Famiglia e morale sessuale

di Stoppiglia Giuseppe

Il primato della coscienza e l’autorità morale

«Se comprendere è impossibile,
conoscere è necessario,
perché ciò che è accaduto
può ritornare,
le coscienze possono nuovamente
essere sedotte e oscurate».
(Primo Levi, I sommersi e i salvati)

«…c’è un tempo per scagliare le pietre
e c’è un tempo per raccogliere
le pietre…».
(Qohelet 3,5)

Illuminata

Tutte le mattine, verso le otto e mezzo, la signora Raffaella (Lilla) scende in Piazzetta dell’Angelo e di lì, passo dopo passo, cammina lungo le strade note, fino al suo bar (o meglio caffè) preferito. Ritorna a casa la sera, d’inverno verso le sei, quando la figlia Giuliana rientra dal lavoro, con l’ultima luce.

Il 26 marzo la signora Raffaella, detta Lilla, ha festeggiato così, come sempre, in libera uscita, il suo compleanno. «Volevo rivedere le Piramidi» – mi racconta con brio – «avevo preso tutti gli accordi per telefono, ma quando sono andata all’agenzia col passaporto non mi hanno lasciata partire senza accompagnatore…».

«Il guaio è» – protesta Giuliana – «che mamma non tiene 18, ma 84 anni!».

Che bello. Un po’ di cataratta, ma sempre autonoma, lucida, arzilla. Un fenomeno. Certo il clima di Bassano del Grappa è dolce e regala spesso inverni miti, ma uscire tutti i giorni, sola, alla sua età, mi sembra un record. Anzi, un esempio: perché così non invecchia, tiene allenato il fisico e non cade in depressione. Quanta saggezza nella non-rassegnazione della signora Raffaella!

«Indisciplinata, anticonformista lo è sempre stata. Pure coraggiosa: ha fatto sempre quello che ha voluto, per questo era la ribelle della famiglia. Il piccolo, benpensante perbenismo borghese della «buona famiglia» dello sposo impose a mia madre – dopo le nozze senza consenso per riappacificarsi coi suoceri – il distacco ufficiale dalla sorella e da nonna Carla, che vivevano insieme. Poteva andare a visitarle solo di nascosto, come ho fatto io stessa più tardi, dopo essere stata tenuta all’oscuro persino della loro esistenza! Eppure fu dalla nonna materna – separata dal marito – che trovai accoglienza a mia volta (era, nella sua dignitosa povertà, di una generosità impagabile) e fu dalle sue abili mani che uscii «tutta attillata», come la manzoniana Lucia, per recarmi all’altare a pronunciare il fatidico sì».

È stata la pecora nera della famiglia, femminista della prima ora, la signora Lilla, con un coraggio straordinario di donare la vita. Era forte e con una caparbia volontà di liberarsi da modelli di sottomissione sacrificale. Dentro la sua storia c’è tutta l’evoluzione dei costumi e della cultura, il nord e il sud… la conquista di una mentalità scevra di pregiudizi, di grettezze! Illuminata.

Il nostro essere corpo

Tanto tempo fa, quando non era facile, un padre «all’antica» disse alla figlia incinta e non sposata: «Vi siete voluti davvero bene, almeno un momento? Allora questo figlio è benedetto. E anche voi due lo siete, se volete riconoscere la vostra benedizione». I due hanno vissuto poi assieme tutta la loro buona vita.

Il padre, diversi anni dopo, l’unica volta che riparlò di quella circostanza, disse che doveva a sua moglie se era stato capace di capire la figlia e di non condannarla.

Quel padre, cattolico tutto d’un pezzo, non sapeva di essere una specie di teologo rivoluzionario. Oppure sapeva bene quello che faceva, ma non ci vedeva nessuna ribellione.

Contrariamente al sentire allora comune (ma non certo scomparso), non riteneva l’amore sessuale una cosa in sé negativa, sporca, da ripulire, da esorcizzare con una benedizione. Era ben convinto che la sessualità si potesse esercitare solo nel matrimonio, ma, davanti al caso della figlia, non la vide soltanto come un male.

I coniugi abbastanza uniti sanno che il sesso umano è un’esperienza non solo fisica, non solo psichica, ma anche spirituale. Il nostro essere e il nostro comunicare, anche nelle forme più immateriali, partono e tornano al nostro essere corpo.

Sapere questo non è dimenticare l’ambiguità della sessualità umana, che, come tutto in noi, può cadere nella banalità, può deformarsi fino a divenire falsità, inganno, strumento del male. Quando, però, il sesso è stato il motivo di un’attrazione, poi cresciuta in un incontro personale, è diventata una comunione di vita in tutti i suoi aspetti.

L’unione dei corpi è costitutiva e in qualche modo fondante dell’unità di vita in senso pieno. È un’esperienza misteriosa di unità, è un valore e non un mezzo. È una cosa buona, grande.

Autorità e responsabilità

Le questioni di morale sessuale, oggi di nuovo agitate, specialmente nella chiesa cattolica, non sono solo questioni morali, ma toccano pure la personalità spirituale di ciascuno. Quel nucleo della persona, più profondo dell’anima, che è lo spirito. Si tratta della coscienza, del suo ruolo, della sua natura.

È il luogo in cui avviene l’ascolto dello spirito, di tutto ciò che di più vivo ci può raggiungere. È il punto più profondo di noi, ma non è isolato: riceve e conserva tutti gli appelli che orientano la vita. È il momento della nostra solitudine, nel significato di insostituibile responsabilità. Eppure, proprio allora, ci sostiene un’altra vita che ci ha preceduto e che ci accompagna nell’impresa di vivere da umani.

Da tutti e da tutto la coscienza impara, anche da ciò che giudica errore e male, per evitarli. Da nessuno è sostituibile, pena la sua dimissione, che sarebbe un male globale, sarebbe l’isterilimento della vita morale.

La coscienza è aiutata da tutti, da tutti è ammaestrata, ma a nessuno obbedisce come se fosse superiore, se non allo spirito di verità, che in tutti, in qualche modo e misura, si manifesta, nelle luci e nelle ombre. La coscienza seria è umile discepola, eppure sempre libera. Risponde in definitiva alla verità, non all’autorità. Per questo l’uomo è uomo, la donna è donna.

Naturalmente ci sono grandi maestri dell’esperienza umana, il cui insegnamento attraversa i tempi e le situazioni. Essi ci guidano, ma, lungi dal diminuirle, accrescono la nostra libertà e responsabilità. Credo, dunque, che la coscienza di ciascuno non sia senza maestri, ma neppure sotto i maestri. Dopo aver ascoltato tutti, sarà sempre sola a dover decidere. Questa autonomia, prima di essere un diritto, da difendere (come pure è), è l’onere grave e irrinunciabile della dignità umana. È questo il primato della coscienza: nell’insostituibile responsabilità.

Ognuno di noi, col solo fatto di vivere, è maestro agli altri, in bene o in male. C’è chi, per compito e valore, o semplicemente per anticipo di esperienza, come i genitori, ha da insegnare ad altri. Il vero maestro, però, crea la capacità d’indipendenza e non ribadisce la dipendenza nel discepolo. Ogni maestro rimane per sempre anche discepolo: di chi lo precede, ma anche di chi lo segue, anche dell’ultimo dei bambini e degli «ignoranti».

Perché? Per riferirmi all’esistenza cristiana, ricordo le parole di San Gregorio Magno: la Scrittura cresce con chi la legge e le dà ascolto. Anche il più umile e oscuro dei cristiani può essere maestro di vita, non infallibile, ma illuminante.

Chiesa e crisi della famiglia

Negli ultimi mesi le preoccupazioni, più che legittime, della Chiesa (la mia chiesa) sulla frammentazione della famiglia e sul piatto edonismo sessuale, si sono fatte incalzanti e quasi ossessive, attraverso numerose dichiarazioni e documenti. Mi sembra di cogliere, almeno in alcuni pastori che la presiedono in Italia, una paura carnale, cupa, che anziché aprirla a un luogo di fraterna accoglienza, riduce la chiesa a una fortezza assediata dai barbari.

Indubbiamente la crisi della famiglia c’è ed è profonda, dovuta innanzitutto alle spinte individualistiche che attraversano la nostra società e minano la collaborazione tra le persone. Dilaga in ogni settore della convivenza umana (famiglia, scuola, lavoro, sport, ecc.), una concezione consumistica della vita che erode qualsiasi tipo di continuità e di stabilità. La logica consumistica e utilitaristica della nostra società spegne infatti le domande di senso e stimola a interrogarsi solo su ciò che serve o non serve. Viene meno quell’atteggiamento di fondo, di carattere antropologico, che è la pre/condizione per l’annuncio della fede.

All’interno dell’ambito ecclesiastico, però, si respira un clima di sfiducia nei confronti del mondo esterno, che porta a un atteggiamento difensivo e, di conseguenza, aggressivo. Non vengono presentate elaborazioni profonde di pensiero che sottostanno a questi atteggiamenti. Si coglie, piuttosto, una tendenza quasi a immunizzarsi dalla Parola di Dio, come diceva Karl Barth. «Quando la chiesa non è vigile e non si rinnova, tende a manipolare la parola e a piegarla nella direzione della propria tradizione intesa in senso clericale».

Se ci fosse, invece, un vero ascolto e una reale ospitalità della Parola di Dio si realizzerebbe una chiesa di servizio e non di giudizio, di solidarietà e non di ricerca del potere, una chiesa capace di aver fiducia nell’essere umano e nel cammino della storia.

Ascolto del vangelo

Proprio perché nel mondo contemporaneo c’è una cultura (penetrata ormai in profondità nella coscienza collettiva), legata alla diffusione dell’economia globale, che ha messo il denaro al posto dell’uomo e che rappresenta una forma di ateismo pratico viscerale, è urgente una lettura seria della Parola di Dio.

L’ascolto della Parola, l’annuncio del Vangelo e una lucida critica del sistema globale in cui viviamo, potrebbero mettere in discussione la posizione stessa della chiesa all’interno di questo sistema di ateismo pratico, prioritariamente nei confronti delle istanze di legalità, di giustizia e di pace.

Invece la preoccupazione principale dei nostri vescovi (non tutti) sembra (troppo) legata alle cosiddette questioni eticamente sensibili, che si riferiscono all’area della sessualità, del matrimonio e della famiglia. Una svista macroscopica che si materializza nell’incapacità a cogliere l’esistenza, sottesa a molte coscienze, di una domanda religiosa autentica, che per essere accolta ha bisogno di una chiesa menoàcompromessa con questioni di potere e più preoccupata di accostare le persone alla Parola di Dio e di aiutarle a far propri i valori evangelici.

Chiesa prigioniera?

Assistiamo quotidianamente, da parte di sedicenti amici (gli atei devoti), al martellante invito alla chiesa di trasformarsi in lobby, venendo meno, così, alla sua missione di essere sale e lievito della massa. Ascoltiamo, inorriditi, uomini politici, che ritengono in cuor loro il messaggio di Cristo una follia, offrirsi alla chiesa come suo braccio secolare nelle istituzioni. Uno spudorato e arrogante uso politico della religione.

O la chiesa è un luogo di profezia oppure non interessa. Il suo compito non è quello di insegnare dei sistemi, ma di far praticare dei valori. Ed è l’unica strada per superare la paura, quella paura che sembra attanagliare una parte dei cattolici italiani.

La paura è il sentimento che qualcosa sotto i nostri piedi scompare. Scompare infatti tutto ciò che è garanzia umana. Si sa, ogni ricerca umana è come un sentiero interrotto. Chi vi si affida totalmente, a un certo punto, si trova nel vuoto perché non c’è continuità, manca un processo che porti al cuore di Dio e del suo mistero.

Dio si manifesta, non si conquista. Dio si concede, non si possiede. È questo un momento di estrema umiltà dell’essere in cui ci si arrende a Dio, stendendo le mani.