Valutazione: limiti e potenzialità

di Gandini Andrea

Prima di entrare nel merito della valutazione (e di quella nelle scuole), vorrei premettere che considero la valutazione un aspetto positivo, se però è completa o valuta molti aspetti, viceversa si presta a notevoli manipolazioni. È anche vero che senza valutazione nella notte tutti i gatti sono neri. «Non giudicate, e non sarete giudicati» (Luca 6, 37) non significa che un maestro non possa valutare o dare un voto al compito dell’allievo, ma che dovrà valutare lo sforzo dei singoli. Se due studenti fanno un compito da 6, non significa che necessariamente abbiano fatto lo stesso sforzo: se uno studente partiva da livello 2 e l’altro da livello 5, lo sforzo è stato diverso. Questo (forse) è il significato del passo evangelico. Un buon maestro dovrà quindi, a parità di risultato, valutare anche lo sforzo e la “posizione di partenza” del singolo studente (contesto sociale e famigliare, ecc.) e distinguere la persona dal risultato.

Testa, mani e cuore
I test Invalsi (così importanti per un confronto internazionale delle scuole) testano i nostri studenti su tre competenze: matematica, letteraria (italiano) e linguistica (inglese), secondo un approccio educativo in cui queste materie sono di serie A e quelle manuali e artistiche di serie B.
Credo invece che, soprattutto per i più piccoli, ma anche per gli adolescenti, un’educazione astratta e concettuale non porti a un’armonica integrazione tra testa, mani e cuore, fondamentale per l’apprendimento anche concettuale e per sviluppare creatività, qualità morali e responsabilità oggi in declino (forse non a caso).
Questo modo di apprendere è stato proposto da moltissimi educatori, tra cui: Pestalozzi, Dewey, Montessori, Steiner, FrÖbel, Freinet, Rabhi, Vygotskij, gli psicologi di Palo Alto (Lave, Wenger…), Gardner con le sue otto forme di intelligenza. Molte scuole pubbliche in Germania, Finlandia, Danimarca, ecc. hanno assunto queste impostazioni (in parte o completamente) migliorando nettamente i risultati dei loro studenti anche in matematica, lingua (nazionale e straniera), ma soprattutto scoprendo che le materie manuali e artistiche favoriscono le connessioni cerebrali, l’immaginazione e il pensiero riflessivo che sono alla base della modernità. Anche in Italia si sono diffuse molte esperienze di scuola all’aperto (outdoor) che ha visto proprio in Italia uno sviluppo enorme dal 1900 al 1987 scoprendo che si impara di più e che nell’apprendimento dalla Natura si sviluppano l’osservazione, le domande che sono alla base del pensiero, la responsabilità individuale e sociale, la cooperazione.
Credo che la mancanza di queste innovazioni sia alla base dello sfacelo della nostra scuola pubblica italiana che si riflette nel vertiginoso aumento di problemi sia nelle scuole che nella società. La disconnessione tra testa, mani e cuore si rispecchia nella difficoltà a motivare i giovani, nel tradurre in pratiche concrete la conoscenza astratta. Non è un caso, per esempio, che si protesti per il cambiamento climatico ma poi quasi tutti gli atti di consumo, i comportamenti portano al collasso ambientale. Conosciamo ma siamo incapaci di intraprendere azioni concrete per affrontarlo.
Il nostro modello di scuola è poi “industriale”, standardizzato, non personalizzato. È mai possibile educare in classi “pollaio” di 27-30 adolescenti? È pervaso da una logica competitiva “finto-industriale”, perché sul lavoro vero c’è un massimo di cooperazione e un problema può avere varie soluzioni… a scuola la domanda ha una sola risposta giusta, come nei test.

Materie manuali e artistiche in serie B
A scuola non si insegna la cooperazione se non in teoria, né permette di ri-connettersi con la natura lo stare sempre seduti sui banchi, specie per gli studenti che oggi vivono in maggioranza in città.
Non sviluppa nuovi sensi come la meraviglia e il rispetto che quasi sempre vengono dalle materie manuali e artistiche, impedendo così quella gioia nell’imparare e respingendo quegli elementi che portano paura e competizione. Le materie manuali e artistiche considerate di “serie B” consentono invece di costruire significati e valori e non di annegare in un sovraccarico di informazioni, teorie e frammentazioni di pensieri indotto dai telefonini e dal digitale. Un aspetto è anche quello di valorizzare la coscienza e non solo l’astrazione e si deve imparare a sperimentare e provare anche a costo di non far bene la prima volta.
Per questo credo che outdoor, arte, artigianato, lavori manuali contribuiscono a sviluppare quegli strumenti essenziali per i cittadini del futuro, sia nel lavoro che nella vita: mani abili aprono il cuore e danno le basi per un pensiero flessibile, creatività, immaginazione e uno sguardo estetico, rispetto e apprezzamento della natura e di ciò che ci circonda, stimolano la cooperazione, inclusione sociale e responsabilità, oggi fondamentali sia per il lavoratore che il cittadino .
La valutazione sulle organizzazioni.
Se la valutazione sugli individui è problematica, quella sulle organizzazioni è più affidabile.
Quelle che operano nel mercato sono valutate in termini di performance (ricavi, occupati, profitti…) e, per fortuna, sempre più spesso con nuovi indici (soddisfazione dei clienti, dei lavoratori, riduzione delle gerarchie, lavorare in team, ridurre i rifiuti, produrre senza inquinare, usare il profitto anche per aiutare la società e i poveri…). Suggerisco la lettura del libro di Laloux, Reinventare le organizzazioni, che mostra come sia possibile fare anche più profitti, lavorando in modo diverso e più fraterno nell’interesse di tutti (clienti, lavoratori, natura…). Questo tipo di auto-valutazione delle organizzazioni aiuta a “migliorarsi” e a essere più trasparenti. Per questo sono nati i bilanci “morali”, di sostenibilità accanto a quelli economici. Anche a livello di società, indicatori come il PIL sono stati messi in discussione da tempo.
A livello sociale la valutazione consente di sapere, per esempio, quante risorse ogni paese assegna alla scuola (si veda lo sfacelo italiano nella figura allegata), alla sanità, alle pensioni, alle famiglie povere con figli (spesso donne single), per es. in quest’ultimo caso Germania, Francia e Inghilterra assegnano il 2% del Pil, mentre l’Italia 1,6%, che dedica anche meno risorse degli altri paesi europei a sanità e scuola (ma di più alle pensioni).


Sappiamo che l’eredità in Italia non è tassata fino a un milione di euro, per cui lo Stato raccoglie, dall’imposta sulle successioni, solo 830 milioni all’anno, mentre lo è in Germania, Inghilterra, Francia, Usa. Rapporti di istituzioni internazionali specializzate valutano il grado di democrazia, di inclusione sociale, dei diritti umani (come il Rapporto UNDP): ci sarebbero solo 24 paesi a “piena democrazia” (di cui 14 in Europa), mentre l’Italia è un paese “a quasi democrazia”. Ci sono istituzioni che valutano i diritti umani (Amnesty International), la libertà di stampa (non siamo messi bene neppure qui) e molti studi sulla distribuzione del reddito, del lavoro, della povertà, ecc., che indirettamente dicono quanto ampi sono i diritti umani e sociali e il livello di disuguaglianza. La valutazione si presta anche per far passare certe narrazioni favorevoli a noi occidentali, in quanto i maggiori organismi internazionali (Banca Mondiale, FMI, OMS, WTO…) sono stati creati dai paesi occidentali (spesso anglosassoni) e sono ancora oggi finanziati in grande maggioranza dagli Stati Uniti, UK ed Europa o, come nel caso (clamoroso) dell’OMS, da fondazioni private di miliardari (come Bill Gates), che quindi sono in grado di orientare le politiche pubbliche sanitarie. Ogni valutazione deve essere quindi presa con le molle, ma senza valutazione, senza indici, senza trasparenza non si può neppure avviare una discussione e oggi, per fortuna, ci sono molti esperti indipendenti che sono in grado di fare le pulci a valutazioni ufficiali ma grossolane. I professionisti del tennis hanno una valutazione ATP in base ai risultati che ottengono nei singoli tornei, ma c’è una classifica diversa (UTR) da quella ufficiale ATP. Quest’ultima premia coloro che fanno più tornei e ottengono più punti. UTR (Universal Tennis Rating) calcola invece la qualità di un tennista in base ai risultati ottenuti da ciascun giocatore nelle ultime 30 partite e tiene conto anche della qualità dell’avversario. Djokovic in questa classifica UTR è 1° (mentre in Atp è 5°), seguito da Kyrgios (22° ATP, 2° UTR), Medvedev (7° ATP, 3° UTR). Alcaraz che è 1° in ATP sarebbe solo 7° in UTR. ATP ha deciso di non assegnare i 2mila punti al vincitore di Wimbledon (che è stato Djokovic) poiché gli inglesi hanno escluso i giocatori russi e bielorussi dal loro torneo. Djokovic che ha accumulato 4.820 punti sarebbe arrivato solo con Wimbledon a 6.820 punti, come Alcaraz, pur essendo stato escluso, in quanto non vaccinato, da molti tornei. È quindi del tutto discutibile che Alcaraz sia il numero 1 nel 2022. La valutazione varia dunque molto in base ai parametri che usi. Io critico, per esempio, come viene calcolata la qualità della vita nelle province italiane da Il Sole 24 Ore e da Italia Oggi (che danno molto peso ai fattori economici) e ho elaborato una metodologia (a mio avviso) più corretta (A. Gandini, Ascesa e declino della qualità della vita in Italia, Cds 1993) che tiene conto non solo degli aspetti economici (reddito e occupazione) ma del welfare e degli svantaggi (disamenities) prodotti dalla modernizzazione. 30 anni fa previdi (con questa metodologia, a mio avviso più corretta) che la qualità della vita sarebbe peggiorata per la maggioranza dei cittadini con l’attuale sistema. Il governo dice che nel 2022 l’occupazione in Italia è cresciuta di quasi 500mila unità (fonte Istat), ma non dice (sempre fonte Istat) che negli ultimi 15 anni abbiamo perso centinaia di milioni di ore lavorate. Ecco perché la valutazione dovrebbe essere più completa possibile e non limitarsi agli indicatori che interessano. Quindi ben venga la valutazione, se ben fatta, da parte di autority indipendenti e trasparente. Tutti ricorderanno il Rapporto OMS Italia (fatto da un team di esperti indipendenti dell’OMS) di valutazione su come era stata gestita la pandemia in Italia. Un ottimo rapporto autorizzato dalla stessa Oms Europa e pubblicato per 24 ore. Quando il nostro governo lo ha visto è… sparito. «Xe pèso el tacòn del buso» (è peggio la toppa del buco) – dicono i veneti, perché essendo rimasto in rete 24 ore è comunque disponibile…
Negli ultimi dieci anni è stato introdotto in Italia un istituto indipendente (Ufficio Parlamentare di Bilancio, UpB) che svolge analisi e verifiche sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del governo, che non piace affatto ai governi che vorrebbero essere sempre assolti per le loro politiche. Nella Sanità non c’è un istituto analogo indipendente dal governo (come per esempio in Svezia), però abbiamo vari istituti (Istituto Superiore di Sanità, Agenas, Aifa…) che pubblicano rapporti annuali da cui si possono desumere molti indicatori e valutare le prestazioni fornite anche dai singoli ospedali con dati e indicazioni sulla qualità degli ospedali, delle cure svolte, del livello di specializzazione. Agenas fa un rapporto (Esiti) sui ricoveri, Aifa svolge rapporti sui farmaci, dai quali si può desumere che la ricerca è largamente condizionata dai privati che si guardano bene dallo studiare (per esempio) gli effetti collaterali dell’assunzione di più farmaci, pur sapendo che gli anziani over 70 assumono in media 5-7 farmaci al giorno. Insomma, abbiamo molte informazioni e confronti internazionali che ci dicono per esempio che la nostra Sanità era ai primi posti una decina di anni fa e oggi è molto peggiorata.

La grande assente nella scuola-università.
Il settore che avrebbe (a mio avviso) più bisogno di una valutazione in Italia è la scuola-università, dove esiste poco perché c’è stata nei decenni una forte resistenza a essere valutati, avvalendosi della buona scusa (vera) che, in questo settore, la valutazione è complicata e non può limitarsi al livello di apprendimento degli studenti delle tre principali materie, senza valutare il contesto sociale e famigliare di partenza, il patrimonio dei docenti, la struttura fisica, le attrezzature in dotazione della scuola, la numerosità delle classi, ecc. La valutazione sulle scuole fu introdotta dalla ministra Letizia Moratti e fu subito criticata perché aveva risorse insufficienti (10 milioni di euro), quando – disse Luigi Berlinguer nel 1999 – ne occorrono almeno 10 volte tante. Ciò spiega perché alla fine è stata poco efficace, pur diventando una sorta di auto-valutazione delle scuole stesse, basata sulla volontarietà che può essere però molto utile (ad esempio nella provincia autonoma di Trento, l’auto-valutazione è normativamente prevista dai primi anni Novanta) ma che, mancando di una verifica esterna e di un confronto con le altre scuole, non dava quella completezza e solidità alla valutazione stessa che necessita di entrambi gli aspetti (interna ed esterna). Ovviamente senza risorse adeguate (coi fichi secchi) non si fa alcuna riforma e su ciò i sindacati avevano ragione. Nella scuola abbiamo oggi le valutazioni Invalsi, che ci dicono (in base a un progetto internazionale) quali sono le capacità di lettura, di matematica e lingua straniera dei nostri studenti per singola scuola (riservati ai docenti), confrontabili con quelle degli altri paesi. «Il problema non sono però le prove, quanto quello che non fa seguito a quei risultati… specie nelle scuole a forte deprivazione economica e sociale che avrebbero bisogno anche di altro» (vedi l’articolo a seguire di Anna Maria Anjello in questo monografico). Nulla vieta infine che i docenti come professionisti riflessivi agiscano per mettere in valore gli apprendimenti informali come hobby, sport, musica, e i rapporti col territorio, superando il concetto della valutazione come mero controllo e usandolo come base per il miglioramento. Ma nulla sappiamo sul “resto” delle scuole, come invece prevedeva il progetto del ministro Luigi Berlinguer del 1999, bocciato da sindacati e regioni. Il progetto prevedeva la formazione di 1.500 valutatori che si sarebbero recati (almeno in due) per varie settimane, presso tutte le scuole italiane, sia pubbliche che private, al fine di dare indicazioni su una ventina di parametri e così capire quali erano i punti di forza e debolezza della singola scuola. Parametri che tenevano conto anche del contesto da cui provenivano gli studenti, delle classi sociali, del tipo di famiglie e quindi della situazione di “partenza” degli allievi. La valutazione sarebbe stata su quasi tutto, a partire dalle strutture fisiche della scuola (le scuole in Italia ricevono circa 8.700 euro per studente, sia se ubicate in Sicilia che in Lombardia). Avendo fatto parte della commissione dei 12 esperti, so perché questo progetto di valutazione non passò: Cgil-Cisl-Uil non volevano che ci fosse una spesa di 150 milioni di euro (pari a 0,4% del budget della scuola) per questa valutazione e che tutti i soldi disponibili fossero invece usati (come avvenne) per gli aumenti salariali. Motivazione seria, visto che i docenti italiani sono tra i peggio pagati in Europa, ma che non doveva affossare la riforma sulla valutazione. Le regioni (specie del sud) non la volevano perché sapevano che un quarto delle scuole non avrebbe superato i criteri fisici della soglia minima accettabile. Si prevedeva, infatti, che dopo 3 anni di valutazioni insufficienti sulla maggioranza degli indicatori (che è una cosa gravissima), quella scuola non avrebbe più avuto finanziamenti pubblici sia che fosse privata o pubblica, come avviene in Germania, Inghilterra, Francia e nei paesi nordici, dove tutte le scuole (sia pubbliche che private) sono valutate. La mancata valutazione ha prodotto così in Italia una discussione surreale dove ci si scontra tra chi è favorevole alla scuola pubblica e chi alla scuola privata, mentre sappiamo che ci sono scuole pubbliche ottime e scuole pubbliche pessime, scuole private ottime e altre pessime. Sono convinto che una valutazione ben fatta aiuterebbe tutte le scuole a conoscersi e migliorarsi nei punti deboli. Dovrebbe essere un obiettivo anche del singolo individuo (conosci te stesso), ma certamente lo è per un’organizzazione che eroga un servizio pubblico. Del resto, se lo si fa in tutta Europa una ragione ci sarà. La mancanza di una valutazione indipendente pubblica porta poi a sviluppare valutazioni private come quelle della Fondazione Agnelli che ha sviluppato un sistema di valutazione (usato da molte famiglie) che si basa sui voti del primo anno dell’Università e che, a ritroso, valuta le scuole superiori, con tutti i limiti di questo approccio che di fatto esclude tecnici e professionali. In conclusione: la valutazione va presa con le molle ma, se è ben fatta, aiuta a conoscersi, a migliorarsi, anche nella trasparenza, che è un valore.

Andrea Gandini

economista, già docente di economia aziendale, università di Ferrara, con la quale collabora per la transizione al lavoro dei laureandi, componente la redazione di madrugada