è la politica. O meglio, i politici non decidono più nulla, decide il mercato.
Nel caso della pandemia ci sono state due strategie polari: severi lockdown o lasciar correre il virus (proteggendo i fragili) per creare immunità naturale (caso Svezia). I morti “per” Covid sono stati per il 98% sopra i 50 anni, quelli inferiori ai 39 anni 0,3% e solo 89 decessi (0,06%), sotto i 19 anni. Solo il 2,9% dei decessi non mostrava patologie gravi concomitanti. È stata quindi una malattia per ultra anziani e fragili, non per l’intera nazione. Ancora oggi si magnificano i lockdown, quando i dati (mortalità in eccesso) mostrano che la strategia svedese è stata la più efficace. Oltre ai vaccini si poteva usare la rete territoriale e domiciliare (che non c’è stata) o certi farmaci. Dov’era dunque quel «consenso scientifico che coinvolgeva tutta la comunità» di cui parla Parisi? Non parliamo degli sprechi: 2,4 miliardi solo in Italia per vaccini finanziati in maggioranza con fondi pubblici e altri 16 miliardi per spese per Covid. È anche per questo che oggi ci troviamo in braghe di tela nella sanità pubblica. Che dire infine dell’enorme danno fatto a bambini e adolescenti che durerà ancora per molti anni? Sarebbe stato onesto dire: poiché siamo in emergenza, assumiamo queste decisioni (opinabili); poi col tempo faremo verifiche e una retrospettiva per capire errori e scelte giuste. Così procedono scienza e buona politica. Se non c’è, nasce una naturale diffidenza.
C’è poi il problema di alcune “scienze” che hanno implicazioni sociali rilevantissime (come economia e medicina) che non sono affatto “scienze”.
Gli economisti e i manager finanziari hanno gradualmente sostituito i sacerdoti nella regolazione della vita economica e nel guidare le principali scelte della società, facendo credere che il libero mercato (e l’ideologia neo-liberista) sia un assunto scientifico, quando non solo non lo è, ma sta portando la nostra madre Terra verso l’autodistruzione, alterando equilibri millenari con la Natura e sociali che hanno prodotto per secoli benessere (comunità locali, relazioni, famiglia, spiritualità) sulla base di princìpi economici che nulla hanno di “scientifico”: crescita materiale infinita, disuguaglianza, individualismo, consumismo, libertà di mercato.
Purtroppo, siamo ancora in una fase dell’evoluzione umana in cui la coscienza degli umani è debole in quanto influenzata o dal potere o dal denaro o dagli ordini dall’alto (come ha mostrato Hannah Arendt in La banalità del male).
Coscienza e morale sono in declino, anche per la dissoluzione delle comunità all’interno delle quali viviamo, che, pur con i loro limiti, sono una forma di controllo e legittimazione sociale che riduce atteggiamenti opportunistici oggi sempre più diffusi da cittadini che vivono in comunità sempre più “nomadi”.
E poiché la scienza progredisce, economia e medicina riconoscono oggi come validi aspetti che solo 20 anni fa negavano. Il Nobel Daniel Kahnenam (citato da Bruni) fa parte, per fare un esempio, di una corrente non riconosciuta dagli economisti neo-liberali, che ha messo in discussione la credenza nelle decisioni economiche dell’uso della sola razionalità o utilità.
Se la stessa Accademia prende atto di come la “scienza economica” sia in evoluzione, non può stupire che molti cittadini critichino i “precetti” degli economisti classici (oggi mainstream) che hanno per decenni enfatizzato valori materialistici come reddito, ricchezza, consumi. Soprattutto quando vedono che questa economia sta portando alla distruzione del pianeta, a disuguaglianze senza precedenti, a un impoverimento di massa a vantaggio di pochi ricchi. Tutto ciò non è certo colpa della scienza che anzi mette in luce da decenni una CO2 pari a 423 parti per milione quando negli ultimi 420mila anni è stata tra 180 e 300, anche se bisogna riconoscere che ogni 100mila anni la temperatura è salita di 2-3 gradi (e ora sarebbe il momento).
Questo studio basato sull’analisi del ghiaccio in Antartide è stato pubblicato sulla rivista Nature il 3 giugno 1999. Per chi avesse la possibilità di accedere allo studio completo (bisogna essere purtroppo un Istituto di ricerca) si veda: J.R.
Petit, J. Jouzel e altri, Climate and atmospheric history of the past 420.000 years from the Vostok ice core in Antarctica, Nature 399 (3 June 1999), pp. 429-436.
L’Europa, sulla base di ciò, ha avviato un poderoso piano di transizione “verde”. Ma è pensabile farlo colpendo occupazione e salari dei ceti più deboli, quando non c’è alcun piano per ridurre le gigantesche disuguaglianze? Perché non si fa un piano altrettanto radicale su paradisi fiscali, lotta all’evasione, riduzione delle diseguaglianze? La scienza su ciò ha poco da dire, ma le opinioni dei cittadini molto e quando il potere usa la scienza per andare solo in una direzione, i cittadini storcono il naso.
C’è infine un problema per la scienza quando misura tutto con numeri e dati quantitativi (a differenza del Cristo che non volle essere censito perché ricercava la qualità), anche ciò che non è capace di misurare come la qualità (alimenti, sentimenti, felicità, spiritualità). Poiché non sono misurabili coi numeri non significa però che non esistono. Non è forse ciò che ha prodotto la credenza (stupida) che il progresso umano sia misurabile in base a indici quantitativi come il PIL (ideato per tempi di guerra), mentre si vanno riducendo il welfare, le comunità, le relazioni e il pianeta va a fuoco?

L’importanza della scienza e l’evoluzione della coscienza

La recente scoperta scientifica che chi aveva certi geni DNA (da Neanderthal) nella val Seriana aveva un rischio doppio di altri di morire per Covid, mi porta a dire che oggi c’è più interesse a studiare il DNA che a capire quali scelte organizzative e di medicina territoriale si devono fare per contrastare le epidemie. Il primario medico De Donno, che aveva scoperto che col plasma iperimmune (che costava pochissimo) si poteva guarire dal Covid, non è stato aiutato da nessuno nella ricerca, anzi è stato messo in croce a tal punto che si è suicidato. Oggi si riconosce che la sua intuizione avrebbe salvato migliaia di persone, ma allora dava fastidio avere una cura diversa dai vaccini.
La scienza è vista con sospetto se è guidata dalla finanza, non è indipendente, né supportata dalla moralità.
In futuro si scopriranno di certo nuovi metodi di analisi, come per esempio già sta avvenendo con la cromatografia e la cristallizzazione sensibile che individuano in base alla forma che assumono al microscopio le verdure/ortaggi se sono stati coltivati in modo qualitativo e biologico. Le tecniche di cristallizzazione sensibile (www.cristalizzazione.it) si basano sulla valutazione qualitativa dell’immagine. Questi nuovi studi dicono che, per valutare la qualità degli alimenti, non basta considerare solo vitamine, proteine, zuccheri, grassi, ecc. né le loro quantità. Occorre anche cercare di capire quale sia la “fonte nutritiva” o, ancor meglio, la “carica vitale” del cibo che nella natura si manifesta in una specifica morfologia.
L’analisi chimica delle componenti non riesce nella maggior parte dei casi a discriminare un prodotto di qualità da un altro, se non per via “negativa”, cioè certificando la presenza o l’assenza di inquinanti più o meno tossici.
Così nella genetica gli studi sulla selezione delle mucche sono stati fatti negli ultimi 70 anni al fine di aumentare la produzione di latte (da 15 a 40 litri/giorno) anche a costo di ridurre la durata della vita che ora è di soli 4,7 anni e impedisce alle mucche di avere un secondo vitello. Anche questa viene spacciata come “scienza”, seppure in palese conflitto con il benessere animale e in futuro chissà come sarà considerata una tal “scienza”.
Credo infine che un limite di molti approcci scientifici sia l’iper-specialismo, mentre si dovrebbe partire da una visione d’insieme, “universale”. Il Rinascimento italiano, che il mondo ci invidia, fu un’epoca in cui la scienza conviveva con arte e religione (oggi potremmo dire morale o spiritualità).
I giganteschi problemi dell’umanità potranno essere risolti anche con una conoscenza e scienza coniugate alla morale. Dopo la rivoluzione francese si decise che la liberté sarebbe stata introdotta nella sfera economica e si è costruita una “scienza”, come l’economia, a supporto. Potrebbe essere che in futuro la liberté venga invece inserita nella sfera della cultura, mentre in quella dell’economia venga introdotta la fraternité, e che l’economia viri dal libero mercato verso forme di maggior cooperazione e compartecipazione… allora cosa diremo? Che ci siamo sbagliati per 250 anni e che per poco non abbiamo prodotto un’estinzione della specie umana? Allora forse capiremo che com’è importante la scienza (indipendente dal potere di turno, ne sa qualcosa Galileo Galilei), è altrettanto (se non più) importante l’evoluzione della coscienza che in questi decenni ha declinato sempre più, nonostante moltissime scoperte “scientifiche”. Ma questo è un altro paio di maniche.


Andrea Gandini economista, già docente di economia aziendale, università di Ferrara, con la quale collabora per la transizione al lavoro dei laureandi, componente la redazione di madrugada, si occupa di scultura e giochi di legno per bambini e adulti.


Andrea Gandini

economista, già docente di economia aziendale, università di Ferrara, con la quale collabora per la transizione al lavoro dei laureandi, componente la redazione di madrugada, si occupa di scultura e giochi di legno per bambini e adulti.