L’informazione negata

di Monini Francesco

1- VAMPIRI IN BAHIA
Vampiri in Bahia del Brasile. Non del Brasile vero e reale, ma di quel luogo immaginario, quella terra lontana che è sinonimo di esotico, di insolito, di eccentrico che è il Brasile raccontato dai media. Il titolo, infatti: “Dracula torna ad uccidere, panico in Bahia”, e il relativo occhiello: “Un esercito di vampiri ha aggredito 500 persone, tre i morti”. Leggendo l’articolo si capisce che il conte Dracula non si è trasferito dall’altra parte dell’oceano; i vampiri di cui si parla sono semplicemente pipistrelli, lunghi dai sette ai nove centimetri, ammalati di rabbia e che quindi costituiscono un pericolo do contagio. Non credo che si tratti solo della ben nota propensione di stampa e televisione a “spettacolarizzare” la notizia. L’informazione- spettacolo è una malattia cronica dei media contemporanei (ho rivisto in tivù la tragedia di Vermicino “minuto per minuto”), ma il caso dell’informazione nei paesi del Terzo e Quarto mondo è ancora più grave. E cioè: l’informazione spettacolo (l’evento catastrofico, il caso curioso, il reportage sul folklore locale) si sostituisce completamente alla informazione reale sulla quale esiste un rigido blak-out. Dai media, salvo rarissime ed isolate eccezioni, non trapela nulla sulla cronaca politica, sulle tensioni e lotte sociali, sulle problematiche economiche dei paesi cosidetti sottosviluppati. Visto che qui, cioè attraverso gli occhi di un’informazione falsata e reticente, il terzo mondo è la faccia oscura della luna. E alla faccia della telematica, siamo ancora al Medioevo, quando i cartografi scrivevano sulla sagoma incerta dell’Africa: “Hic sunt leones”. Qui ci sono i leoni: per indicare una terra sconosciuta, popolata da esseri straordinari e dove era meglio non avventurarsi.

2 – IL POTERE INFORMATIVO
Forse è un’illusione sperare, ed impegnarsi in questo senso, in una informazione su quanto veramente accade nel Terzo Mondo. Sperare ad esempio, che il “continente Brasile” non arrivi a noi solo attraverso notiziole come quella dei vampiri, o il solito servizio sullo scatenato, variopinto e turisticizzato carnevale di Rio, o anche sulla tragedia Amazzonia, attraverso le mirabili gesta dell’eroe biondo Sting. E’ facile essere pessimisti. Nel mondo della “interdipendenza planetaria asimmetrica” (Carlo Colli su Madrugada n.1 e Francesco Monini su Madrugada n.2), l’informazione è parte integrante del sistema socio-economico. L’informazione è anch’essa asimmetrica. Il potere informativo, un potere formidabile ed ambitissimo, rimane saldamente in mano all’impero occidentale. Di che stupirsi, allora? E come sperare in una informazione diversa? La speranza, la mia speranza, nasce dal fatto che l’informazione non è un potere come gli altri. Presenta cioè alcune caratteristiche che lo rendono più vulnerabile, più facilmente aggredibile, ad esempio, del potere economico o del potere politico. Intanto l’informazione è libera: tutti possono fare informazione, senza essere perseguiti per legge. Il giornalista scomodo verrà insultato, emarginato, deriso, oppure verrà lodato, blandito e “promosso” per normalizzarlo e renderlo innocuo, ma nessuno può farlo tacere. Possiamo prendercela con il capitalismo, ma la libertà di stampa è uno strumento formidabile della democrazia, una grande arma in mano agli oppressi. Purtroppo utilizzata male. In secondo luogo, tra gli operatori dell’informazione di tutto il mondo esiste una minoranza, ma neppure tanto esigua, di professionisti seri, impegnati, disposti a “dire la verità”. Per una gloriosa tradizione o per vocazione personale, molti giornalisti sono (meglio dire, sarebbero) dei possibili alleati nella ricerca e nella divulgazione della verità. Infine è la stessa struttura di funzionamento della informazione, la sua straordinaria capacità di coinvolgere le coscienze, che permette un suo uso in senso democratico e , se posso usare ancora questa parola, antimperialista. Si potrebbero fare mille esempi. Quando l’indagine e la perseveranza di un giornalista americano furono sufficienti a scatenare il caso Watergate, che portò alle dimissioni di Richard Nixon. O le foto “scandalose” di alcuni reporter in Vietnam, che minarono per sempre la propaganda governativa statunitense e fecero prevalere le ragioni della pace. O ancora le immagini dei carri lanciati contro gli studenti di piazza Tien an-Men. In questi ed in altri casi, un sola “voce contro”, una sola notizia “fuori del coro” ha avuto la capacità di smontare tutto il castello dell’informazione reticente. Proprio la velocità che i nuovi media consentono alla trasmissione delle notizie e la relativa economicità degli strumenti del mestiere (chi non può permettersi una macchina fotografica, un fax, una superotto?) consentono di fare informazione indipendente. Una informazione scomoda, disvelatrice dei meccanismi di sfruttamento e di oppressione.

3 – SENZA RETE
Purtroppo questa grande occasione non è stata ancora colta. L’informazione sul Terzo mondo è saldamente in mano alle grandi agenzie internazionali. Saranno loro a propinarci il cinquecentenario della conquista dell’America, compreso quello sporco affare di sottogoverno chiamato “Colombiadi”. Scommettiamo?: dovremo sorbirci anche Fabrizio Frizzi, che ci telefonerà a casa per farci pronunciare “America, America”. Arriva sì qualche notizia vera, non addomesticata. Esistono alcuni bollettini stampati dalle o.n.g. (per lo più a circolazione interna) perfino qualche servizio di agenzia-stampa alternativa (ma poco organizzata, con pochi fondi e con una periodicità irregolare). Capita poi di leggere qualche buon articolo su giornali e riviste, o qualche servizio televisivo ben documentato. M a tutto sembra affidato alla buona volontà di questo o quel giornalista, o, ancor più spesso a qualche fortuita coincidenza, o al caso. La “controinformazione” (anche questo è un termine in disarmo, ma mi sembra sia l’unico appropriato) rimane comunque confinata nei circoli ristretti (non c’è niente di male, ed è anche il caso di Madrugada, ma qui cerco di guardare più in grande) oppure, quando riesce a far capolino sulla grande stampa o sul video, viene subito sommersa da un mare di altre notizie, e quindi emarginata, azzerata, spenta. E molto presto dimenticata. Non esiste -ed è questo il fatto grave, la ragione della sconfitta- nessun collegamento, nessun coordinamento tra coloro che cercano di raccogliere, trasmettere e divulgare dati e notizie “dalla parte del Terzo mondo”. Ognuno fa da sé, pensando al suo piccolo pubblico. L’inviato manda il servizio al suo giornale, il giornalista raccoglie la sua bella intervista, il fotografo lavora per la sua agenzia. E anche le o.n.g. pensano al loro pubblico di associati e simpatizzanti, al “loro” bollettino, al “loro” centro di documentazione, ai “loro” progetti di cooperazione internazionale. Forse è una mia impressione, ma vedo molto provincialismo in noi che ci occupiamo dei problemi internazionali. In tutti i casi, quali siano le cause vicine e remote, non esiste oggi una rete informativa tra colo e sono tanti, impegnati nel campo della cooperazione e del volontariato internazionale. E senza rete è difficile prendere pesci: raggiungere cioè l’obiettivo di dare al grande pubblico una informazione tempestiva, continua e veritiera su quanto accade dall’altra parte del mondo. Senza rete è impossibile riempire i vuoti, le autocensure, i colpevoli silenzi dell’informazione ufficiale. Senza rete, per la stragrande maggioranza degli Italiani, il Brasile continuerà ad essere solo ed esclusivamente “il paese della samba”.