Il volontariato: soggetto politico o strumento suppletorio?

di Ripamonti Ennio

Una domanda retorica, forse
Capita di scrivere su un tema e di decidere solo alla fine quale titolo apporvi.Capita invece, come in questo caso, che il titolo venga già proposto dalla rivista come cornice dentro cui condurre un ragionamento. Ed è questo il nostro caso. Confesso che sono stato tentato di cambiare il titolo di questo articolo fondamentalmente per una ragione: si presenta come una domanda retorica.Conoscendo da anni il lavoro di Macondo immagino che per i lettori di Madrugada il volontariato è concepito più come un ‘soggetto politico’ per contribuire a cambiare la società che come uno ‘strumento suppletorio’. Mi pare però chela crescita numerica del volontariato contemporaneo mostri ampliamente i segni di un fenomeno altamente de-politicizzato.

Cittadinanza attiva

Nel contempo è però interessante osservare la nascita e il diffondersi di altre forme di impegno sociale e di azione civile esterni allo Stato e al Mercato che mostrano segni di grande vitalità e creatività. Propongo perciò, pur mantenendo inalterato il titolo dello scritto, di collocare il volontariato dentro una più estesa area di esperienze e organizzazioni di cittadinanza attiva, ognuna delle quali interpreta in modo diverso la dinamica fra ‘soggetto politico’ o ‘strumento suppletorio’. D’altro canto se l’Istat stima in oltre 21.000 le associazioni di volontariato iscritte nei registri nazionali, è molto difficile condurre un ragionamento unico, pena la generalizzazione. A questo proposito colpisce constatare che, negli ultimi trent’anni, si è assistito a un fenomeno di riemersione e riproposizione di forme organizzative e giuridiche promosse da variegati settori della società civile, anche riaggiornando la migliore tradizione mutualistica e cooperativa di fine Ottocento, inizi Novecento. La trasformazione del Welfare State in un sistema a responsabilità multipla ha indubbiamente favorito una dinamica di apertura a nuove forme di protagonismo pubblico; d’altra parte il processo di evoluzione in atto nel campo del cosiddetto ‘privato sociale’ si trova a ‘fare i conti’ con i nuovi bisogni e le nuove aspettative di cui sono portatori oggi i cittadini. Questo insieme di ragioni ha contribuito a ‘dare forma’ a inediti soggetti collettivi e a reinventare l’identità e le funzioni di quelli già esistenti.

Tipologie principali

Nella pluralità di forme che caratterizza il panorama contemporaneo delle organizzazioni della cittadinanza attiva, possiamo individuare sei tipologie principali: volontariato, associazionismo, movimenti, imprese sociali, movimenti professionali, organizzazioni non governative. Nel caso del volontariato abbiamo un panorama di gruppi caratterizzati da un’ispirazione laica o religiosa collegata al tema del ‘servizio’ e della ‘solidarietà’ con i più deboli. Il volontariato attuale è un fenomeno essenzialmente organizzato che ha avuto uno sviluppo massiccio a partire dalla prima metà degli anni ’70. La crescita di queste esperienze è stata ulteriormente incentivata dal riconoscimento giuridico del loro ruolo di partner degli enti pubblici, come previsto dalla legge 266/1991. Una seconda forma di espressione della cultura non profit è l’associazionismo. Rientrano in questa categoria le organizzazioni che si dedicano all’animazione culturale e sociale attraverso attività rivolte ai propri iscritti. Molte di queste esperienze hanno acquisito una nuova identità a seguito del riconoscimento giuridico della Legge 383/2000. I movimenti di rappresentanza sono invece realtà focalizzate sul tema della tutela dei diritti, sia in senso generale che con particolare riferimento a specifici ambiti o a determinati gruppi di soggetti. Nel perseguire la loro mission i movimenti impiegano diverse strategie, quali ad esempio: l’advocacy, la comunicazione pubblica, la tutela sociale, l’accesso alla giurisdizione, la concertazione e il negoziato. Nel caso delle imprese sociali siamo invece di fronte a strutture cooperative o altri tipi di impresa senza scopo di lucro che operano nell’area dei servizi rivolti a soggetti deboli o a rischio, oppure che coinvolgono queste persone in attività produttive funzionali al loro inserimento lavorativo nella società, secondo una strategia di lotta all’esclusione sociale. Il considerevole sviluppo della cooperazione sociale ha inoltre richiesto la costruzione di organismi di secondo livello (consorzi). L’approvazione della Legge 381/1991 ha sancito il riconoscimento giuridico di questo ambito di attività dal sempre più marcato valore economico oltre che sociale (basti pensare che una recente ricerca condotta da Ipsos stima in 38 miliardi di euro il giro d’affari del cosiddetto ‘terzo settore’). Una quinta espressione della cittadinanza attiva sono i movimenti professionali, esperienze che prendono vita dall’incontro e dall’organizzazione di professionisti che, in diversi settori disciplinari e di attività, lavorano insieme allo scopo di qualificare l’efficacia della propria azione rafforzandone il senso di responsabilità sociale. Le organizzazioni non governative sono infine espressioni della società civile di ispirazione laica o religiosa, non vincolate o dipendenti da istituzioni governative e impegnate nel campo della cooperazione internazionale allo sviluppo in diversi paesi del mondo.

Modi diversi di “produrre società”

Come risulta evidente da questa pur sintetica descrizione,l’insieme delle organizzazioni della cittadinanza attiva rappresenta un patrimonio di straordinaria importanza, che contribuisce a ‘produrre società’ e a ‘fare politica sociale’in diversi modi.
In primo luogo esercitando un’azione di tutela e di promozione dei diritti dei cittadini, con particolare attenzione alle fasce socialmente più deboli e marginalizzate. Si tratta in questo caso di ‘dare voce’ ai soggetti e alle situazioni locali che più difficilmente riescono ad accedere alla ribalta del dibattito pubblico, ma anche di esercitare una funzione costante di stimolo e di pressione nei confronti delle istituzioni. In secondo luogo gestendo servizi di pubblica utilità con elevati standard qualitativi e dando vita aoriginali forme di sperimentazione nel campo dei servizi alla persona. Questo particolare aspetto potrebbe rendere le organizzazioni non profit dei veri e propri laboratori d’innovazione, poiché nascono dal tessuto sociale locale e vantano un contatto diretto e costante con i bisogni dei cittadini. Tutto questo non significa che si tratti di un mondo totalmente positivo e il fatto di lavorare per una ‘nobile causa’ non assicura che il comportamento sia ugualmente corretto e cristallino. La crescita tumultuosa del privato sociale e del suo valore economico porta inevitabilmente con sé l’aumento di situazioni ambigue, contraddittorie e conflittuali, oppure tentativi di affarismo travestito sotto i panni della solidarietà ai più deboli. Si tratta in ogni modo di un insieme di soggetti organizzati che possono consentire di mantenere ed espandere il sistema di protezione sociale in sinergia con gli enti locali, anche perché è sempre più evidente che nessun soggetto può esaurire il campo delle iniziative necessarie a costruire qualità di vita dei cittadini di una comunità.

Capitale sociale, individuale e comunitario
Ed è esattamente questo contributo nella produzione e riproduzione di relazioni sociali comunitarie uno degli aspetti maggiormente rilevanti dell’azione della cittadinanza attiva nelle sue diverse espressioni organizzate (quindi anche quella del volontariato). Per evidenziare questo elemento è interessante introdurre il concetto di capitale sociale, cioè di quella rete di relazioni tra soggetti individuali e collettivi che rende visibile la fiducia reciproca, il perseguimento di norme di comportamento comuni, la spinta alla cooperazione e la ricerca di reciprocità. Nella sua accezione individuale il capitale sociale rappresenta una risorsa a disposizione del singolo soggetto e che viene ereditata o costruita all’interno delle diverse cerchie sociali di appartenenza, nonché utilizzata per il conseguimento di specifici benefici personali, sia presenti che futuri. Nella sua declinazione comunitaria il capitale sociale contribuisce invece ad accrescere l’affidabilità ambientale sotto il profilo civico, relazionale e della fiducia reciproca, rappresentando in tal senso un bene collettivo. Alcune recenti ricerche hanno dimostrato che il capitale sociale è una variabile determinante sui processi di sviluppo e di benessere di una comunità locale. Quanto più, in un contesto locale, si tende a generare e a nutrire il capitale sociale, tanto maggiore sarà la probabilità di innalzare il livello di integrazione tra sfera politica, sfera economica e sfera sociale. Il circuito virtuoso viene quindi attivato a partire da gruppi e reti sociali capaci di creare collegamenti tra persone appartenenti a diverse forme aggregative: reticoli familiari, associazioni, movimenti, cooperative e altro ancora.

Settore pubblico e cittadinanza attiva
Ma è la stessa società che, per potersi mantenere e rinnovare, necessita di condizioni materiali e immateriali che devono essere continuamente riprodotte e rigenerate. La produzione garantita dal mercato e dal settore pubblico non esaurisce queste condizioni e chiama in causa il ruolo generativo offerto dalle organizzazioni della cittadinanza attiva nella tessitura di relazioni solidali e di servizio civico, di salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente, del patrimonio locale artistico, storico, naturalistico, di promozione e tutela dei diritti sociali e civili, di impegno sindacale e politico.
Da questo punto di vista la cittadinanza attiva (e quindi il volontariato) viene continuamente sollecitato a ripensarsi, anche per maturare una più alta consapevolezza del ruolo decisivo che può interpretare in un momento storico caratterizzato dalla crisi delle forme tradizionali di welfare, dalla trasformazione delle strutture familiari e dalla diffusa tendenza a stili di vita individualizzati e competitivi. Le organizzazioni della cittadinanza attiva sono quindi chiamate a muoversi in una direzione cooperativa e integrata, capace di saldarsi con l’azione del pubblico e di produrre il nuovo tessuto connettivo della vita locale comunitaria. Che sia questa la politica del XXI secolo?

Ennio Ripamonti
psicosociologo e formatore,
Agenzia Metodi,
Università Cattolica di Milano