Costa d’Avorio

di Alfier Cecilia

Miracolo, povertà e caos

La Costa d’Avorio ha raggiunto l’indipendenza dalla Francia nel 1960. Nei due decenni successivi, insieme ad altri paesi (Kenya, Malawi), ha impostato un modello economico largamente basato sull’agricoltura, che è riuscito a farle mantenere un ritmo di crescita stabile: si è parlato per la Costa d’Avorio nientemeno che di “miracolo economico” (che si sarebbe mantenuto fino alla metà degli anni ottanta), poiché la crescita del PIL in termini reali si attestava ogni anno intorno al 7% (e sarebbe rimasta tale, non fosse per gli effetti della pandemia mondiale). Ciò poneva la Costa d’Avorio, in termini di incremento del prodotto interno lordo, nella top quindici del mondo. L’espansione economica adesso si è rallentata, ma la capitale (non più amministrativa, ma governativa e “lavorativa”) Abidjan non ha nulla da invidiare alle altre metropoli moderne. Purtroppo a volte la città si sviluppa a danno degli abitanti: a fine anno 2019 un intero quartiere povero è stato spazzato via per lasciare spazio a un nuovo ponte, sessantamila persone sono rimaste senza casa e senza attività lavorativa, in attesa di risposte dal governo.
Il settore dei servizi resta il principale traino dell’economia, ha contribuito per il 3,4% alla crescita nel 2018, di cui moltissimi servizi legati al turismo (è la quinta destinazione turistica dell’Africa sub sahariana). Il settore primario genera ricchezza per lo 0,8% grazie all’agricoltura, che ha beneficiato di una buona caduta delle piogge e della distribuzione del grano operata dal governo, un governo, è bene precisarlo, lontano dalle soluzioni socialiste, e più vicino al capitalismo occidentale. I principi della libera concorrenza sono proclamati e protetti. L’economia è sostenuta soprattutto dal dinamismo degli investimenti privati e dalla produzione di singoli beni di consumo, come il cacao, di cui è il primo produttore mondiale. Il cacao non è sempre stata una benedizione: la svalutazione del suo prezzo a livello globale ha avuto gravi ripercussioni sull’economia del paese. Inoltre, non è un bene dal punto di vista ambientale: i coltivatori abbattono ettari ed ettari di foreste tropicali per ricavare nuovi campi. Produce anche tantissimo olio di palma, oltre ad ananas e banane. Si può dire che lo sviluppo dell’agricoltura nei due decenni post indipendenza sia stato fenomenale sotto tutti gli aspetti. Oltre alla crescita esponenziale del cacao, anche la produzione del caffè è raddoppiata; è aumentata la produzione di cibo, ben più grandemente di quanto non fosse aumentata la popolazione. I privati sono stati capaci di approfittare del momento favorevole e il volume dei prodotti agricoli è triplicato. Un discorso analogo si può fare per l’industria. Negli anni sessanta l’industria nel paese era quasi inesistente. I principali prodotti d’esportazione venivano lanciati sul mercato praticamente allo stato grezzo. Inizialmente lo sviluppo del settore secondario è stato innescato dagli investimenti francesi, ma poi la Costa d’Avorio ha ripreso in mano le redini. Il governo ha acquistato solo una quota di minoranza degli interessi industriali, lasciando in resto in mani private. Dal nulla all’inizio degli anni ottanta le imprese manifatturiere erano diventate più di 700, per un totale di un giro d’affari di 3,1 bilioni di dollari.
Rimane un problema di fondo che impedisce al Paese di rivaleggiare con le potenze occidentali o con le “tigri asiatiche”: l’eccessiva dipendenza dal colonizzatore, la Francia. La logica dello sfruttamento economico alla base dei regimi coloniali ha sempre aggravato l’arretratezza dei colonizzati, ad esempio sostituendo le colture agricole locali coi prodotti richiesti dai mercati coloniali, cosa di cui la Costa d’Avorio risente ancora. Continua a commerciare con la Francia più che con qualsiasi altro paese vicino, tre volte più che con la Nigeria.
A sessant’anni dall’indipendenza i problemi sono molteplici: si registra un elevato numero di emigrati persino per gli standard africani, il 50% della popolazione è analfabeta, l’aspettativa di vita è bassa; più del 60% delle persone ha meno di venticinque anni e il 20% vive in stato di povertà assoluta. La speranza non manca e il paese esprime enormi talenti: per esempio, Didier Drogba è il primo calciatore africano ad aver segnato cento goal in Premier League.

La tenuta della democrazia

Ci sono buone speranze anche per la tenuta della democrazia. A marzo 2020 il presidente Alassane Ouattara, smentendo le dichiarazioni di inizio anno, ha annunciato che non si ricandiderà quando finirà il secondo mandato alla guida del paese. Questo significa che non modificherà la Costituzione, come spesso avviene nei paesi africani, anche se potrebbe ricandidarsi. Le motivazioni dell’abbandono della carica non sono ben chiare, forse i sopraggiunti limiti d’età (ha 78 anni). Ma come “giustificazione” appare strana, visto quanti leader africani hanno più di ottant’anni, contrariamente all’età media delle loro genti. Ouattara, comunque, ha annunciato modifiche costituzionali che, se attuate, introdurrebbero un limite di età per essere eletto presidente, escludendo gli ultraottuagenari rivali. La sua stessa salita al potere, avvenuta nel 2011, è piena di ombre. Ha segnato la fine di una crisi e di un conflitto civile, che ha portato alla morte di tremila individui. L’allora presidente Laurent Gbagbo al termine della crisi e delle violenze post elettorali è stato arrestato per presunti crimini contro l’umanità, ma è stato assolto nel 2015 dalla Corte Penale Internazionale. Fra qualche riga vi spiegherò la crisi più nello specifico.
Anche le ultime elezioni comunali e regionali nel 2018 sono state contraddistinte da accuse di violenza e frode. Da sempre in Costa d’Avorio e nei paesi limitrofi l’attività politica è intimamente connessa con l’attività economica. Le classi dominanti africani sono emerse non tanto a partire da una posizione di preminenza nella sfera dell’economia, ma fondamentalmente attraverso l’esercizio del potere politico. La gestione dell’apparato pubblico veniva usata per acquisire il dominio di interi settori economici, per accesso ai flussi dei capitali e degli aiuti internazionali, col risultato di accumulazione illecita di ricchezze private. Tutte queste sono state le chiavi dell’affermazione di élite politiche e burocratiche, tra loro strettamente collegate, come scrive il professor Giovanni Carbone, docente di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano. Uomini come il presidente Felix Houphouët-Boigny (al potere per oltre trent’anni dal 1960 al 1993, anno della morte, già ministro nel 1957 nel governo francese) poterono diventare potenze nel campo degli affari attraverso la loro tecnica politica.
Per loro natura, questi leader-businessmen temono l’emergere di una classe borghese con le sue attività e i suoi interessi. A differenza di molte aree dell’Africa sub-sahariana, la Costa d’Avorio è riuscita a sviluppare istituzioni amministrative statali credibili e relativamente stabili, mentre tutt’intorno si è assistito a una “crisi dello Stato”: molti Stati africani, fra cui la Liberia, erano sopravvissuti fino al 1989 grazie al sostegno dell’uno o dell’altro blocco all’interno della guerra fredda, ma il crollo del regime sovietico ha fatto venir meno l’appoggio degli esterni e ha portato momenti di profonda instabilità. In generale, anche fattori interni hanno contribuito: la bassa densità di popolazione ha rallentato il formarsi di apparati centralizzati.

Una (non sempre felice) eccezione

La Costa d’Avorio è stata a lungo considerata un’eccezione, ma la crisi l’ha comunque toccata. In parte a causa del cacao, di cui accennavo prima, la sua coltivazione ha col tempo creato sempre più pressione e competizione demografica per terre via via più scarse, con conseguenti conflitti etnici con gli immigrati che dal nord volevano accaparrarsi le terre. Con i ripetuti crolli del prezzo del cacao, la competizione per il possesso dei terreni si è inasprita ulteriormente, tanto più che Konan-Bedié, successore di Houphouët-Boigny, ha rotto l’alleanza con le popolazioni del nord (era anche oppositore di Outtara, aveva messo in giro la voce che fosse originario del Burkina Faso, per renderlo ineleggibile).
Un quarto dei residenti in Costa d’Avorio si è trovato improvvisamente privato della terra e del diritto di voto. Questo ha portato a un conflitto armato e, nel 1999, a un colpo di Stato. Il generale Robert Guei è riuscito a rovesciare il presidente, ma poi ha perso le elezioni da lui stesso indette. Ed è qui che entra in gioco il già citato Laurent Gbagdo, vincitore di quelle elezioni, il quale aveva guidato l’opposizione contro gli stranieri. La formazione del suo governo è coincisa con lo scoppio di rivolte e le uccisioni di immigrati provenienti dal nord, talora con la complicità dei militari.
La frattura fra sud cristiano e nord musulmano (di cui Outtara è rappresentante) pare sempre più insanabile. Nel 2002 truppe ribelli del nord sono insorte. La guerra civile si è protratta fino al 2010, con Gbagdo che non riusciva a mantenere gli impegni di disarmo e unità nazionale presi davanti all’ONU, mentre la Francia, accusata di appoggiare apertamente i ribelli, ha perso la sua credibilità come interlocutore neutrale.
In generale, il crollo del sistema bipolare della guerra fredda, ha prodotto un rapido declino dell’interesse delle potenze occidentali per lo scacchiere di alleanze africano.

Cecilia Alfier