Gli impoveriti scuoteranno la nostra coscienza

di Sella Adriano

Caro direttore,
durante l’anno di assenza dal Brasile, camminando non solo sulle strade del Veneto, ma anche dell’Italia, per tenere incontri o per parlare in varie radio, ho avuto la possibilità di incontrare molti gruppi e persone che sentono l’importanza di superare l’elemosina e l’assistenzialismo, per aprire la stagione della giustizia. Alcuni miei articoli, apparsi su riviste nazionali, mi hanno messo in contatto telefonico con altri gruppi o persone, che hanno chiamato da Roma, Milano, Bergamo, Torino, Brescia… interessati alla questione dell’impoverimento e dell’oppressione dei popoli della terra e alla necessità di costruire rapporti basati sulla giustizia e non più sull’assistenzialismo. Sono gruppi, associazioni, movimenti e persone che stanno, o che vogliono mettere in atto, forme alternative di convivenza umana, di economia e di politica. Sono coloro che stanno rispondendo alla chiamata fatta dagli impoveriti e che si sono lasciati provocare dal loro grido di giustizia.

Ai margini della società e della Chiesa
Ho incontrato una realtà molto viva ma, purtroppo, sommersa, perché non si trova mai sulle pagine dei giornali ed è costretta, spesso, a vivere ai margini della società e della Chiesa. Ho sostato molto volentieri con tutti questi uomini, donne, giovani e ragazze che hanno fatto proprio il grido degli oppressi del pianeta Terra. Voglio gridare al mondo che il cambiamento della società, il più giusto dell’economia, il nuovo della politica, il solidale della Chiesa viene dagli impoveriti, dagli esclusi e dagli emarginati della terra e non da chi ha il portafoglio pieno, da chi ha la pancia sazia, da chi usa il potere per scopi personali o da chi ha trasformato la Chiesa in distributore di sacramenti. Infatti, non ci si può aspettare una volontà di cambiamento dell’ingiusta realtà contemporanea da quei 358 miliardari (comunicateci dal Rapporto sullo Sviluppo Umano realizzato dall’Undp) il cui totale delle loro ricchezze è pari al reddito prodotto dal 45% più povero della popolazione mondiale, due miliardi e trecento milioni di persone. Neppure da tutti gli altri che sono riusciti a sedersi nei palazzi della politica e dell’economia, per fare i propri interessi e non per il bene comune, arriverà mai un’ondata di novità. Tutti questi stanno bene così e cercheranno di rendere stabile il più possibile questa situazione mondiale molto favorevole ai loro conti bancari.

Il cambiamento viene dal povero
Allora, la spinta per una mutazione della società globale può venire solo da coloro che sono impoveriti sempre più: un miliardo e più che soffrono la fame, centinaia di milioni di esclusi dal sistema, popoli oppressi dalle ideologie, migliaia di persone a cui vengono lesi i loro diritti. Sono questi che non ci lasceranno dormire e che scuoteranno sempre la nostra coscienza assopita dal denaro, dal profitto e da altri interessi che non siano il bene comune. Ho voglia di gridare che sono loro la speranza per un mondo più giusto e fraterno: la cosiddetta “forza storica dei poveri”. Ecco chi sono coloro che ci chiamano quotidianamente a passare da donatori di aiuti a debitori di giustizia. Chi ci provoca ad essere gli uomini per gli altri, cristiani del sacramento dell’altro e persone che fanno della giustizia il progetto di vita. Allora gli impoveriti che vediamo nelle favelas, negli accampamenti dei senza terra, nelle periferie delle città oppure nelle riserve indigene del Sud del mondo ma anche gli emarginati che incontriamo nei crocicchi delle strade, negli angoli delle vie e nelle piazze delle città del nostro nord del pianeta si tramutano in forza di cambiamento e ci provocano alla ricerca di un mondo migliore. Attraverso la loro mendicità, la loro richiesta di solidarietà, la loro pizza di emarginazione e la loro insistenza di giustizia ci fanno capire quali sono le contraddizioni della realtà contemporanea e ci trasmettono l’esigenza di una realtà diversa. Sono loro che non ci permetteranno mai di chiuderci nel nostro individualismo, di barricarci nei nostri palazzi, di rendere il nostro privato una cosa sacra, di addormentarci nella nostra vita borghese e di lasciarci anestetizzare dall’economia del profitto.

Ci spingono ad essere persone
Sono loro, dunque, la nostra salvezza perché ci spingono ad essere le persone della fraternità, uomini del bene comune, donne della solidarietà, chiese dell’incontro e della riconciliazione, società di giustizia, popoli della pace. Proprio loro ci provocano all’apertura, alla ricchezza della differenza, all’incontro del diverso, all’abbraccio con chi fa fatica a camminare, alla mano sempre aperta. In altre parole, a diventare quello che fa realizzare la persona umana, a rispondere alla nostra chiamata esistenziale e a concretizzare il Regno di Dio in mezzo a noi. Ecco la grande novità: abbiamo sempre pensato che la salvezza venisse dall’alto dei palazzi religiosi o politici, mentre viene dal basso, ossia dagli impoveriti ed esclusi della terra. Questo è scandalo per gli uomini perbene, ma speranza per i popoli della terra. È follia per gli intellettuali politici ed ecclesiastici, ma stupore e gioia per la gente. Gli impoveriti ed emarginati ci fanno cogliere le distorsioni macroscopiche del sistema capitalista. Infatti, il Rapporto sullo Sviluppo Umano dell’ONU ha battezzato la crescita economica mondiale come “crescita crudele” perché i frutti dell’incremento del reddito vanno a beneficio principalmente dei ricchi, lasciando milioni di poveri in stato di povertà. Gli esclusi ed oppressi hanno provocato i due grandi vescovi brasiliani, card. Paulo Evaristo Arns e mons. Pedro Casaldáliga, a denunciare che il neoliberalismo non è solo una struttura di peccato ma anche un peccato mortale perché distrugge l’essere della persona umana. Il mondo è malato e dobbiamo condurlo alla clinica della giustizia e non più dell’assistenzialismo, per far entrare nelle sue vene il virus della giustizia in modo che, oltre alle parole di giustizia che fa uscire dalla sua bocca, possa far scaturire tante azioni di giustizia dalle sue mani e farle portare lungo le strade del mondo attraverso i suoi piedi.

Lui
Lui che fa il bagno nella fontana
della piazza del duomo
Lui che chiede di lustrare le scarpe
a chi accompagna il funerale
Lui che chiede una sigaretta
a l’accende alle candele della chiesa
Lui che con disinvoltura lava parabrezza
ai semafori… senza riuscire ad asciugarli
Lui che mente chiedendoti un’offerta
per il latte del fratellino
Lui che sale la scala mobile
a balzi dalla parte che scende
Lui che si chiama Pelé e dribbla le macchine
giocando a pallone sulla strada
Lui che ascolta musica a tutto volume
e balla il rock nella zona di silenzio
Lui che “lavora” come mini­scippatore
e deve consegnare il bottino allo “zio di strada”
Lui che beve con sei cannucce
dai fondi delle bottiglie
Lui che finge di leggere il giornale
trovato nelle immondizie
Lui che dorme sul marciapiedi coprendosi
coi giornali pieni di vuote promesse
Lui che surfa suicida sul tetto dei treni
perché “tanto nessuno mi vuol bene”
Lui che annusa colla di calzolai,
la droga dei meninos de rua
Lui che è inseguito dalla polizia…
sarà il nostro Giudice nel giorno del Signore!
p. Arnaldo De Vidi