La scientifica trinità digitale

di Vigilio Turra Bruno

Il cambiamento è la costante di questa nostra civiltà, lo è al punto che viene dato quasi per scontato: come sabbia sfugge di tra le dita senza che le persone ne abbiano autentica consapevolezza; il cambiamento è ridotto, nella percezione di molti, alle innovazioni sempre più numerose introdotte dalla tecno-scienza, ignorando così che essa, modificando l’ambiente di vita, finisce col creare contesti tanto differenti tra una generazione e l’altra, da produrre modifiche profonde che sono antropologiche prima ancora che sociali. Ci troviamo dunque, tutti, di fronte a una sfida epocale: quella di inventare strategie e modi di vita che possano garantire serenità e felicità in un ambiente in continuo mutamento.

Nulla di nuovo, tutto nuovo.

Adesso, proprio in questo preciso momento, mentre abbiamo la sensazione di essere fermi e forse stabili nelle nostre poche certezze, ci troviamo nostro malgrado immersi in un flusso di cambiamento radicale; nulla di nuovo per certi versi, poiché proprio il cambiamento continuo è stato la cifra della modernità, tanto quanto la distruzione creativa resta, oggi più che mai, la specifica cifra del capitalismo. Ce lo avevano anticipato, con esemplare chiarezza, pensatori e scienziati sociali come Karl Marx, Werner Sombart, Walter Benjamin e Joseph Schumpeter. Tutto nuovo invece se osserviamo spassionatamente l’ambiente entro cui conduciamo le nostre vite quotidiane, se lo confrontiamo con quello che potevano esperire in gioventù i nostri genitori e prima di loro i nostri nonni e i nostri antenati. L’intima natura di questo ambiente ce la indicano oggi con altrettanta chiarezza scrittori, scienziati e pensatori visionari quanto inquietanti come P.H. Dick, Ray Kurzweil e Nick Bostrom.

Un ambiente sempre più intelligente.

A fianco delle devastazioni che un’economia predatoria sta apportando all’ambiente naturale planetario, alla casa comune (lo vediamo ormai chiaramente nello scioglimento dei ghiacciai, negli incendi, nella desertificazione…), gli sviluppi rapidissimi della tecno-scienza stanno creando a livello globale e locale un ambiente artificiale sempre più tecnologicamente pervasivo: essi superano di gran lunga ogni precedente storico e ne rappresentano una rottura radicale nella misura in cui esso diventa, e già ampiamente è, un ambiente intelligente, anzi: sempre più intelligente. Un ambiente con il quale interagire scambiando informazioni e che è possibile regolare in funzione delle esigenze come succede, solo per fare un esempio, nelle sempre più diffuse applicazioni domotiche che rendono “intelligenti” le nostre abitazioni. La nozione di intelligenza ambientale (Ambient Intelligence, AmI) che possiamo associare a questi sistemi tecnologici riguarda uno scenario non più meramente utopico, nel quale gli uomini vivono circondati da una tecnologia informatica e telematica, ovvero sono circondati da dispositivi dotati di capacità computazionali e di connessione in rete, che si mettono a nostra disposizione in modo, almeno apparentemente, non invasivo. Internet delle Cose, Big Data e Intelligenza Artificiale sono i pilastri di questa svolta epocale che, a loro volta, si fondano su una gigantesca infrastruttura fisica indispensabile per rilevare, raccogliere, elaborare e trasmettere l’informazione digitale che contiene in potenza sapere, ricchezza, conoscenza, potere, bellezza e tutti i loro contrari. Una trinità tecnologico-scientifica che sta diventando, e in parte è già, il terreno (artificiale) e la solida base indispensabile non solo per il funzionamento dell’economia e della società ma per la vita stessa dei singoli umani. Per averne conferma basti pensare alle supply chain globali, ai flussi finanziari planetari, ai social, all’e-commerce distributivo o alla produzione industry 4.0.

IoT, l’internet delle cose

Senza entrare nell’ambito delle applicazioni industriali e militari, l’Internet delle cose (IoT) può essere compreso dai profani (dai non addetti ai lavori) se solo si pensa alla possibilità (oggi quasi banale) di installare su ogni oggetto della vita quotidiana un chip, un sensore elettronico, ovvero un piccolissimo calcolatore, dotato di un indirizzo internet necessario per poter colloquiare con altri calcolatori vicini e lontani. Oggi ognuno di noi è connesso solamente a pochi di questi dispositivi (uno per tutti: l’irrinunciabile smartphone con le immancabili app) ma, nel breve volgere di un decennio perdurando l’attuale tasso esponenziale di crescita, ognuno potrà (o forse dovrà) essere connesso a centinaia di oggetti intelligenti, a loro volta connessi tra di loro e collegati in una grande rete globale che cresce giorno per giorno con ritmo esponenziale. Ogni corpo umano, visto in questa prospettiva come fonte preziosissima di informazioni e di dati, può e sempre più spesso potrà essere collegato a uno o più di questi dispositivi, diventando esso stesso oggetto tra gli oggetti, intelligente non per sé e in sé, ma a causa della tecnologia che su di esso è installata; tecnologia che consente l’interazione automatica con l’ambiente intelligente circostante. Questa possibilità tecnica che sta ampliando a dismisura la quantità di informazione prodotta e scambiata per effetto delle nuove connessioni richiede infrastrutture e protocolli di trasmissione ad altissima velocità: sotto tale profilo il tanto discusso 5G è semplicemente l’infrastruttura che si rende necessaria per trasmettere velocemente l’enorme flusso di dati indispensabile a far funzionare l’internet delle cose.

La società dell’informazione

L’espressione società dell’informazione risale ai primi anni sessanta e sottolinea la centralità dell’informazione quale principale motore della società contemporanea. L’avvento dei social e dell’internet delle cose (IoT), aumentando esponenzialmente la quantità di informazioni disponibili, riempie il concetto di un significato più pregnante anche agli occhi di chi non è esperto. In pratica, l’enorme disponibilità di informazione pone da tempo delle sfide completamente nuove dalle quali emergono opportunità sbalorditive: già oggi sono disponibili raccolte di dati digitali, così estese in termini di quantità e varietà, da richiedere tecnologie e metodi analitici per estrarre da questi archivi conoscenza utilizzabile. Queste grandi raccolte megadati (Big Data) sono il terreno dove si sviluppa una vera e propria scienza dei dati, volta a estrapolare e mettere in relazione grandi quantità di informazioni eterogenee, strutturate o non strutturate, allo scopo di scoprire tendenze, individuare legami causali e correlazioni, prevedere sviluppi futuri, estrarre profili personali dettagliati. Al livello della vita quotidiana e senza entrare in ostici problemi di riservatezza (privacy) e di potenza di calcolo vediamo la forza di questi sistemi nella precisione con cui ci vengono suggerite opzioni di consumo in funzione dell’uso che facciamo, navigando, della rete. Una così grande disponibilità di dati e di connessioni è una spinta potente anche per la ricerca sull’intelligenza artificiale, disciplina dell’informatica che studia i fondamenti, le metodologie e le tecniche che consentono di progettare hardware e software capaci di garantire al calcolatore elettronico (computer) prestazioni che, all’osservatore comune, sembrano di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana quali, ad esempio, le percezioni visive, spazio-temporali e decisionali. Macchine quindi che si caratterizzano non solo per la capacità di calcolo ma anche e soprattutto per le possibilità di apprendimento automatico, per l’abilità di risolvere i problemi in funzione del contesto, prendendo decisioni non puramente logiche, per la capacità di produrre conoscenza attraverso prove ed errori. Questo tentativo di replicare l’attività del cervello, surrogando il pensiero umano intelligente, pone delle sfide inimmaginabili e, per le sue implicazioni etiche, ha suscitato forti perplessità perfino in soggetti insospettabili come Stephen Hawking o l’imprenditore Elon Musk, icona del progressismo tecnologico ottimista, che in questo tipo di sviluppo vedono pericoli superiori a quelli delle armi atomiche. Questo tre ambiti tecno-scientifici in forte crescita, diventano sempre più integrati e sempre più diffusi: proprio questa sviluppo inarrestabile sta alla base della costruzione di quel nuovo ambiente intelligente che rende e renderà il mondo quotidiano esperito dalle persone così originale e così diverso da come lo avevamo vissuto fino a poco tempo fa. Purtroppo però, come si dice della rana che, immersa nella pentola d’acqua riscaldata poco a poco, non si rende conto del pericolo mortale, così noi non siamo in grado di cogliere i reali cambiamenti che stanno avvenendo sotto ai nostri occhi, né di comprenderne tutte le possibili implicazioni che essi comportano, per il presente e per il futuro. Se l’evoluzione è questa, e tale sarà a meno di catastrofi, diventerà sempre più difficile e alla lunga impossibile uscire dal sistema, ritirarsi per così dire in qualche luogo libero dalla connessione. Ognuno dovrà inventarsi il modo per vivere in questo nuovo ambiente intelligente reso possibile dall’Internet delle cose, dai megadati e dall’intelligenza artificiale. Ma come? Semplificando molto un panorama altamente complesso e turbolento, possiamo ipotizzare uno scenario caratterizzato da tre tipi ideali, tre strade principali per adattarsi al cambiamento epocale in corso; le chiamerò per semplicità la via del consumo inconsapevole, dell’ibridazione cosciente e della spiritualità emergente.

La via del consumo inconsapevole

Molte persone, convinte che la tecnologia sia dominabile e gestibile, ritengono che l’attuale fase di consumo sostanzialmente acritico possa continuare fornendo al consumatore sempre nuove opportunità e occasioni per nuove esperienze. Lo sviluppo dell’ambiente intelligente, guardato con l’occhio di questo tipo di consumatore, è semplicemente un progresso, un miglioramento rispetto al passato. Non si colgono in tale visione ottimista i rischi né il cambiamento propriamente antropologico caratteristico delle generazioni che nascono e crescono in un ambiente radicalmente diverso da quello delle generazioni precedenti. Questo ottimismo superficiale nasconde appena il timore latente e la paura che dal godimento di queste tecnologie si possa essere esclusi, che vengano a mancare le risorse economiche e finanziarie per poter godere dei frutti delle tecnologie; o, al contrario, cela l’inquietudine basata sul sospetto che queste tecnologie possano essere imposte dall’alto e diventare quindi manipolatorie e liberticide.

La via dell’ibridazione cosciente

Altre persone vedono con estremo favore la possibilità dell’ibridazione cosciente, ovvero la scelta di potenziare corpi e menti attraverso l’impianto di dispositivi tecnologici: una strada ampiamente descritta nell’immaginario della fantascienza e riccamente articolata nelle riflessioni dei movimenti transumanisti che, nelle forme più radicali, predicono un’estensione indefinita della vita, ipotizzano perfino la possibilità di scaricare la mente su dispositivi digitali, conquistando in questo modo una sorta di immortalità. Già oggi ognuno di noi è un nodo connesso alla rete digitale alla quale fornisce informazione e dalla quale informazione riceve tramite i dispositivi che usa: entro pochi anni è facile prevedere che dispositivi tecnologici saranno installati direttamente sui o nei corpi delle persone, iniziando da innocenti applicazioni biomediche peraltro già note. Questa ibridazione, che porterebbe poco alla volta a creare esseri (cyborg) per i quali è difficile definire la parte umana rispetto a quella propriamente tecnologica, porta a un salto evolutivo decisamente sconvolgente quanto dato per molto probabile dai futurologi più visionari e tecno-ottimisti.

La via della spiritualità emergente.

Ma forse a quanti vedono in questi sviluppi i rischi oltre alle opportunità, per quanti guardano con attenzione alla forza tutta da scoprire della personale e insondabile interiorità, l’ambiente tecnologico apre, o meglio riapre in modo inatteso, la sfida dell’evoluzione spirituale. Una soluzione a ben vedere non propriamente marginale visto l’attuale grande successo di sette, conventicole, religioni e pseudo religioni, discipline e tecniche occulte, pratiche sciamaniche, occulte, esoteriche e new age. Anche in questo caso i confini tra serietà e affabulazione, tra esplorazione serie e delirio irrazionale, sono assai sfumati: non di rado si intrecciano in questo strano campo filosofia e pseudo-scienza, storia delle religioni e fisica quantistica, tradizione e libertinaggio, teologia e sciamanesimo, meditazione e uso di sostanze stupefacenti, proponendo legami arditi con la spiritualità come sostenevano i profeti della psichedelia degli anni ’60 e ’70 (Timothy Leary e Aldous Huxley ad esempio) che immaginarono l’assunzione di LSD come un vero e proprio sacramento laico. Tre aperture sul possibile che aprono orizzonti molto diversi e lasciano trasparire esiti utopici o distopici che – lo ammetto con un certo disagio – non sembrano essere oggi nelle mani di una possibile decisione democratica, posto che gli sviluppi della tecno-scienza sembrano evolvere verso direzioni altamente imprevedibili agli occhi dei cittadini. Paradossalmente però sono proprio i consumatori che spingono costantemente perché l’ambiente tecnologico venga sempre più rafforzato: lo fanno chiedendo più sicurezza (quindi più telecamere nei luoghi pubblici, più antifurto digitali nelle case private, più schedature elettroniche ecc.), più controllo (quindi più rilevatori di velocità, maggiore riconoscimento delle persone ecc.), più tutele della salute (quindi più verifiche dell’autonomia fisica come nel caso di anziani e disabili ecc.), più facilitazioni nel consumo (quindi migliori acquisti on line, migliori consegne), e così via. Insomma: ciò che preoccupa il cittadino attivo che cerca libertà viene richiesto a gran voce dal consumatore passivo che cerca sicurezza e semplificazione (e le due figure coesistono in ognuno di noi!). Certo è che il nuovo ambiente tecnologico pone sfide che investono non solo l’organizzazione della società e dell’economia, del diritto e dell’apprendimento, della tutela dell’ambiente e dell’ecologia, ma anche e soprattutto riguardano la soggettività e l’interiorità di ogni persona: usarlo consapevolmente come trampolino per evolvere o subirlo come una gabbia d’acciaio che costringe e spaventa è una scelta che ognuno di noi dovrà fare, se vuole evitare che l’intelligenza ambientale si sostituisca all’intelligenza e alla responsabilità delle persone.

Bruno Vigilio Turra

formatore e ricercatore sociale, componente la redazione di madrugada