Il sud interiore Sulla frontiera contaminata

di Stradi Paola

Le tracce che segnano il confine geografico tra territori conducono inevitabilmente ad una riflessione sull’inspiegabile mistero della diversità; è straordinario pensare come margini naturali o fittizi, anche se non sempre costitutivi di identità di popolo, influiscano sulla formazione di uomini, di politiche, di società.
Limiti che esaltano Babeli innumerevoli, disponendo l’impronta di vita di ciascuno di noi attraverso categorie assimilate o imposte, scelte o subite; categorie che si neutralizzano dal centro alla periferia, assumendo l’irresistibile sapore dell’incontro di frontiera dove niente è puro, tutto è misto e di necessità contaminato.
Ma dove è situata oggi la frontiera? Dove il Sud, il Nord, dove la linea reale che circoscrive identità caratterizzanti a tal punto da determinarne specificità?

Luoghi, territori
“Altre lingue, altre parole, altri sguardi. Anche altri modi di stare seduti. Stanchezze depositate negli occhi, nei muscoli, nelle ossa. E colori inusuali della pelle, sulla pelle che raccontano di lontane provenienze. Eppure queste lontananze dell’Altro si trasferiscono istantaneamente, all’atto dell’incontro, nei miei saperi più veri e sedimentano una conoscenza fattuale che annulla all’istante ogni estraneità” .
Sud. Oramai il termine è talmente dilatato nel suo ambito di significato che quasi se ne dimentica la connotazione specificamente geografica; il Sud non rappresenta più paesi specifici, ma evoca territori che potrebbero avere uno, cento, mille nomi.
Non più popoli di origine certa ma provenienze complesse, vite varie ed incrociate dove la storia di ciascuno acquisisce importanza ed unicità attraverso le esperienze del viaggio, dell’insicurezza, della precarietà.
Viene dal Sud non più il classico emigrante con valigia a spago ma il giovane con tanti dubbi, troppi studi ed un debole presente; e, paradosso, al suo posto rimane a raccogliere gli avanzi di un territorio sofferente un altro giovane di un altro Sud, quello lacerato da guerre e miserie sempre nuove, che offre colori a noi prima sconosciuti, lingue mai immaginate, volti inconsueti.
“Donna d’Africa, presenza nel mio mondo. Non Altra da me se non per la speciale qualità delle tue afflizioni, per il gusto dei tessuti colorati e per il posto che occupi, in questo preciso momento, sul vagoncino della metropolitana.
[…]
Modi diversi di attraversare gli eventi sulla terra, cercandosi in un senso e cercando le radici condivise del senso” .

Il tempo, la lentezza
“Se l’economia è mondializzata dal XVI secolo, solo oggi si assiste ad una vera economicizzazione del mondo. La vita nella sua totalità viene sempre più ridotta alla sfera economica, mentre l’utile diviene il criterio per eccellenza di misurazione del bene” .
La civiltà industriale e postindustriale, modello pressoché unico della società occidentale, ha sviluppato il concetto di tempo secondo due riferimenti essenziali: la macchina e la meta.
La sincronia della macchina-orologio è la misura di un tempo monetizzato, enfatizzato dalla sua finalità intrinseca: l’accumulo e la multinazionalità del capitale.
Ma esiste un tempo interno quello che accompagna affetti ed emozioni (il kairos greco) che ha invece caratteristiche diverse: è soggettivo, discontinuo, sovrapposto.
È questo il tempo che valorizza le azioni non produttive e che spesso cede alle seduzioni della perfetta sincronia tecnicista, lacerando storie, territori, culture.
Così, i Sud del mondo, luoghi di riproduzione di economie omologanti ed omologate, non possono che affidare alla ciclicità di un rito spesso mediato, lo spazio per vivere il corpo, le relazioni, il movimento ritmico.
Esiste un tentativo di resistenza: avanzare gli spazi all’affanno, alla corsa e assaporare l’intimità rubata al tempo economico recuperando il gusto della lentezza.
“Solo attraverso la restaurazione della vita intima, del principio di responsabilità personale (contro le morali utilitarie e il conformismo della società di massa), sarà possibile decolonizzare il nostro immaginario e creare un’idea di sviluppo radicalmente nuova” .

Il suono, la danza
“Ci sono città che poggiano sull’acqua, altre sul vuoto. Napoli sta su una mollica di tufo interrotta da spelonche, cave sotterranee, canali perduti. Il terremoto che si carica sotto di essa trova camere d’aria in cui rimbomba a onde, canta, ringhia. Giovanni nell’Apocalisse, l’ultimo dei Libri, ha provato a scrivere quel suono” .
Suoni, rumori; note prolungate di canti antichi che sanno di terra e passione coesistono con pianti e litanie, vecchie e nuove.
Splendore e tirannia della natura: paesaggi traboccanti musica di vita diventano minaccia di terrore, assordante e cupo lamento di terra che trema, di montagna che slitta, di mare che inonda. Arso e dilatato il silenzio del sole che secca, devastante il ritmo della pioggia che distrugge.
“Jesce sole, Jesce sole, Jesce sole
nun ce fai chiù suspirà…” .

“…e la terra se spacca e sgrava solo chi tene alla fatica di mill’ann de sudore” .
Le musicalità mediterranee evocano suoni propiziatori, auspici e speranze, ricerca di riscatto. Denunciano, subiscono e con tono aspro si impongono con forza, sensualità, disperazione.
Sono le note di vita e di civiltà che appartengono alle anime ultime, quelle dei personaggi della letteratura di frontiera latino-americana (Amado, Mutis, Belli, Blanco e numerosissimi altri) e di tutte le letterature anche minori più o meno conosciute, spesso mal distribuite e non sempre tradotte in italiano.
Anime salve, le definisce Fabrizio De André nel suo lavoro condotto con Ivano Fossati nel 1997; lavoro di ricerca che nelle radici coglie il sentire, nell’etnica del suono trova espressione di vissuto. I due cantautori genovesi (altro mondo, altro Sud) insieme riescono a fondere parole, musica e territorio con slanci emotivi fortissimi e con la consapevolezza di essere sempre mediatori privilegiati.
Assolutamente insulse, invece, le infinite e mielose riproduzioni di autori vari su melodie neutre e tranquille; irritanti e fastidiose perché patinate e lontane dalle proiezioni del reale, funzionali solo al mercato e all’immaginario del disimpegno.
Tanti Sud, come tanti Nord: metafore di animi e stili di vita che valicano frontiere e che in modo trasversale percorrono popoli e persone.
Incontro di abitudini che, se curiosi del ciò che resta fuori di noi, ci aiutano a ritrovare il senso del nostro sommerso sagomando altri spazi, altre recettività.
Il salmo 78 racconta di Dio che conduce Israele nel deserto: E li portò al suo confine santo (verso 54).
La notizia è che l’incontro tra i due personaggi dell’Antico Testamento non avviene in un bel centro, ma all’estremità di un territorio, a un confine. Si incontrano nella schiavitù d’Egitto, poi lo scambio della Legge avviene nella profondità del deserto .

Paola Stradi
Ricercatrice della Cisl.
Impegnata nell’Associazione
“Rosa Bianca”.
Risiede a Roma.
1 R. Curcio, Metrò, Sensibili alle foglie, 1994, pag. 76.
2 Ibidem, pag. 71, 75.
3 S. Latouche, in L’Unità, mercoledì 2 dicembre 1997.
4 S. Latouche, op. cit.
5 E. De Luca, In alto a sinistra, Feltrinelli, 1994, pag.41.
6 “Esci sole, esci sole, non ci far più sospirare”
Nuova compagnia di canto popolare, Jesce sole, ed. Musicali Emi, 1977.
7 “E la terra si spacca e si libera solo a chi resiste alla fatica di mille anni di sudore”.
La moresca, Oje Madonna fance chiovere, ed. Musicali Avvenimenti, 1997.
8 E. De Luca, Alzaia, Feltrinelli, 1997, pag. 29.

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