La valutazione scolastica al bivio: sviluppi e rischi

di Ajello Anna Maria

Nel dibattito italiano sulla valutazione scolastica si possono riconoscere alcuni tratti comuni.
Un primo aspetto riguarda la focalizzazione sugli strumenti di misura, con riferimento alle interrogazioni orali, in cui intervengono anche aspetti verbali, emotivi, relazionali e interattivi che riducono l’attendibilità dello strumento di misura; con riferimento alla prevalenza dell’aspetto verbale nelle prove scritte, anche per contenuti che potrebbero avere altre modalità di verifica; con riferimento, infine, ai test di profitto di cui si sono approfondite a lungo le caratteristiche psicometriche e la loro impossibilità di misurare altri elementi che intervengono comunque nei processi educativi e didattici.
Quest’ultimo rilievo è stato rivolto, con maggior frequenza, anche alle prove standardizzate condotte da INVALSI, delle quali si sono sottolineate la scarsa aderenza a situazioni territoriali molto diverse e l’impossibilità per gli studenti fragili, residenti in zone con forti caratteristiche di deprivazione economica e sociale, di affrontare questo tipo di prove. Queste critiche, in realtà, eludono il problema del diritto a imparare di questi stessi studenti che richiederebbero supplementi di interventi e misure compensative – e non la sottrazione alle prove – perché tali prove sono costruite agganciando ogni item alle Indicazioni Nazionali che sono prescrittive e alle Linee Guida per la scuola secondaria di secondo grado; prendere soltanto atto di quelle difficoltà e denunciarle implica la rinuncia a evidenziare quel diritto per una specifica fascia della popolazione.
Il problema pertanto non sono le prove, quanto quello che non fa seguito a quei risultati.

Il controllo degli esiti raggiunti
La concezione di valutazione che soggiace a questo dibattito, che in Italia ha impegnato soprattutto i pedagogisti (Gattullo, Giovannini 1980; Benvenuto 2003; Castoldi 2012), è quella di un controllo degli esiti raggiunti dagli studenti, una concezione in realtà parziale e non aggiornata, rispetto alla funzione che la valutazione modernamente intesa può svolgere; quest’ultima concezione è in realtà più ampiamente affrontata e discussa nei dibattiti dei sociologhi (Stame 2007; Stame 2017).
Si deve aggiungere inoltre che la restituzione da parte di INVALSI degli esiti degli studenti in termini di descrizione delle prestazioni raggiunte, rappresenta uno strumento per indirizzare l’attenzione dei docenti e degli studenti su che cosa questi ultimi sono in grado di fare e che cosa potrebbero raggiungere ancora; in tal modo si indica indirettamente anche un’altra funzione che la valutazione può rivestire che è quella di costituire la base da cui avviare il miglioramento.
Connessa a quest’ultima accezione c’è l’induzione di riflessività che la valutazione può promuovere rivolgendosi quindi, direttamente, ai docenti come gruppo professionale; in tal senso, la valutazione diviene lo strumento per indicare l’efficacia della proposta didattica, di cui si possono riconoscere le diverse caratteristiche e la loro diversa funzione nel favorire i processi di apprendimento degli studenti. In questa prospettiva, la valutazione si configura come il mezzo mediante il quale i docenti si comportano da “professionisti riflessivi” che agiscono, quindi, come comunità professionale e collaborano al raggiungimento di obiettivi comuni.
Suffraga questa concezione anche la proposta del Rapporto di Autovalutazione (RAV) che, sulla base dei dati forniti nel format da INVALSI, può sostenere l’analisi degli esiti degli studenti, del curricolo realizzato, dei rapporti intessuti con la comunità territoriale ecc., individuando gli elementi da migliorare e gli obiettivi da raggiungere. Anche le visite esterne condotte dai team, composti da un dirigente tecnico, un esperto di scienze sociali e un esperto di scuola, confermano questa funzione della valutazione, poiché tali visite hanno mostrato l’interesse delle scuole al confronto e al dialogo quando interagiscono con interlocutori competenti. In tale prospettiva inoltre, l’autovalutazione riveste un ruolo fondamentale perché viene considerata seriamente dai docenti – come testimoniano anche i rapporti delle visite esterne elaborati dai team – i quali esaminano i dati proposti nei format con grande attenzione; questo vuol dire che l’autovalutazione, contrariamente alle banalizzazioni che sono state indicate in alcuni dibattiti, costituisce un’attività fondamentale, se si vuole davvero indurre riflessività e miglioramento nei processi educativi a scuola; d’altra parte, se non si punta sui docenti come protagonisti attivi di questi processi di cambiamento positivo, non ci sono altre possibilità di migliorare la scuola.

La valutazione a validità locale
Vi è poi un altro versante, quello della “valutazione a validità locale” che riguarda le valutazioni che i docenti conducono nelle loro classi; questo versante è solitamente utilizzato in funzione polemica per contrastare la funzione delle prove standardizzate, in particolare di quelle INVALSI. Non viene invece considerata la caratteristica peculiare di quel tipo di valutazioni, che è sostanzialmente la grande libertà dei docenti nell’usare situazioni e strumenti che potrebbero essere a loro disposizione per mettere a punto diverse modalità di verifica.
I docenti, infatti, possono valersi della conoscenza, per così dire clinica, della situazione della classe per la quale i dati standardizzati costituiscono soltanto una delle fonti, ma non esauriscono affatto le loro possibilità di documentare in modo più analitico e puntuale le diverse fasi dei processi, educativi e didattici, che hanno innescato nei loro studenti. In tal senso, il dibattito sulla valutazione non coglie questo aspetto, che orienta invece verso la considerazione della complessità del fare scuola quotidiano e delle diverse sfaccettature dell’apprendimento che nella quotidianità si dispiegano.
I docenti possono far riferimento a tali sfaccettature nei processi di apprendimento perché sono implicati aspetti formali, relativi a contenuti e procedure tipicamente appresi a scuola, ma anche ad aspetti non formali e informali che costituiscono una fonte insostituibile per la motivazione degli studenti. Gli apprendimenti propri delle situazioni non formali – come, ad esempio, la pratica di un hobby, di una attività sportiva, di attività musicali o altro ancora – sono realizzati a partire dalla scelta autonoma di coloro che vi partecipano e quindi si fondano sulla spinta emotiva e sulla persistenza che la motivazione induce. Un altro elemento di cui il/la docente si può valere si riferisce agli apprendimenti informali realizzati nella quotidianità, che si caratterizzano per la loro persistenza e sedimentazione: sono quegli apprendimenti di cui si deve comunque tener conto e sono le conoscenze con le quali vanno integrate le nuove in ingresso, se si vuole garantire efficacia all’intervento didattico.
Proprio l’articolazione della nozione di apprendimento indica che anche la misurazione e la verifica dovrebbero rivestire un’analoga articolazione; ciò vuol dire che gli strumenti usati dai docenti possono essere vari e diversi e più direttamente riferiti alla loro specificità; intendo in tal modo alludere anche all’uso del digitale, con video e registrazioni, che possono dare una maggiore visibilità all’apprendimento realizzato.
Non si può negare tuttavia, la maggiore difficoltà di questo tipo di valutazione, che richiede in primo luogo la messa a punto di criteri intersoggettivamente condivisi tra docenti, dal momento che non si può contare su procedure consolidate; ciò rimanda al funzionamento dei docenti come comunità professionale che implica il lavoro insieme, lo scambio di opinioni e di pareri e il raggiungimento di una rappresentazione condivisa per poter utilizzare criteri coerenti e solidi nel valutare processi e prestazioni dei loro studenti.
Questo versante della valutazione a validità locale è più impegnativo per i docenti, ma è anche quello che si fonda sulla loro libertà professionale e che fa superare le opposizioni solo ideologiche alla valutazione standardizzata; attestarsi su quella soglia significa avvalorare esclusivamente la concezione della valutazione come mero controllo.

Riferimenti bibliografici

  • Benvenuto G., Mettere i voti a scuola. Introduzione alla docimologia, Carocci, Roma, 2003.
  • Castoldi M., Valutare a scuola, Carocci, Roma, 2012.
  • Gattullo M. – Giovannini M.L., Misurare e valutare l’apprendimento nella scuola media, Edizioni scolastiche Mondadori, 1980.
  • Stame N., Classici della valutazione, Franco Angeli, Milano, 2007.
  • Stame N., Valutazione pluralista, Franco Angeli, Milano, 2017.

Anna Maria Ajello

professore ordinario di psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Università La Sapienza, Roma, già presidente INVALSI