Un dilemma contemporaneo

di Bruni Alessandro

In un mondo di informazione globalizzata il confronto tra affermazione scientifica e opinione ha assunto un valore assoluto che riguarda ogni conoscenza, ogni sapere, ogni verità, ogni agito collettivo o individuale. Mai come oggi la scienza è stata così criticata e mai l’opinione di massa è stata tanto esaltata. Appare pertanto utile ridefinire i termini stessi di opinione e di assunto scientifico per evitare il perdurare di una cattiva informazione e per evitare la nascita di pregiudizi sul progresso scientifico nella società contemporanea.

Doxa ed episteme

Già nella filosofia greca era ben chiara la distinzione tra opinione (doxa) e scienza (episteme), quest’ultima definibile come un enunciato basato su fatti, o come diremmo oggi sulla sperimentazione controllata. Un percorso filosofico che, ieri come oggi, porta a ragionare di verità soggettiva non solo in termini filosofici, ma anche nella realtà quotidiana che coinvolge il singolo individuo e la collettività.
Oggi, per opinione intendiamo quella conoscenza che è priva di garanzia di verità, ma che è il corrente presupposto di ogni azione quotidiana, dato che riguarda la nostra personalità e quindi deriva dal nostro milieu culturale e psicologico acquisito nell’educazione familiare e scolastica, nelle amicizie e dai compagni di lavoro frequentati. L’opinione, ovvero la nostra personale interpretazione dei fatti che viviamo, si struttura nella mente con il raggiungimento della nostra personale identità che determinerà le nostre scelte di vita quali l’amore, l’odio, la solidarietà, l’intolleranza.
E oggi cosa intendiamo per scienza? Può essere definita come un processo conoscitivo complesso, probabilistico, falsificabile, contraddittorio, fondato anche su fallimenti, ma proprio per questo idoneo a consegnare prove verificabili prive di opinioni. Un assunto che spinge alla verità, che per definizione è assoluta e quindi non è né democratica, né autoritaria perché è altro: non è mai individualista e deve esprimere il consenso di altri ricercatori pari che sono i custodi e i controllori di quanto si è sperimentato.
Quindi la differenza fondamentale tra opinione e scienza è che quest’ultima si basa su dati dimostrati e solo se adeguatamente verificata (e ci vuole tempo, mentre oggi tutto deve essere immediatamente consumabile) l’ipotesi scientifica diventa legge. Passaggio questo che è valido soprattutto per le scienze esatte (es. matematica, fisica, chimica), ma non per quelle definite non esatte (es. mediche, economiche, artistiche). Per Popper sottoporre una teoria scientifica a verifica significa valutarne costantemente la validità fino a che qualcuno non riesca a confutarla sperimentalmente.
Da Galileo in poi, la comunità scientifica esprime la verità sulla base della riproducibilità dei dati. Anche oggi i risultati ottenuti da esperimenti provenienti dai vari laboratori vengono sottoposti al cosiddetto “peer review”, ovvero al giudizio di colleghi sparsi nel mondo che hanno alcune caratteristiche ineludibili quali la terzietà, la competenza, l’indipendenza e il fatto di essere anonimi e non remunerati. Ciò dovrebbe garantire nella stragrande maggioranza dei casi la “genuinità dei dati”. È questo modello di validazione che oggi spesso viene criticato a causa di derive illecite che possono inquinarlo. Ma di fatto ancora oggi non esiste altra procedura validativa altrettanto efficace per arrivare alla verità scientifica. Quindi, non possiamo che accettare il modello procedurale ed essere molto rigidi nell’osservanza delle regole di controllo che talora gruppi di potere economico cercano di aggirare.

Probabilità e necessità

Parlando di scienze applicate dobbiamo poi considerare il concetto di probabilità da contrapporre a quello di necessità. Le scienze applicate sono le prime a essere coinvolte nei progressi tecnologici e nelle emergenze per le quali devono affrontare l’intrinseca natura probabilistica di eventi e natura, si pensi all’ingegneria, alla geologia, alla fisica ambientale e allo stesso concetto di mutazione biologica. Si pensi anche allo specifico di alcune discipline come quelle farmacologiche dove sempre all’efficacia bisogna contrapporre gli effetti collaterali che determinano due tempi differenti: quello della scoperta dell’efficacia e Già nella filosofia greca era ben chiara la distinzione tra opinione (doxa) e scienza (episteme), quest’ultima definibile come un enunciato basato su fatti, o come diremmo oggi sulla sperimentazione controllata. Un percorso filosofico che, ieri come oggi, porta a ragionare di verità soggettiva non solo in termini filosofici, ma anche nella realtà quotidiana che coinvolge il singolo individuo e la collettività.
Oggi, per opinione intendiamo quella conoscenza che è priva di garanzia di verità, ma che è il corrente presupposto di ogni azione quotidiana, dato che riguarda la nostra personalità e quindi deriva dal nostro milieu culturale e psicologico acquisito nell’educazione familiare e scolastica, nelle amicizie e dai compagni di lavoro frequentati. L’opinione, ovvero la nostra personale interpretazione dei fatti che viviamo, si struttura nella mente con il raggiungimento della nostra personale identità che determinerà le nostre scelte di vita quali l’amore, l’odio, la solidarietà, l’intolleranza.
E oggi cosa intendiamo per scienza? Può essere definita come un processo conoscitivo complesso, probabilistico, falsificabile, contraddittorio, fondato anche su fallimenti, ma proprio per questo idoneo a consegnare prove verificabili prive di opinioni. Un assunto che spinge alla verità, che per definizione è assoluta e quindi non è né democratica, né autoritaria perché è altro: non è mai individualista e deve esprimere il consenso di altri ricercatori pari che sono i custodi e i controllori di quanto si è sperimentato.
Quindi la differenza fondamentale tra opinione e scienza è che quest’ultima si basa su dati dimostrati e solo se adeguatamente verificata (e ci vuole tempo, mentre oggi tutto deve essere immediatamente consumabile) l’ipotesi scientifica diventa legge. Passaggio questo che è valido soprattutto per le scienze esatte (es. matematica, fisica, chimica), ma non per quelle definite non esatte (es. mediche, economiche, artistiche). Per Popper sottoporre una teoria scientifica a verifica significa valutarne costantemente la validità fino a che qualcuno non riesca a confutarla sperimentalmente.
Da Galileo in poi, la comunità scientifica esprime la verità sulla base della riproducibilità dei dati. Anche oggi i risultati ottenuti da esperimenti provenienti dai vari laboratori vengono sottoposti al cosiddetto “peer review”, ovvero al giudizio di colleghi sparsi nel mondo che hanno alcune caratteristiche ineludibili quali la terzietà, la competenza, l’indipendenza e il fatto di essere anonimi e non remunerati. Ciò dovrebbe garantire nella stragrande maggioranza dei casi la “genuinità dei dati”. È questo modello di validazione che oggi spesso viene criticato a causa di derive illecite che possono inquinarlo. Ma di fatto ancora oggi non esiste altra procedura validativa altrettanto efficace per arrivare alla verità scientifica. Quindi, non possiamo che accettare il modello procedurale ed essere molto rigidi nell’osservanza delle regole di controllo che talora gruppi di potere economico cercano di aggirare.
Probabilità e necessità Parlando di scienze applicate dobbiamo poi considerare il concetto di probabilità da contrapporre a quello di necessità. Le scienze applicate sono le prime a essere coinvolte nei progressi tecnologici e nelle emergenze per le quali devono affrontare l’intrinseca natura probabilistica di eventi e natura, si pensi all’ingegneria, alla geologia, alla fisica ambientale e allo stesso concetto di mutazione biologica. Si pensi anche allo specifico di alcune discipline come quelle farmacologiche dove sempre all’efficacia bisogna contrapporre gli effetti collaterali che determinano due tempi differenti: quello della scoperta dell’efficacia e della commercializzazione e quello della verifica degli effetti collaterali che necessitano tempi assai lunghi con ricerche di massa (metanalisi) su differenti tipi di popolazione e di presenza di più malattie sullo stesso soggetto. Ogni farmaco racchiude, quindi, due verità che vanno bilanciate con competenza sulla singola tipologia del paziente, mentre nei media troppo spesso si propinano espressioni di opinione semplicistiche che snaturano la verità scientifica.
L’opinione non è mai probabilistica, essendo assoluta come dogma di chi l’ha pronunciata. Può essere contrastata solo mediante un’altra opinione di segno contrario, dato che il processo mentale che porta all’opinione non è riproducibile, essendo strettamente legato al milieu culturale dell’opinionista, che esprime la sua personale interpretazione dei fatti in un contesto di non competenza.
Oggi l’opinione di massa spesso di basa su assunti anti-scientifici, dovuti a bias neuro-cognitivi che ci fanno propendere verso credenze che non implicano necessariamente il pensiero critico-razionale. I bias possono essere definiti come “schemi decisionali” che sono formulati in funzione di un vantaggio, in quanto permettono di fare scelte rapide in condizioni in cui non è possibile avere accesso a tutte le informazioni.
Tuttavia i bias – come afferma Daniel Kahneman, premio Nobel nel 2002 – potrebbero essere poco utili di fronte a scelte complesse, quali sono quelle che la modernità ci propone.
Purtroppo, nel magma di opinioni che riverberano nella rete non c’è più posto per il dato scientifico dimostrato, verificato, ponderato e quindi riproducibile. Il dato scientifico, più che un assunto per capire, è divenuto un’entità usa e getta frantumata dall’opinione del momento e dall’insopportabilità dell’attesa della sua verifica.
Di fronte a una frantumazione conoscitiva così drammatica si sente tuttavia il dovere di riconfermare la supremazia dell’episteme sul doxa, di riaffermare la competenza sull’opinione. Se non altro perché la volatilità della verità soggettiva è ben maggiore della volatilità del dato scientifico.
La differenza sta nel fatto che la scienza ammette la possibilità di falsificazione, mentre l’opinione viene affermata sempre con sicumera di certezza apodittica. E questa non è differenza da poco.
Tra i suoi molti effetti, la pandemia di Covid-19 ha portato a una nuova attenzione oscillante tra verità e certezze “definitive” e opinioni “equivalenti”. Un processo nel quale ci si dimentica che la scienza non può dare certezze nel breve periodo e che è un sistema sociale in continuo dialogo che si alimenta con le controversie. Questi fatti costitutivi determinano inevitabilmente problemi comunicativi nella sua rappresentazione pubblica.
La rivista “Le Scienze” di settembre 2023 ha affrontato il problema della rappresentazione sociale tra scienza e opinione in termini concreti con articoli differenti, ma tra loro concettualmente legati sul piano scientifico e sociale. Qui di seguito si riporta in una sintesi personalizzata l’editoriale di Marco Cattaneo dal titolo Il peso dei dati che non abbiamo che offre un panorama quanto mai problematico sull’uso del Fascicolo Sanitario Elettronico, istituito nel 2012, ma adottato soltanto di recente da molte regioni italiane e, peggio, provvisto di dati non omogenei. Cattaneo rileva che a fine aprile 2021 in Italia erano morte oltre 120.000 persone positive a SARS-CoV-2. Di questi morti di pandemia sapevamo l’età, la regione di residenza e il sesso, ma l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) era in grado di consultare le cartelle cliniche di meno del 10% dei deceduti.
La mancanza di dati statistici certi per differenze di raccolta e per opinione in merito ha chiaramente impedito un governo dell’emergenza sanitaria nazionale per ritardi soprattutto burocratici (un costume atavico italiano), sanitari regionali (un vulnus di differenze nel servizio pubblico tra regioni del nord e regioni del sud), con una manipolazione dei pochi dati disponibili piegati a un pregiudizio di costume e politico che hanno reso il cittadino in bilico tra l’informazione mainstream e le rilevanze populiste di opinione (quindi ascientifiche) con punte di rigorismo mescolato a indifferenza o di negazione dell’evidenza.
Una turbolenza decisionale che senza dubbio ha incrementato il numero dei morti, tra l’altro eravamo incerti pure su quelli, dato che non avevamo un criterio omogeneo per definire i veri morti per Covid. Si vedano in proposito sul blog e sulla rivista madrugada gli articoli di Andrea Gandini, fine analista dell’andamento europeo della pandemia.
I dati e le opinioni sui medesimi sono la croce di questo nostro Paese. Eppure, dati trasparenti e con il massimo grado di dettaglio possibile dovrebbero essere lo spirito guida delle decisioni pubbliche, sia nell’emergenza che nell’ordinaria amministrazione, soprattutto quando ci sono in gioco sanità, investimenti importanti e strategie per il futuro.
Alla base di qualsiasi strategia futura sta la possibilità affascinante di trasferire conoscenze da un contesto all’altro, anche tra discipline diverse. I casi di fertilizzazione incrociata con modelli del sapere sono alla base di ogni approccio culturale.
Certo è che le verità soggettive e quelle oggettive sono strumenti dell’umano che vanno vissute separatamente anche se socialmente comunicate assieme con la giusta considerazione di impatto nella società. Lo stesso altruismo, quando praticato in azioni collettive, determina una spontanea ibridazione reciproca che finisce col determinare un agito comune istintivo di sincronia decisionale. Di converso il convivere situazioni continue di contrapposizione conflittuale non può che ledere qualsiasi costruzione di scopo (come avviene nella lotta politica, che dovrebbe essere di confronto sulle idee e che finisce con l’essere espressione di odio per la parte avversa).
La scienza, dunque, afferma il valore del meticciato psichico di relazione nella costruzione di un futuro sociale migliore. Uno spazio che se coltivato con la fraternità e la solidarietà permette di abbattere i muri dei pregiudizi. Il meticciato culturale e fisico è dunque un fatto ineludibile ed evolutivamente vantaggioso, che ha portato e che porterà a un genoma umano più adatto alle future condizioni di vita.

Conclusioni

In ogni uomo sono presenti nel DNA e nella mente i segni di un passato mescolamento evolutivo e i segni di una fertilizzazione incrociata che tuttora viene praticata anche inconsciamente.
Sono segni che aprono nuove strade interpretative sulle persone di differente etnia culturale che popolano la Terra, ma anche sull’abbandono della categorizzazione di stigma tra persone sane e malate, tra ricchi e poveri, tra normodotati e disabili. Si fa strada sempre più che la diversità sia insita nell’umano, e non il suo scarto, perché poggia sul nostro passato evolutivo e traccia quello futuro non solo del singolo individuo, ma della stessa società.
Parrebbe un pensiero strambo, ma è una considerazione che ci attende tutti con l’aumento della prospettiva di vita e il calo demografico, con la senilità, con la disabilità e anche con la neurodiversità che condizioneranno la vita sociale in ogni luogo del pianeta. Una realtà resa sempre più complessa dalla velocità dello sviluppo tecnologico e dall’intelligenza artificiale, dalla fame e dalle guerre che ci faranno vivere una realtà distopica che si allontana dall’essenzialità della vita, oggi sempre in bilico tra nuovi desideri personali e nuovi alettanti devices virtuali.
Tutto ci porta all’aspirazione dell’avere prima della costruzione dell’essere, al piacere prima degli affetti, all’omologazione prima della costruzione identitaria. Il problema non è quello del mutamento, che è proprio di ogni periodo della storia e della vita dell’uomo, ma la sua velocità evolutiva che avvolge ogni evento vissuto in un tritacarne che frantuma e spinge al consumo vacuo anche nascite, genitorialità, amori, senilità e lutti. Un sistema vorticoso e globale che ha scarsa considerazione dell’uomo nella sua essenza. E questo avviene senza che per questo nessuno abbia colpa e senza che nessuno sia senza colpa a causa di una sempre più debole capacità di autoanalisi individuale e collettiva.
Questo non sarà un problema che la scienza potrà risolvere perché attiene alla cultura soggettiva degli individui e della collettività. C’è dunque bisogno di un’educazione alla costruzione sociale dell’individuo e della collettività, e i recenti fatti violenti di cronaca lo dimostrano.

Alessandro Bruni

biologo farmaceutico, già preside della facoltà di farmacia dell’università di Ferrara, componente la redazione di madrugada, curatore del nostro blog madrugada.blogs.com