Poesia e respiro – prima parte

di AA. VV.

Il sapore del ghiaccio

Strano sapore… il sapore del ghiaccio!
Mi ricorda la notte tenera e aggressiva
fatta di luci che si allungano informi.
Mi ricorda le note di una vecchia ballata
continuamente sbandata e suicida.
Le vibranti illusioni
dei nostri giovani sogni
sempre mortificati da inattesi destini.
Il suono arrivava, spesso, da lontano.
Ci lasciava svegli a sperare e languidamente
immaginare
che il tramonto fosse, alla fine, molto simile
all’alba.
Le nostre ore confuse ed infuocate
come serpenti senza una vera forma.
Le nostre idee… meteore senza meta.
In bocca il sudore di acide giornate.
Nel cuore il ritorno al glorioso passato.
Su tutte il sapore… il sapore del ghiaccio.

Nazzareno Orlando

 

La mia anima ha fretta

Ho contato i miei anni e ho scoperto che ho meno tempo per vivere da qui in poi rispetto a quello che ho vissuto fino a ora.
Mi sento come quel bambino che ha vinto un pacchetto di dolci: i primi li ha mangiati con piacere, ma quando ha compreso che ne erano rimasti pochi ha cominciato a gustarli intensamente.
Non ho più tempo per riunioni interminabili dove vengono discussi statuti, regole, procedure e regolamenti interni, sapendo che nulla sarà raggiunto.
Non ho più tempo per sostenere le persone assurde che, nonostante la loro età cronologica, non sono cresciute.
Il mio tempo è troppo breve: voglio l’essenza, la mia anima ha fretta. Non ho più molti dolci nel pacchetto.
Voglio vivere accanto a persone umane, molto umane, che sappiano ridere dei propri errori e che non siano gonfiate dai propri trionfi e che si assumano le proprie responsabilità. Che difendano la dignità umana e che desiderino soltanto essere dalla parte della verità e dell’onestà.
È l’essenziale che fa valer la pena di vivere.
Voglio circondarmi di persone che sanno come toccare i cuori, di persone a cui i duri colpi della vita hanno insegnato a crescere con tocchi soavi dell’anima.
Sì, sono di fretta, ho fretta di vivere con l’intensità che solo la maturità sa dare.
Non intendo sprecare nessuno dei dolci rimasti.
Sono sicuro che saranno squisiti, molto più di quelli mangiati finora.
Il mio obiettivo è quello di raggiungere la fine soddisfatto e in pace con i miei cari e la mia coscienza.
Abbiamo due vite e la seconda inizia quando ti rendi conto che ne hai solo una.

Mario de Andrade
(San Paolo 1893-1945)
poeta, romanziere, saggista e musicologo,
uno dei fondatori del modernismo brasiliano.

 

Note di un metodo

Succede quando ci chiedono, sia che siamo studenti o maestri, che la prima cosa che si sperimenta sia un sussulto, come sentirsi sorpresi ‘in flagrante’, come se avessimo trascurato qualcosa, o, perlomeno, dimenticato.
E anche può accadere che, trattandosi di una domanda per la quale disponiamo di un’adeguata risposta, che al sussulto segue un vuoto della mente.
Nulla è più sbagliato, per uscire da questa situazione, di sforzarsi per uscire da essa. C’è da stare in questo vuoto della mente con un cuore fermo.
E allora, solo allora, affiora la risposta, una risposta, tuttavia, più precisa di quella che credevamo di avere.
Tra la domanda e la risposta deve esistere, nel mezzo, un vuoto, una sospensione della mente, una certa sospensione del tempo. Per varie ragioni, ma prima di tutto per questa: il cuore deve assistere, nel vero senso della parola, all’atto del rispondere.
Senza l’assistenza del cuore, la persona non sta mai del tutto presente.

Marìa Zambrano
Notas de un método

Marshall Rosenberg suggeriva che, quando siamo consapevoli delle nostre emozioni, tutto (tutto!) ciò che diciamo può essere riassunto in un ‘grazie’ o in un ‘per favore’. Nel primo caso, le nostre parole testimoniano che i nostri bisogni sono stati soddisfatti, o che ââì« non esauditi ââì« pure possiamo accettare questa incompletezza. Nel secondo, qualsiasi nostra espressione verbale, anche senza punto di domanda alla fine, è una richiesta che facciamo al mondo, un appello affinché quel ci manca ci possa essere dato.
Albert Camus pose al centro del suo pensiero e della essenza umana la domanda radicale che rivolgiamo al mondo: che senso hai? che senso ho in te? Il silenzio assoluto che riceviamo come risposta, l’assenza di senso, è l’assurdo con cui è necessario fare i conti.
Il vuoto, ascoltando Marìa Zambrano, è tuttavia fecondo: è fonte della domanda e della risposta, è il punto di sutura tra le due. Solo se accettiamo il vuoto che le nostre paure creano nel cervello, possiamo fare appello a ciò che sappiamo e a ciò che siamo. Le parole poetiche non sono astratte, parlano sempre di carne e sangue e qui rinviano al misterioso comportamento dell’amigdala, del nucleo ceruleo, degli ormoni. L’assenza di senso è la materia di cui è fatto il corpo.
Qui interviene il cuore, che non è nulla che abbia a che fare con l’amore romantico. Non è il cuoricino. È la capacità di tener testa ai nostri impulsi più profondi, quelli che ci tengono in vita. Platone li chiama ‘il mostro policefalo’, poiché non sappiamo che forma possano prendere, a cosa possano indurci. E così, ci vuole un leone, dice, per tenerli a bada, ci vuole la spinta irascibile delle emozioni ascoltate, accolte, non giudicate. Alleate.
Esser presenti vuol dire creare le condizioni della risposta, e cioè, in senso stretto, fare silenzio per ascoltare la domanda. Per ascoltare ciò che di quella domanda ci riguarda da vicino, ciò che di ogni domanda ha a che fare con noi. Non ne abbiamo il tempo, forse. Ma tutta la sapienza orientale, e molta di quella occidentale, da secoli ci invitano a trovarlo.

Giovanni Realdi

 

Iniziativa
Fino a che non ci si impegna,
c’è esitazione, possibilità di tornare indietro,
e sempre inefficacia.
Riguardo a ogni atto di iniziativa e creazione,
c’è solo una verità elementare,
ignorare la quale uccide
innumerevole idee e splendidi piani.
Nel momento in cui ci si compromette
definitivamente
anche la provvidenza si muove.
Ogni sorta di cose intervengono in aiuto,
cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute.
Una corrente di eventi ha inizio dalla decisione,
facendo sorgere a nostro favore
ogni tipo di incidenti e imprevisti,
di incontri e di assistenza materiale
che nessuno avrebbe sognato
potessero avvenire in questo modo.
Qualsiasi cosa tu possa fare,
o sognare di poter fare,
incominciala.
Il coraggio ha in sé il genio,
il potere e la magia,
inizia ora!
John Anster
(traducendo il Faust di Goethe)

In una famosa scena de L’attimo fuggente, il professore fa leggere ai ragazzi l’introduzione al loro libro di poesie; secondo questa introduzione ci sarebbe uno schema perfetto, che permetterebbe di collocare tutte le poesie esistenti in un piano cartesiano. Sull’asse delle ascisse ci sarebbe la valutazione del contenuto, su quello delle ordinate la valutazione degli aspetti formali. Per cui una poesia dal contenuto ridicolo, ma con una metrica raffinata si ritroverebbe vicina allo zero orizzontalmente, ma molto alta sul piano verticale. Poi il professor Robin Williams fa allegramente strappare lo schema. Mai cosa fu più appropriata, visto che il testo dell’Iniziativa è decisamente inadatto per lo stupido schema, che vorrebbe ridurre la grandezza della poesia a una rappresentazione sugli assi cartesiani.
Questa poesia di John Anster (che non a caso è un poeta, ma soprattutto un professore di diritto civile a Dublino) non ha molto di poetico, non rispetta la lunghezza dei versi, né uno schema di rime, sembra di leggere un discorso programmatico più che un poema e qui si aprirebbe un discorso infinito su cosa sia poesia e cosa no. Non contiene nemmeno qualche metafora astrusa, solo l’invito a impegnarsi, perché molte cose buone nascono dall’impegno. Un concetto poi ripreso da Walt Disney ââì« «Se puoi sognarlo, puoi farlo» o ancora il proverbio «Aiutati che il ciel t’aiuta» ââì« ma qui è espresso molto meglio. Mi interrogherei sul senso di questa poesia all’interno dell’opera del Faust, probabilmente il Faust stesso fraintende il significato di impegnarsi e sottoscrive un patto col diavolo. Alla fine il rischio di capire male c’è, ma il pensiero di agire male non deve fermarci: l’iniziativa muove il mondo, dice Anster. Come ci ha insegnato Giuseppe Stoppiglia con la sua meravigliosa vita, lui era di esempio a tutti e continuerà a esserlo. La poesia invita a compromettersi definitivamente, come ha fatto lui. Senza che l’avverbio ‘definitivamente’ pesi troppo sull’esistenza.
Curiosamente, c’è un unico verso formato da una sola parola e quella parola è «Incominciala», che rappresenta il senso della poesia. I versi di una parola sono molto potenti e vanno usati con parsimonia. Viviamo in un tempo in cui spesso trovare l’energia per cominciare nuove cose sembra difficile. Per questo trovo questa poesia molto di sprono. La non-azione ââì« che si verifica quando non riusciamo a convivere col vuoto dentro di noi ââì« uccide, questa è la verità di cui parla Anster.
Uccide le innumerevoli idee e gli splendidi piani (vedi al verso sette).
Anster ottenne anche dei riconoscimenti come poeta, come quando, nel 1819, scrisse per la morte della principessa Charlotte. Nello stesso anno apparve il suo volume di ‘Poesie’ (Blackwood, Edimburgo, pagg. 244), che includeva la sua poesia premio, una poesia in versi in bianco intitolata ‘The Times’ (scritta immediatamente dopo la battaglia di Waterloo). La prima parte del suo Faust fu ristampata due volte in Germania, mentre era in vita.

Cecilia Alfier
componente la redazione di madrugada

 

I limoni
[…]
Qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di
ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi […]
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno
[…]
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose […]
[e] un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Eugenio Montale
(da ‘Ossi di seppia’)

A leggere Eugenio Montale, mi pare un ritorno alle lezioni di letteratura tenute in una classe di finalisti; spiego i vocaboli, tento la rima o almeno il metro. Cerco il senso delle parole, delle frasi, nel contesto della lirica. Scopro il nucleo, l’anello che si spezza, il meccanismo fatalistico che si interrompe; e offre una opportunità alla nostra vita, al non senso del vivere. Guardo i ragazzi e le ragazze; seguono con il dito, qualcuno tenta un appunto, la verità, che cosa è la verità? Qualcuno mi guarda di sottocchio, teme che si stia scantonando in una lezione astratta di filosofia; ma è la tua verità, non quella che ti inventi, non è definitiva, una volta per sempre: è quella in cui scopri chi sei, dove vai. Per un attimo solo la intravedi sulle orme che sono scomparse dietro l’ombra di esseri umani incerti, che pur cercano a tentoni; la intravedi, ma solo per un attimo.
Il testo adesso mi porta altrove; suona la campanella che annuncia la fine della lezione e mi ritrovo in una città caotica, rumorosa; entro nella metropolitana e mi trovo sommerso dallo scalpiccio di gente che sale e che scende e scompare l’azzurro dietro i cornicioni delle case, si dilegua il sole e sono preso dalla vertigine dell’opaco.
I piedi mi portano di nuovo su di una strada chiamata destino, dove vago incerto fino a sera; e mi perdo sulla traccia, fino a quando di nuovo si scioglie l’opaco destino e io, tu entri per caso attraverso un portone, in un cortile sconosciuto, ma che forse ti riporta a tempi remoti, l’infanzia, l’innocenza, forse. E ricompaiono a te, a me, a noi che cerchiamo, il giallo dei limoni, le passioni della vita, i ricordi, gli ideali, il sangue che batte nelle vene, il cuore che dice: ancora, e batte il suo ritmo vitale; e allora spegni il televisore, perché la vita è altrove, la luce è altrove. Negli occhi di lui, nello sguardo di lei, sui passi dei viandanti che hanno ritrovato il colore e i profumi delle cose semplici, dei limoni; e pur se inciampi, riprendi il cammino, che è il cammino di noi ombre umane disturbate, che cercano cose semplici e linguaggi arditi. E vanno.

Gaetano Farinelli
presidente di Macondo