Tassati o depressi?

di Panebianco Fabrizio

Nei mesi scorsi sulle colonne di alcuni quotidiani nazionali si è ravvivato un dibattito sulle tasse e il loro rapporto con la crescita economica. Il sociologo Ricolfi, in un provocatorio articolo apparso su La Stampa lo scorso aprile, ha sostenuto che nell’ultimo decennio il Sud Italia è cresciuto più del Nord Italia proprio a causa della maggiore evasione fiscale delle imprese meridionali. Il ragionamento alla base è che questa maggiore evasione fiscale (in percentuale del PIL) ha permesso alle imprese di liberare risorse da investire e, di conseguenza, si è osservata una maggiore crescita. Conclusione: la maggiore evasione fiscale del Sud, in percentuale del PIL, potrebbe essere il volano alla crescita del Mezzogiorno. Il Nord, viceversa, rimarrebbe più tassato e quindi più depresso, senza crescita.

Non voglio analizzare i problemi di tipo morale riguardanti l’evasione fiscale, né le critiche circa la validità scientifica di questa tesi e i dati su cui si basa, ma vorrei analizzare il ragionamento da un punto di vista puramente economico, per capire quanto di vero e, viceversa, quanto di impreciso e miope ci sia, usando un semplice esempio teorico.

Supponiamo che un governo abbia a cuore la crescita economica di un paese. Ora, per ottenere questo risultato sono necessari, tra gli altri, due ingredienti principali: investimenti privati e un sostrato di infrastrutture, capitale sociale, istituzioni che possiamo definire, semplificando, «bene pubblico». Entrambi sono fondamentali per ottenere una crescita di lungo periodo. Il problema del pagamento delle tasse, e quindi dell’evasione fiscale, può essere visto come un classico «dilemma sociale»: ciascuna impresa ha incentivo a non pagarle poiché, pagandole, il contributo al bene pubblico che dà, e quindi il vantaggio che ne riceve in termini di maggiore servizi, è minimo rispetto al vantaggio personale ottenuto dall’evasione e quindi dai maggiori profitti che si possono direttamente ottenere. In pratica ogni impresa trova vantaggioso non pagarle, o pagarne meno, dal momento che altri contribuiranno comunque al bene pubblico. Questo, nel breve periodo, porta sicuramente a una maggiore crescita delle imprese, come sostenuto da Ricolfi, in quanto, nel giro di pochi anni il «bene pubblico» non si deteriora di molto e la singola impresa ha più risorse da investire. Ci si dimentica però che il sistema economico non è un qualcosa di fisso in cui le azioni dei singoli non hanno effetto sull’aggregato. In particolare, ogni impresa si trova di fronte allo stesso incentivo a non pagare le tasse, o a pagarne meno, e come conseguenza i contributi al bene pubblico si ridurranno. In particolare, mano a mano che il tempo passa, il bene pubblico, a secco di nuove tasse, comincerà a logorarsi e a influenzare negativamente la crescita che inizialmente l’evasione poteva eventualmente contribuire ad alimentare. Inoltre, il Mezzogiorno non è propriamente una parte d’Italia in cui le infrastrutture e le istituzioni possano permettersi di logorarsi oltre senza danneggiare la competitività delle imprese stesse.

L’eventuale crescita economica di un’area non può quindi basarsi, nel lungo periodo, sull’evasione, a meno di non avere altri modi per finanziare il bene pubblico, come trasferimenti gratuiti dallo stato centrale. Ora, l’evasione fiscale è un fenomeno che in parte può essere spiegato come fuga da una elevata tassazione (in Italia la tassazione sulle imprese è tra le più alte in Europa). A questi alti livelli di pressione fiscale avviene però un fenomeno interessante: se si abbassano un poco le tasse si riduce il vantaggio dell’evasione e quindi le imprese sono portate a evadere meno. Come conseguenza il gettito fiscale potrebbe in realtà aumentare avendo come risultato imprese con più risorse perché meno tassate e infrastrutture e istituzioni migliori.

La soluzione non è comunque semplice dal momento che l’evasione fiscale, nel corso del tempo, diventa una sorta di «norma sociale» per cui le imprese, come le persone, imparano a evadere indipendentemente dal livello di tassazione. Questo è aggravato dal fatto che, spesso, le imprese, come i cittadini, non ritengono efficiente l’uso che si fa delle tasse, e questo aumenta l’incentivo a evadere. È dunque troppo semplice asserire che l’evasione finanzia la crescita, o che basta tagliare le tasse alle imprese per avere più crescita. Se da un lato queste tasse sono oggettivamente alte, e occorre far di tutto per ridurle, occorre in realtà guardare al rapporto tra tasse pagate e bene pubblico ottenuto tramite questa tassazione, invece che focalizzarsi solo su uno di questi elementi.