Difendere il suolo

di Baldi Elianna

Accaparramento delle terre e resistenza popolare

Nel 2008, in piena crisi alimentare mondiale, l’Ong spagnola Grain portava alla nostra attenzione un nuovo fenomeno: la corsa all’accaparramento di vaste terre arabili nel sud del mondo da parte di investitori stranieri, al fine di esportare alimenti e agrocarburanti. A innescare tale fenomeno, noto anche come land grabbing, era stato l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari in un momento di panico da scoppio demografico, crisi alimentari diffuse e una grande crisi finanziaria. La terra rappresentava sia una prospettiva di sicurezza alimentare, sia una diversificazione del portafoglio investimenti per quei paesi ricchi in termini di capitali ma importatori di cibo§Sull’esempio degli Stati, anche operatori privati come banche, multinazionali, fondi pensione o d’investimento, sono riusciti negli anni a prendere possesso di vaste distese di terre§Oggi il fenomeno vede come attori principali soprattutto i privati. Le superfici acquisite sono più piccole, ma situate in regioni con maggiori infrastrutture, più accessibili e con condizioni fiscali più vantaggiose. È così che imprese, società quotate in borsa e fondi di investimento del nord America (USA e Canada), dell’Europa, degli Emirati Arabi e del sud-est asiatico (Cina, India, Malesia, Singapore), si dirigono prevalentemente, oltre che in Africa, in Indonesia, Ucraina, Russia, Papua-Nuova-Guinea, Brasile, Argentina. In Europa i Paesi più ambiti sono Bulgaria, Moldavia, Serbia, Romania (con presenze da 22 Stati), Russia (21) e Ucraina (26!)§Il Paese europeo più attivo nell’accaparramento è il Regno Unito. I prodotti agricoli rimangono l’obiettivo principale, a fianco di agrocarburanti, allevamento, sfruttamento delle risorse del sottosuolo (acqua e minerali), progetti turistici, ma anche riciclaggio da evasione fiscale operato da società fittizie.

Nuova colonizzazione ed embrioni di resistenza

I membri di una coalizione internazionale per l’accesso alla terra si sono riuniti a Tirana a maggio 2011 per monitorare il fenomeno e stabilirne criteri definitori. In genere si parla di land grabbing quando le acquisizioni o le concessioni di terreni rispondono a particolari caratteristiche: • violano i diritti dell’uomo e in particolare l’uguaglianza dei diritti uomo/donna; • non passano per il consenso libero e preventivo dei proprietari delle terre in questione; • sono generate da contratti non trasparenti, che non specificano in modo chiaro e vincolante gli impegni presi dai soggetti quanto alle attività da svolgere e alle ricadute socio-economiche sul territorio; • non si fondano su una pianificazione democratica efficace, un controllo indipendente e una partecipazione significativa In Africa l’accaparramento delle terre è una nuova forma di colonizzazione. L’impatto sulla popolazione è nefasto: migrazioni forzate di famiglie e comunità, nuovi conflitti intercomunitari, sfruttamento della manodopera, povertà e fame, arresto dello sviluppo, trasformazione dell’agricoltura con monoculture commerciali che rimpiazzano l’agricoltura diversificata dei contadini locali, degradazione dell’ambiente, perdita delle culture indigene e delle sementi autoctone, deforestazione, inquinamento delle sorgenti d’acqua. Movimenti sociali di base e organizzazioni della società civile impegnate nella difesa dei diritti alla terra e all’acqua, si sono riuniti nel 2014 a Dakar, nell’ambito del Social Forum Africano, e poi nel 2015 a Tunisi, durante il Forum Sociale Mondiale. Hanno creato una Convergence globale des luttes pour la terre et l’eau, con piattaforme sub-regionali, per unire forze e competenze nella lotta contro questo flagello. Il lavoro si svolge a vari livelli e secondo il contesto di ogni Paese, e implica un lavoro di influenza su politiche e legislazioni fondiarie nazionali, regionali e internazionali, una sensibilizzazione della popolazione sui diritti alla sicurezza fondiaria e sui rischi dell’accaparramento, un lavoro di vera e propria resistenza all’accaparramento e infine una lotta perché, quando già le terre sono vendute o date in concessione, le imprese vengano obbligate a rispettare i diritti delle persone e dell’ambiente e a provocare delle ricadute socio-economiche locali. Una lotta contro dei titani, che a volte porta dei risultati concreti, ma che si gioca anche sul lungo tempo e ha indotto il Parlamento Europeo, attraverso soprattutto gli studi promossi dalla commissione sui diritti umani, in collaborazione con le Ong accreditate, a emanare delle risoluzioni sulla responsabilità delle imprese in gravi violazioni dei diritti umani in paesi terzi, ad adottare misure per la trasparenza fondiaria e a promuovere strumenti di diligence raisonnable in materia di diritti umani. Un modo per trasformare la politica estera e rendere concreti i principi e i valori su cui l’UE dice di fondarsi.

Vahatra

Un esempio africano interessante è quello del progetto Vahatra (“radici”, in malgascio), attivo in Madagascar. In questo paese, il fenomeno dell’accaparramento delle terre è apparso tardi in quanto tale (pur essendo la terra e le risorse occupate e sfruttate dal colonizzatore), perché il diritto consuetudinario prima dell’indipendenza considerava la terra come proprietà collettiva e, dopo, come proprietà demaniale. A partire dagli anni novanta, alcune riforme hanno introdotto la proprietà privata individuale, ma il procedimento per ottenerne il riconoscimento si è rivelato da subito lunghissimo e molto costoso, quindi per lo più inaccessibile. La Diocesi di Tsiroanomandidy, a circa 200 chilometri dalla capitale, attraverso la sua Commissione Giustizia e Pace ha promosso delle attività sulla sicurezza fondiaria del mondo rurale, creando larga fiducia da parte della popolazione nei confronti della Chiesa, nonostante gli scarsi risultati. Nel 2005, una riforma fondiaria ha reso più facile il riconoscimento della proprietà, con un semplice certificato rilasciato dagli uffici catastali comunali dopo constatazione dell’occupazione da parte di una commissione locale di riconoscimento, formata da autorità tradizionali e amministrative locali elette dalla gente. L’apertura degli uffici catastali rientra nelle competenze dei comuni, ai quali però non sono stati forniti mezzi e risorse per farlo.

Coscientizzazione popolare

Di fronte a questa apertura legale, la Diocesi di Tsiroanomandidy, sostenuta da Misereor Germania (organismo della Chiesa tedesca che si occupa di sviluppo), ha deciso di appoggiare i comuni sull’apertura degli uffici catastali e di accompagnare le famiglie nella procedura di ottenimento dei titoli. Il progetto Vahatra ha toccato undici comuni per un totale di 140.000 abitanti, di cui la maggior parte vive grazie all’agricoltura e all’allevamento. Attività di formazione e sensibilizzazione dei responsabili comunali hanno aperto il processo, per arrivare a formare i tecnici degli uffici e dotarli di tutti gli equipaggiamenti necessari. Il lavoro di coscientizzazione comune a contadini e membri dei consigli comunali ha portato a ridurre ragionevolmente i costi di ottenimento del certificato, cercando anche strategie di certificazioni collettive e collaborazione tra i servizi demaniali, topografici e catastali. Gli esperti delle équipe hanno realizzato mappe dell’occupazione fondiaria dei vari comuni che sono state validate dal competente ministero. Grandi occupanti di terre sono comunque riusciti a “corrompere” il governo per impedire l’apertura degli uffici nei loro territori, ma la compattezza e l’organizzazione della gente e delle istituzioni locali hanno obbligato l’amministrazione a invalidare le sue decisioni. Su ventiduemila richieste, in pochi anni sono stati riconosciuti diciottomila titoli catastali. I 24 agenti degli uffici del catasto sono stati formati e continuano a lavorare con competenza, come pure i 3500 membri delle commissioni locali di riconoscimento. Vahatra è diventato un modello nazionale nella promozione della decentralizzazione fondiaria, coinvolge cittadini e autorità tradizionali e amministrative locali, ed è uno strumento nella prevenzione dell’accaparramento delle terre.

Curare le radici

Oggi tuttavia in Madagascar migliaia di ettari sono accaparrati da pochi ricchi malgasci, dallo Stato o da imprese straniere originarie da Cina, Francia, Germania, India, Italia (per biocarburanti e petrolio), Regno Unito, Réunion. Ma il lavoro di Vahatra continua con la collaborazione a una proposta di legge che migliori la precedente riforma fondiaria, con la mediazione nei conflitti legati alla proprietà, con la sensibilizzazione della gente a non vendere i propri titoli a chi continuamente cerca di accaparrarsi quelle terre fertili e ricche di risorse. L’augurio è che quelle radici vitali e culturali evocate dal nome del progetto continuino a essere curate, a crescere e a portare frutto.

Elianna Baldi

missionaria comboniana, educatrice e corrispondente di Nigrizia