MELQUÍADES
Cina & USA: pari il primo round sul ring mondiale
Com’era prevedibile è finito pari il primo round tra Cina e Stati Uniti. Per Trump “compriamo più di quanto vendiamo, quindi comandiamo noi”. Peccato che nel commercio globale oltre alla bilancia dei pagamenti valga quella dei minerali (terre rare) e dei farmaci. Per fabbricare smartphone, batterie, turbine e chip servono le terre rare cinesi e quasi 700 medicinali “made in Usa” dipendono da principi attivi di farmaci cinesi (antibiotici, antitumorali, antiallergici).

Cina e Stati Uniti sono i due leader mondiali tecnologi che lavorano “l’un contro l’altro armati” per ottenere la leadership mondiale nel XXI° secolo. Chi vincerà? E l’Europa con chi sta? Alla seconda domanda è facile rispondere: l’Europa sta con gli Stati Uniti (non si sa con quali vantaggi), mentre chi vincerà è controverso.
Tra gli studiosi c’è chi sostiene che ci può essere un solo “leader”. Altri credono che vivremo un declino dell’impero americano e una ascesa della Cina, senza che nessuno prevalga nella prima fase in questa “lotta”. A farne le spese sarà soprattutto l’Europa che pagherà la subordinazione agli Stati Uniti, senza cogliere le opportunità di una posizione equidistante basata sugli interessi e i valori degli europei.
Trump cerca coi dazi di riportare la manifattura in Usa, di ridurre debito pubblico e deficit commerciale (per ora con risultati modesti). Può vessare l’Europa e altri “amici”, ma non i nemici (Cina e Russia), che hanno “carte” per far male agli Stati Uniti. Le filiere produttive globali, anche in un’epoca di de-globalizzazione, sono andate così avanti che le imprese americane non possono fare a meno di fornitori cinesi (o asiatici, alleati alla Cina) e di materie rare e farmaci posseduti in gran parte da Cina e Brics.
Ne sa qualcosa la Germania che, volendo colpire Nexperia (su pressioni Usa),società olandese di proprietà dei cinesi Wingtech, che produce chip, si ritrova, come ritorsione, la mancata importazione di chip cinesi, per cui blocca la produzione della Golf (Volkswagen) per sei mesi con un danno gigante alla sua economia. Ma siamo solo all’inizio, seguiranno altre imprese UE.
Germania, Francia e UE hanno abbandonato l’Ost-politik della Merkel e del primo Macron, e puntano tutto sulla vittoria sulla Russia. Una scommessa che dire azzardata è un eufemismo e che potrebbe portare al collasso dell’Unione Europea.
Intanto la Cina prosegue spedita nell’innovazione tecnologica, Intelligenza Artificiale e crescita del suo mercato interno (immenso). Questa è una novità, per difendersi dai dazi americani, dipendere meno dall’export, pur proseguendo export & investimenti nel Resto del mondo e in Africa (il nuovo gigante del XXI° secolo), dove cerca di sostituire il dollaro con lo yuan, come in Etiopia, offrendo credito a tassi di interesse minori del dollaro.
Una strategia che potrebbe imitare (coi dovuti distinguo) anche l’Europa se si pensa che Draghi ha appena detto che bisogna fare investimenti comuni su “tecnologie di frontiera, sicurezza e difesa, green deal…perseguendo multilateralismo, diplomazia e responsabilità climatica”, mentre Stati Uniti, ma anche UE, vanno in direzione opposta: “protezionismo, ritorno alle armi, negazionismo”.
La Cina possiede il 64-70% delle materie rare (ne raffina il 90%), sa che può mettere in difficoltà gli Stati Uniti in produzioni tech e militari, minacciando la sua leadership tecnologica e militare nel XXI secolo: magneti permanenti, transistor al nitruro di gallio e al carburo di silicio, batterie agli ioni di litio. Un tempo era il giullare che osava dire al Re scomode verità, oggi a Trump, circondato da yes man (e dagli europei), potrebbero dirlo i Tresaury decennali che, innalzandosi, lo avvertono.
Qualche mese fa su Il Corriere della Sera Lucrezia Reichlin (London School) mise in guardia l’Europa dal non abbandonare il Green Deal (che ora fa) nel momento in cui l’alleato USA punta su “drill baby drill”, cioè sulle energie fossili. L’Europa solo con tecnologie ed energie verdi può infatti avere in prospettiva una sua autonomia strategica e produttiva, ma soprattutto puntando sul suo mercato interno.
Nel breve periodo la Cina domina tutte le filiere verdi (rinnovabili). Le sue emissioni di CO2 sono diminuite del 48% dal 2005 al 2020 e domina ogni anello della catena di approvvigionamento di veicoli elettrici, pannelli solari e batterie. È leader mondiale nella lavorazione delle materie prime per le tecnologie dell’energia pulita, e nel raffinare le terre rare, 60% del litio, 90% della grafite anodica mondiale. Senza componenti forniti dalla Cina nel breve periodo i costi per l’energia solare e i veicoli elettrici europei sarebbero più alti del 30-50%. Del resto recenti studi di società indipendenti (non certo ambientaliste) come Ricardo Group per conto della Fia (Federazione internazionale dell’auto) hanno dimostrato in modo inequivocabile che le emissioni di CO2 delle auto sono minori con l’elettrico anche considerando tutto il ciclo di produzione delle batterie e di smaltimento delle stesse. E i trasporti producono 8 miliardi all’anno di tonnellate di CO2, pari al 21% di tutte le emissioni mondiali.
Che fare? La Cina è il nemico numero uno degli Stati Uniti, a cui l’Europa è legata. Non è facile scegliere tra due modelli (USA e Cina), uno peggio dell’altro. Lucrezia Reichlin suggeriva che dialogare con tutti (Cina inclusa) è nell’interesse degli europei, cercando di diventare autonomi nel lungo periodo.
L’Europa si sta invece infilando in un tunnel senza uscita, al servizio degli Stati Uniti che, probabilmente, perderanno la leadership mondiale in molti settori.
Il modello cinese di produzione capitalistica usa lo Stato in modo strategico. Un “capitalismo” fortemente guidato dal Partito comunista e dalla sua pianificazione quinquennale.
Come avviene tale pianificazione? I politici danno indicazioni di massima e poi entra in azione il sistema Quishi, una Intelligenza Artificiale (su cui lo Stato ha investito 500 miliardi dal 2017, equivalenti a 2/3 del Next Generation UE) e che incorpora 600mila variabili di sviluppo tecnologico, demografico, sociale, di scenari geopolitici e molto altro, al fine di simulare l’impatto di diverse politiche con un margine di errore –loro dicono- basso (3%). Una pianificazione più “scientifica” di quella (disastrosa) sovietica di 60 anni fa. Vien da dire che siamo passati dai “Soviet + elettricità” ai “Soviet + AI”. Al solito i cittadini e gruppi intermedi non vengono consultati sulle scelte e sono sempre fuori dalle stanze dei bottoni (la democrazia non è di casa).
La moderna pianificazione consente di bilanciare obiettivi diversi: crescita economica, sostenibilità ambientale, stabilità sociale e altre variabili potenzialmente in conflitto al fine di simulare scenari possibili che, una volta approvati dal “Consiglio Superiore Algoritmico” (istituito nel 2020) e formato non più da dirigenti comunisti ma da scienziati, economisti, esperti vari, politici (una sorta di Cnel cinese), decidono le strategie.
Questo sistema consente di mixare l’approvvigionamento energetico favorendo le energie rinnovabili, la riduzione dei fitofarmaci in agricoltura, automatizzare le fabbriche manifatturiere e individuare i settori che espellono manodopera e la formazione necessaria per transitare a nuovi settori come l’assistenza agli anziani, produzione culturale, economia verde, servizi digitali.
Verrebbe da dire che la Cina sta passando dalla proprietà statale dei “mezzi di produzione” di marxiana memoria alla proprietà dei “mezzi di produzione algoritmici” che plasmeranno la società del futuro. Parrebbe un cambio di paradigma, nel senso che il capitalismo (che si fonda sul mito dell’imprenditore che rischia in proprio e si arricchisce o fallisce e decide lui quali beni produrre e poi cerca di venderli col marketing), si trasforma in un “capitalismo guidato dall’Intelligenza Artificiale”, seppure dietro le indicazioni di un Consiglio di umani (esperti). Per ora non sono coinvolti i cittadini, i sindacati (che sono “addomesticati”), le associazioni dei consumatori e tutti quei corpi intermedi della società che hanno reso l’Europa più democratica e partecipata e che hanno diritto di protestare col Governo e indicare quali siano i veri bisogni e la loro visione del mondo.
Nel modello cinese sembra che l’AI cambi l’attuale sistema “capitalistico”, dove la valorizzazione del capitale è svolta soprattutto da imprenditori privati (che rischiano in proprio), a un sistema statale esperto in cui il decisore politico rimane sempre lo Stato ma che si affida ad un sistema di AI (Quishi) che decide quasi tutto, dalle transazioni finanziarie a come investire i 3 trilioni di dollari del fondo sovrano cinese.
Negli Stati Uniti Elon Musk, Peter Thiel (Palantir, ex pay pal) vogliono trasformare il capitalismo americano in una tecnocrazia razzista guidata da bianchi super (per capacità intellettuali e soldi; si veda il libro di Stefano Feltri su Musk) che per certi aspetti richiama il modello cinese, e in cui democrazia e partecipazione (non dico i sentimenti) sono un’inutile perdita di tempo, in quanto “cosa fare e come farlo” lo sanno pochi eletti competenti collegati con neurolink all’Intelligenza Artificiale. Gli altri saranno follower e alla massa dei poveracci, sempre più drogati e alcolizzati, si darà un piccolo sussidio in modo che non facciano troppo casino.
Come si vede non c’è da stare allegri né con Trump-Musk né con Xi Jinping. Trump per ora sembra aver abbandonato le follie di Musk, ma si fa guidare sempre da un capitalismo finanziario, dall’idea che sono i ricchi a contare (da cui ancora meno tasse) e che possano aiutare una massa di poveri e sprovveduti (vedi il recente Bill Beatiful Bill Act che toglie ai poveri per dare ai ricchi).
Ci vorrebbe un altro modello (quello europeo di umanesimo) che mitigasse la massimizzazione del profitto che ci sta portando alla distruzione del pianeta, a predare ogni settore (spazio incluso), come se la Natura, la socialità, il welfare, l’eguaglianza fossero da abbandonare e puntare sul mercato interno (quello UE è il più grande al mondo).
L’Europa a bordo ring, aspetta e spera, è in altre faccende affaccendata col ReArm che creerà solo altri problemi, anche all’Italia che dovrebbe spendere da 33 miliardi a 66 in armi (al 2035), riducendo ancor più il suo welfare. Un bel problema anche per la Meloni che ha accettato di spendere il 3,5% del Pil (più che il 5%) proposto dalla Nato, ma in modo graduale e poi verificando il tutto al 2029, sperando che la guerra russo-ucraina sia finita (probabile) e si possa decidere dopo le elezioni. Per l’Italia e l’Europa ampi spazi di miglioramento per costruire un mondo più rispondente ai veri bisogni degli Esseri Umani.
Andrea Gandini
Economista, già docente di economia aziendale, analista del futuro sostenibile. Componente della redazione di Madrugada.
