Nuovi volti in parlamento
Eletti per fama, per merito, per eredità?
È stata la «salita in politica» della società civile. Candidata alle elezioni. Poi eletta. Ai massimi vertici. Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: sono i nostri presidenti di Senato e Camera. Il plotone apolitico, in parlamento, è tuttavia molto più vasto. Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, Maria Chiara Carrozza, rettore della scuola superiore Sant’Anna di Pisa, Michela Marzano, filosofa, Miguel Gotor, storico, Alberto Bombassei, imprenditore, Josefa Idem, canoista olimpionica, Valentina Vezzali, schermitrice olimpionica. Solo per fare qualche nome. Altri non sono alla prima esperienza come Matteo Colaninno, imprenditore, figlio di Roberto; Antonio Boccuzzi, operaio, sopravvissuto al rogo mortale della TyssenKrupp; Rosa Calipari, vedova dell’agente del Sisdi Nicola, ucciso nella liberazione di Giuliana Sgrena (qui si potrebbe aprire una digressione sui familiari dei morti ammazzati entrati in politica: Rosanna Scopelliti, figlia del giudice Antonino, ucciso dalla ‘ndrangheta, è deputata Pdl; Umberto Ambrosoli, avvocato penalista, figlio dell’eroe borghese Giorgio, è stato candidato dal Pd alla presidenza della regione Lombardia; Haidi Giuliani, madre di Carlo, il ragazzo ucciso al G8 di Genova nel 2001, è stata senatrice; Olga D’Antona è stata parlamentare dalla XIV alla XVI legislatura; Benedetta Tobagi, figlia di Walter, giornalista ucciso da un gruppo di estrema sinistra, si era candidata senza successo per il Pd alle provinciali di Milano e ora siede nel consiglio di amministrazione della Rai, quota sempre Pd; Lucia Borsellino, figlia di Paolo, è assessore alla sanità in Sicilia. Ma è un risarcimento? Ma è normale?). Per restare all’isola dei famosi, Nicole Minetti, igienista dentale, non si è ricandidata al consiglio della Lombardia.
Deputati visti di profilo
La società civile un po’ meno nota al grande pubblico, invece, ha lasciato traccia di sé su Youtube: sono i grillini. Mamme, impiegati, insegnanti, liberi professionisti si possono ancora rintracciare nei loro video di presentazione per le Parlamentarie. Divani e cuscini Ikea, computer come i nostri, giardini come i nostri a fare da sfondo alla gente comune. E sul sito del movimento il loro nome, nelle liste dei candidati, è associato alla professione (anche in quello di Monti, a dire la verità, succede, ma solo per alcune circoscrizioni). È come nelle elezioni comunali, dove il tuo vicino, coniugato, tre figli, un impiego in banca, si candida e presenta a tutti la sua vita (ps: andate a leggervi i profili di deputati e senatori sui siti di Camera e Senato, scoprirete che alla voce «professione» Bersani non ha dichiarato nulla, come pure La Russa e Brunetta, la Bindi è «ricercatore universitario», Fioroni addirittura «ricercatore confermato», Galan più esplicito indica «parlamentare», Scilipoti e Mussolini «medico», Sacconi «ex funzionario agenzia Onu»).
Il governo del proprio paesello è l’esperimento che si avvicina di più, per dimensioni demografiche, alla democrazia diretta (non a caso un vessillo sbandierato dagli adepti di Beppe Grillo). È una forma di organizzazione politica che prevede il coinvolgimento diretto dei cittadini nel processo decisionale e di amministrazione della cosa pubblica (come avviene per i referendum e le leggi di iniziativa popolare). Pur eleggendo i propri rappresentanti, gli abitanti dei piccoli centri spesso si avvicendano al governo. Chi non ha un amico o almeno un conoscente che èàstato assessore alzi la mano. È il modello ateniese di Clistene (565-492 a.C.), in cui addirittura i cittadini si danno il turno al potere per sorteggio. La sorte è imparziale tranne che per la carica degli arconti, i capi militari che devono organizzare la difesa della città: un ruolo delicato che non può sostenere conclamate incompetenze. D’altra parte anche il papa è un cardinale abbastanza vecchio – si legga esperto – eletto da cardinali. Mica possono prendere uno da fuori. Un «tecnico».
Professionisti, tecnici, dilettanti
Eccolo il rovescio della medaglia. Dopo il governo dei tecnici, infatti, arriva il popolo dei dilettanti. Il che è lo stesso. Dato per dilettante «chi svolge un’attività non per professione» e non necessariamente «chi dimostra insufficiente preparazione nella sua attività». Che cosa ne sa un professore universitario di politica? Poco, forse nulla. Meglio, direte voi. Così farà il bene comune senza compromessi con nomenklatura e amici di sempre. O farà la cosa giusta nel suo campo, secondo la sua competenza, senza farsi influenzare da ideologie di sorta. Che ne sa un imprenditore di successo di politica? Quel tanto che basta per governare l’Italia per la maggior parte degli ultimi 18 anni. Ma lì l’esperienza del mercato televisivo (dare agli italiani ciò che vogliono vedere) ha aperto la strada a quella del mercato politico con perfetta continuità. Che ne sanno gli uomini e le donne comuni del Movimento 5 stelle, candidati in Parlamento solo dopo, secondo le regole, essersi presentati a elezioni amministrative locali e aver perso o aver rifiutato la carica (volendo estremizzare: se non riesci a farti eleggere con la preferenza a Pove del Grappa ti mettiamo nel listino blindato nazionale)? Hanno detto di aver fatto dei corsi di recupero in diritto costituzionale.
Ex calciatori, pornostar, presentatrici, ex sciatrici, ex veline o vallette, attori sono sempre stati eletti. Ma il fenomeno, alimentato dall’onda antipolitica, è aumentato. Franco Battiato, musicista, ha fatto l’assessore al turismo in Sicilia accanto ad Antonino Zichichi, scienziato, assessore ai beni culturali. Entrambi sono durati poco. D’altra parte il governo dei filosofi, imparziali e saggi, teorizzato da Platone nel dialogo La Repubblica, era stato derubricato da tempo sotto la voce «ingenuità». Quindi? Quale equilibrio trovare tra competenza e capacità di compromesso, fiducia negli ideali, che in fin dei conti determinano gli schieramenti politici – tranne che per le ultime elezioni in cui i montiani si sono definiti spesso e volentieri «progressisti» contribuendo alla confusione omogeneizzante delle parti – e pragmaticità? Max Weber nella conferenza La politica come professione (1919), sostenendo la necessità dell’autonomia della stessa, scriveva: «Tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l’uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. […] Quel fermo controllo del proprio animo che caratterizza il politico appassionato e lo distingue dai dilettanti della politica che semplicemente «si agitano a vuoto», è solo possibile attraverso l’abitudine alla distanza in tutti i sensi della parola». Esercizio della distanza. Che magari vuol dire anche essere professionisti della politica per un tempo inferiore ai vent’anni. Chissà. Nel frattempo non aspettiamo che ci arrivi un altro Massimo Calearo. Imprenditore, presidente di Federmeccanica e della Confindustria Vicenza. Capolista Pd in Veneto nel 2008, transfuga all’Api di Rutelli e poi con i Responsabili. Ammise il suo assenteismo parlamentare, dichiarando che lo stipendio di Montecitorio gli serviva a pagare un mutuo. Eppure era l’esperimento del Pd liquido di Veltroni, aperto alla società civile. Preferivo i comunisti.