Povertà

di Ortensio Antonello

C’è una parola che, appena udita, suscita sovente un sorrisetto (di ironico disappunto) o una smorfia (di miserevole compassione). Questa parola è povertà.
Capita spesso di sentirla o di leggerla, ma molto raramente la prendiamo sul serio. Questo perché, nella nostra affrettata maturità di popolo occidentale, siamo abituati ed educati a riconoscere la povertà solo nelle sue forme elementari, legate a ristrettezza economica o a privazione fisica.
Oggi però, brutalmente, siamo sempre più ricondotti al contatto con questo tipo di povertà che pensavamo di avere superato, ma dobbiamo fare i conti anche con nuove miserie, che non colpiscono solo gli altri, i lontani, ma che avvengono accanto a noi, che possono colpire o interessare ciascuno di noi.
Le immagini terribili della vicina Bosnia, la morte per fame e malattia di milioni di persone nel mondo, il dilagare della violenza, delle droghe, il mancato riconoscimento dei diritti dei più deboli (bambini, vecchi, handicappati) ci costringono ogni giorno a guardare fuori dalla finestra perché entrano nella nostra intimità.
Queste sono solo alcune forme di povertà, le più visibili, ma altre più sottili si annidano quotidianamente nei bordi interni del nostro vivere, della nostra società, di cui meno facilmente ci accorgiamo.

Il rumore di fondo
Una cosa è certa: la povertà, materiale o culturale, è diventata il rumore di fondo che assedia l’ordine delle nostre civiltà, che minaccia le nostre coscienze. Il rumore che insidia le forme dell’ordine e del senso, spesso sta nell’incapacità o nell’impossibilità di comunicare, di instaurare relazioni durature e positive, che formino e portino ricchezza reciproca.
Di fronte a ciascuno di noi, alle organizzazioni, sta quindi un bisogno di straordinaria importanza: la ricerca costante della massima densità di comunicazione e di relazione possibile, nella consapevolezza che ciò aiuta anche a rendere più sopportabili le difficoltà, che ci sono e non possiamo eliminare.
Per questo è necessario educare alla mondialità, formare alla interculturalità, favorendo la circolazione delle persone e delle idee. Educare alla complessità nella convinzione che solo attraverso il confronto, anche acceso, può nascere un ordine più vasto e più giusto.
Uno dei pericoli maggiori che può introdurre la povertà è quello di ridurre le complessità e semplificare tutto, portando così ad una sclerosi dei legami e delle relazioni.
Certo, bisogna stare attenti: parole come legame, relazione, confronto, interculturalità, mondialità sono molto seducenti; alle volte è utile diffidare, non tanto per quello che affermano, quanto per ciò che nascondono, perché possono diventare i panni in cui si avvolge la falsa coscienza, sia come singoli che come organizzazioni.
Affinché la nostra voglia di essere persone, di fare e di cambiare non vada perduta, o si trasformi in rumore di fondo assordante e impossibile da decifrare, è essenziale rimanere svegli.