Le agenzie di rating non guardano i TG

di Panebianco Fabrizio

È un pomeriggio di tardo settembre e, passeggiando per le vie di Valencia, mi imbatto in un gruppetto di persone che protesta contro il governo spagnolo e contro l’unione europea, scandendo lo slogan «La crisi la paghino gli speculatori, non i lavoratori». Penso: cosa vuol dire far pagare la crisi agli speculatori? E poi, la crisi attuale in Europa, è colpa loro?

Innanzitutto far pagare gli «speculatori» vorrebbe dire prendere, in un modo o nell’altro, parte dei «loro» soldi. Il problema è che i soldi che gestiscono sono soldi di risparmiatori che, tramite le banche, vengono messi nei fondi di investimento e quindi gestiti da «loro». Quindi, alla fine, sono soldi delle famiglie: sono le famiglie che, generalmente a livello aggregato, risparmiano e prestano denaro ai vari settori dell’economia. La situazione, quindi, è meno dicotomica degli slogan. E poi, sono gli speculatori cattivi ad avere la colpa di quanto succede ora in Europa?

Facciamo un esempio apparentemente slegato: un mio conoscente mi dice che mi deve parlare, che è in difficoltà economica e che ha bisogno di un prestito molto consistente, una cifra che mi impegnerebbe molto. Mi dice di scusarlo, ma ci sono stati eventi avversi, che non è colpa sua ma che farà del suo meglio per rimborsarmi presto. Anzi che si è iscritto a un corso di formazione che gli permetterà di ritrovare un lavoro e che ce la sta mettendo tutta per rimettere in sesto i suoi conti familiari. Poi, per conoscenze comuni, scopro che sì, ha in mente di rimettere in sesto le sue finanze, ma tra qualche anno, non subito, che fino a oggi in fondo ha pensato a divertirsi, che ha detto a un amico comune che ha bisogno di sfogarsi e non può essere un buon padre di famiglia a tempo pieno e che, per rimettere in sesto le finanze della sua famiglia, pensa, come prima cosa, di tagliare un poco la mancia ai suoi figli e comprare qualche gratta e vinci ché magari la fortuna lo premia. Ora se io, in base all’informazione ricevuta e alla reputazione del mio conoscente, decidessi di non prestargli la somma richiestami sarei, agli occhi di molti, una persona ragionevole, che non mette a rischio i propri risparmi di una vita. Se si considera la medesima situazione, ma avendo a riferimento non una persona ma una nazione, vediamo però che spesso i giudizi sono diversi. Prendiamo il caso italiano. A oggi abbiamo degli investitori che, man mano, hanno deciso di non investire più i loro risparmi nei nostri titoli di stato. Speculatori, che fanno soldi sulla nostra pelle, si dice spesso su molti quotidiani. Si tratta, il più delle volte invece di scelte abbastanza razionali in quanto oggi (3 ottobre 2011) abbiamo un governo che non valuta opportunamente due elementi chiave nelle decisioni degli investitori, elementi incontrati poco sopra nel nostro esempio: la reputazione e l’informazione.

I problemi sul primo sono evidenti, poiché mentre gli scandali privati di esponenti politici in Italia vengono trattati dai più come gossip, all’estero li colgono come segnali importanti riguardo la gestione della cosa pubblica e la capacità di affrontare i problemi. Il secondo elemento è ancora più imbarazzante: all’indomani della decisione del taglio del rating al debito pubblico italiano da parte di Standard & Poor’s, dal governo si sono affrettati a dire che la colpa è della stampa di sinistra che fa disinformazione. Questa affermazione va presa seriamente, anche perché già detta qualche settimana prima in un incontro ristretto con il presidente della commissione europea Barroso, il quale ha dovuto spiegare al governo italiano che in economia l’informazione sugli investimenti non viene ottenuta sulla base di ciò che si dice, ma sulla coerenza delle azioni che si fanno. È abbastanza improbabile, infatti, che grandi investitori internazionali mettano a repentaglio i capitali e i risparmi di milioni di persone sulla base di decisioni prese facendo zapping tra i telegiornali nazionali o confrontando le diverse versioni della manovra economica apparse sui vari quotidiani.