Le parole della pace e della guerra

di Buccoliero Elena

Che cosa vi viene in mente se dico “guerra”? E se dico “pace”? A Ferrara lo abbiamo chiesto a una cinquantina di giovani in servizio civile universale, maschi e femmine tra i 19 e i 29 anni. Suddivisi in tre gruppi, si sono avvicendati nella formazione presso Spazio Crema, dove dal 2 all’8 di ottobre – giornate di mobilitazione contro la guerra in Ucraina indette nell’ambito di Europe for Peace – il Movimento Nonviolento locale e la Rete della Pace di Ferrara hanno organizzato l’iniziativa “Il diritto di non uccidere”.
Per dirla in breve, si è trattato di una mostra sull’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia e in Ucraina, Russia e Bielorussia, arricchita da un insieme di iniziative e sostenuta da Fondazione Estense, Istituto di Storia Contemporanea e Laboratorio per la Pace dell’Università di Ferrara.
Una delle iniziative erano appunto le quindici ore di formazione per giovani in servizio civile. E il primo aggancio con i ragazzi, dopo le presentazioni, era proprio questo: su due post-it di colori diversi annotate la prima parola che vi viene in mente sulla guerra e sulla pace.
Per qualcuno le parole sono state più di una. Al termine della settimana ci siamo ritrovati con un piccolo vocabolario, e quanto sarebbe bello arricchirlo in altri laboratori! I volontari hanno usato 98 parole per descrivere la guerra, ma alcune ritornavano. Le più citate sono morte (9 preferenze), distruzione (8), paura (6), odio (5), caos, scontro e violenza (4). Le parole della pace sono 94. Anche qui ci sono delle ricorrenze. Svetta per prima, con 9 preferenze, libertà. Seguono amore e armonia (5), felicità, serenità, tranquillità, unione e vita (4) e molte altre con frequenze inferiori.
Già così qualcosa si capisce. La guerra è soprattutto morte, perché semina morte, ma per la pace non basta che ci sia vita, o proteggere la vita; occorre che ci sia libertà. Una vita senza libertà non è in pace, sembra di poter dire. E poi, la guerra è attiva, cioè fa qualcosa, per quanto in negativo come distruzione, caos, scontro e violenza, accompagnati da due emozioni prevalenti che sono la paura e l’odio. La pace è uno stato, non qualcosa che avviene. I primi termini associati a libertà – amore, armonia eccetera, con l’eccezione di “vita”, in un certo senso – indicano un benessere placido, statico. Una cosa che c’è (se e quando c’è) e nella quale si può stare.
Se guardiamo all’insieme delle parole di pace e di guerra facciamo nuove scoperte. Ad esempio le parole della guerra sono più facili da classificare. È più netto il confine tra le emozioni e gli stati d’animo, i fatti o gli strumenti, le cause e le conseguenze (impossibile scinderle tra loro).
Per la guerra 35 citazioni riguardano cose che accadono oppure strumenti che la rendono possibile.
Oltre a morte, distruzione, violenza e scontro già citati, la guerra è anche armi (3 preferenze), ordini, oppressione, prepotenza, prevaricazione, proiettili, stragi (tutte che compaiono una sola volta).
I giovani incontrati parlano anche di caos e conflitto (4 preferenze), discriminazione e divisione (3), ingiustizia e invidia (2), differenze, difficoltà, fame, ignoranza, insicurezza, non comunicazione, profitto, razzismo, regressione, ricerca del nemico, unità.
Impossibile dire se in questo elenco troviamo le cause della guerra oppure i suoi frutti. Del resto, la domanda è oziosa, le conseguenze di una possono ben essere la premessa per la successiva.
Un’annotazione merita la parola conflitto, usata anche dai media e nel discorso comune quale sinonimo di guerra, ma che richiede un approfondimento diverso in un contesto formativo dove è possibile raffinare il linguaggio e il pensiero sotteso. Gli altri termini appena visti sono negativi tranne profitto, che acutamente un partecipante ha voluto ricordare, differenze, di per sé tutt’altro che negative, e unità, che non è soltanto positiva ma può infondere un senso di benessere. E che la guerra produca unità insieme alla ricerca del nemico è esperienza documentata, in una famiglia o in un gruppo di amici come nei rapporti tra Stati. Apprezzabile che questo tipo di unità sia riconosciuto e, poi, messo in discussione.
Ancora, le parole appena viste portano le tracce della violenza strutturale che sta dentro alla guerra. Ingiustizia, discriminazione, razzismo, ignoranza… possono essere cause che spingono a imbracciare le armi.
Le emozioni e gli stati d’animo della guerra, oltre a paura e odio di cui già si è detto, sono rabbia, sofferenza e tristezza (2 preferenze), alienazione, angoscia, invidia, preoccupazione. Nessuno ha scritto riscatto, resistenza, rivincita, ebbrezza, eccitazione… La condanna è unanime: nella guerra non c’è proprio niente di cui essere felici. Eppure la si fa.
Sono 12 le qualifiche della guerra che possiamo indicare come giudizi, e tutte sono state nominate una volta sola. Ci dicono che la guerra non serve a niente (futile, inutile, occulta i problemi), è distruttiva in ogni senso (costosa, condannabile, perdita, disgustosa, inumana, perdita di umanità, violazione del diritto umano alla vita) ma per qualcuno è anche inevitabile (da sempre nella storia, inalienabile). Nelle discussioni successive al brainstorming ci siamo confrontati anche con questa idea, per nulla nuova, che la guerra sia qualcosa da cui è impossibile liberarci, connaturata all’essere umano e al suo istinto di sopravvivenza a scapito degli altri quando occorre.
Un atto disumano e molto umano, si potrebbe dire. è un bene parlarne e insieme ricordarci di quanto sia umano controllare alcuni istinti a vantaggio di altri che pure ci appartengono, quali l’empatia, la solidarietà, la collaborazione proprio a vantaggio della nostra sopravvivenza.
Siamo già entrati nelle parole della pace che, a guardarle tutte insieme, prendono colore ed escono dalla stasi attraverso condivisione (l’unica citata 3 volte), accordi (2), cooperazione, mediazione, nonviolenza, tregua, controllo, sinergia e costruzione. Da qui comprendiamo che la pace è qualcosa che sia fa insieme agli altri, qualcosa di attivo e operoso. Non c’è stato modo di dirsi se la parola “controllo” qui fosse rivolta a sé, al potenziale avversario o a entrambi.
Nella relazione con gli altri – singoli, gruppi, soggetti collettivi anche molto ampi – la pace significa e richiede ascolto e dialogo (2 preferenze), comunicazione e incontro. Nell’insieme capiamo che quando si è in pace il rapporto è vivificato dallo scambio. C’è da chiedersi se questo non debba essere inteso anche tra i passi necessari per la costruzione della pace, cominciando a praticarli quando la pace non c’è.
Gli atteggiamenti di fondo, i valori a cui tendere, che sono anche premesse della pace e sue conseguenze, sono fratellanza (2), comprensione, empatia, rispetto, solidarietà, sostegno, responsabilità e tolleranza. Il richiamo alla responsabilità, come poco prima alla costruzione, alla tregua e agli accordi, ci dice che la pace non è facile, non è una quiete data dall’alto e su cui non si ha modo di intervenire: bene quando c’è, ma se viene interrotta dalla guerra non ci si può fare niente. Per fare la pace bisogna impegnarsi.
In opposizione alla guerra, le emozioni della pace sono felicità, serenità, tranquillità, sicurezza, calma, gioia, spensieratezza, speranza, star bene con sé stessi. Sorrido pensando ad Aldo Capitini – molte volte citato da Daniele Lugli – quando diceva che l’amico della nonviolenza si alza la mattina presto, ha sempre qualcosa da fare invece di bearsi nella serenità o nella calma che tuttavia, ammettiamolo, sono un’amaca molto desiderabile.
La pace è legata ad altri termini importanti difficili da classificare. Sono premesse e conseguenze della pace ma in parte anche giudizi. La pace, dunque, è libertà (9 preferenze), amore e armonia (5), unione e vita (4) come già si è detto, ed è pure prosperità (2), civiltà, concordia, consenso, convivenza, creazione, crescita, diritti, parità e unità. Anche qui riconosciamo la ricerca di una pace uniforme, basata sull’identificazione completa nell’insieme (unità, unione, consenso, concordia…) e il desiderio di una pace che produce cambiamento (crescita, creazione), benessere (prosperità, dove per la guerra si parlava di fame) e dialogo tra le diversità (convivenza, diritti, parità).
La pace è dunque possibile? Per 3 giovani si tratta di un’utopia cui si può solo tendere, senza raggiungerla mai, ma per altri è imprescindibile, necessaria, normale, una possibilità, un’attitudine, un progresso. Con il dubbio di fondo se sia il frutto di una predisposizione e quindi qualcosa di difficilmente raggiungibile dove non c’è (l’attitudine o si ha o non si ha) o, piuttosto, un obiettivo da realizzare, un progresso e una possibilità. Stancarsi non si può perché la pace è imprescindibile e necessaria, è vita e libertà.

Elena Buccoliero

sociologa, componente la redazione di madrugada