Pietro Barcellona, viandante nella modernità

di Stoppiglia Giuseppe

Non c’è verità senza giustizia

«Il mistero dell’infinito
è scritto sulla mia piccola fronte».
R. Tagore

«Tu non sai cosa sia il silenzio
né la gioia dell’usignolo che canta,
da solo, nella notte;
quanto beata è la gratuità,
il non appartenersi ed essere solo
ed essere di tutti,
e nessuno lo sa o ti crede».
David Maria Turoldo

Pietro Barcellona ha percorso un cammino singolare e appassionato; filosofo morale e autentico pellegrino della modernità, è morto a Catania il 6 settembre, a 77 anni.

Dal 1995 egli è l’amico che ho sentito più vicino nel mio viaggio di ricerca. Abbiamo continuato a parlarci e io a imparare. Ed è questo oggi che mi spinge a scrivere di lui.

Alla nostra età si parte alla spicciolata, ma non ci si perde. Forse l’affetto fa velo all’intelligenza; ma può guidarla a conoscere e comprendere.

Riporto, a tal proposito, alcune righe di un’intervista, registrata nello spazio intimo di una conversazione nel suo ultimo viaggio in Veneto, nel marzo scorso, poche settimane prima che la malattia lo bloccasse definitivamente a Catania. Fu un momento privilegiato e commovente per la luminosità del suo sguardo interiore.

A domanda, risponde

Felice? Mai, oppure – aspetta – forse alcune volte, alcuni istanti fin da bambino. Intuizioni, lampi di un bene luminoso che restano dentro; è un tesoro per tutta la vita.

Contento? Sì, tante volte, per lavori compiuti, per incontri molto arricchenti, per visioni di bellezza.

Gioia? Sì, sì, interiore, e profonda, che affiora in alcuni momenti, mentre in altri resta coperta da nubi di passaggio.

Allegria? Poca, in qualche momento spensierato, evanescente come spuma di mare.

Tristezza? Molte cose mettono enorme tristezza. Non bisogna fuggire, ma sfidarla con la gioia.

Piacere? Sì, se è insieme alla gioia.

Conforto? Sì, tanto e spesso. Lo trovo nell’amicizia vicina, preziosa e nel contatto coi «grandi» di ogni tempo e luogo.

Speranza? Sì, sempre, mai rassegnato.

Fede? Mi chiedi della mia fede? Vuoi una risposta chiara? Credo in Dio, credo nell’uomo, credo nella persona di Gesù.

Senza il recupero dell’anima, non è possibile la spiritualità, intesa come esperienza d’incontro col divino in tutte le cose, ed è compassione per chi soffre ed è debole, meraviglia o incanto di fronte alla natura e all’incontro gratuito con le persone».

La dimensione spirituale

«Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma da come parla delle cose terrestri, che si vede se la sua anima ha soggiornato in Dio» dice Simone Weil. È lo statuto della vita di Pietro Barcellona: non si può parlare di nulla se non si è fatta una esperienza interiore e se essa non è divenuta consapevolezza di uno sguardo particolare. Sembra, invece, che i teologi volino nei cieli, senza toccare terra, indirizzati verso una spiritualità così concentrata in Dio da non vedere più il mondo amato da Lui.

La dimensione dell’anima è la capacità di essere sensibili alla vita e al suo mistero, di cantare l’unità complessa del reale e di decifrare il messaggio segretoàdi ogni essere umano. Questa intuizione di Pietro Barcellona è di enorme importanza, perché afferma l’esistenza in ciascuno di una potenza capace di comprendere le cose. C’è, quindi, un primato del desiderio, dell’emozione, più che dell’intelligenza pura.

Uno può avere molta intelligenza, ma non capire niente, se non ha potenti affetti che sorreggono il suo intelletto. Affetti che potremmo definire pericolosi da una parte, ma anche un potente propulsore verso la conoscenza.

L’incontro di Lugano

Ci incontrammo, la prima volta, in occasione della fondazione del Gruppo di Lugano, costituito da ricercatori, insegnanti e movimenti di solidarietà impegnati nella costruzione di legami di solidarietà tra le generazioni, i popoli e i paesi, per opporre al disegno dell’apartheid globale, imposto dalla globalizzazione, un sistema di ben vivere mondiale e di rapporti interculturali.

Arrivavamo da esperienze di vita molto diverse, ma non opposte. Lui, impegnato da sempre in una militanza politica e culturale, soffriva il dolore freddo dell’incomprensione e dell’abbandono da parte di alcuni, significativi, compagni di viaggio. Un dolore che gli ha lasciato ferite profonde.

Io arrivavo dall’esperienza di prete operaio, logorato da una gerarchia ecclesiastica sorda, che voleva cancellare ogni traccia di profezia conciliare, che mirasse a una Chiesa povera con i poveri.

Lui stava elaborando un progetto di dialogo e di scuola permanente con studenti e immigrati dei paesi del Mediterraneo, perché, nell’incontro, scoprissero la dignità della cultura e la spiritualità dei propri popoli. Da parte mia, avevo già avviato, con alcuni amici, il progetto Macondo in Sud America. Sembrava che ciascuno fosse in attesa di incontrare l’altro ed era stata subito empatia e amicizia profonda.

La bisaccia sulle spalle

La memoria di Pietro Barcellona è impegnativa, provoca e rompe il canone delle evidenze, comunemente recepite. Salta le strutture plausibili e mostra, nelle sue elaborazioni culturali, tratti rivoluzionari e perfino sovversivi.

Dentro la sua bisaccia, aveva collocato l’essenziale: la riflessione, sempre; l’amore alla gente, la sua disponibilità per tutto e per tutti, la conoscenza del proprio tempo, la comprensione del proprio paese e l’aspirazione al futuro.

Avendo una capacità straordinaria, direi profetica, di leggere i segni dei tempi, affermava che la forza dei fatti non è nel loro effetto immediato o nella loro potente efficacia, neppure nel loro risultato o nell’incidenza verificabile, ma la loro verità è nella loro fecondità, seme incompiuto dentro il loro essere compiuto.

Se imparassimo a riconoscere questa trasparenza, che suggerisce un carattere quasi materno della realtà e della storia, forse saremmo meno disperati, più attivi nell’arte maieutica e creativa, nel nostro compito personale e sociale.

Fedele alla profezia

Senza l’etica, non c’è politica. Se non ritorniamo a una spiritualità interiore, l’ideologia non basta. Su questo Pietro è stato tanto chiaro quanto inesorabile, tanto criticato quanto duro nel denunciare che la parola aveva perso la sua capacità di produrre fiducia, senza la quale non esiste né profezia, né politica, perché tradendo la parola si tradisce la fede. «Il più grande reato contro l’umanità è l’uso indebito della parola».

Maestro dell’etica, ripeteva spesso: non è il filosofo che insegna filosofia morale e neppure il teologo che addita i valori non negoziabili, ma è il santo che ferma la sua mano sul debole. Costui è il vero maestro della morale.

Sacra è la vita nella sua totalità, che l’uomo può solo ricevere e mai creare. Sacro è ciò che l’uomo non può toccare. Sacra resta la vita che l’uomo può trasmettere e non dare in senso originario.

La nostalgia del sacro è il desiderio di un tempo che non c’è più. In questo secolo si sono perse le tracce del sacro, avendo ridotto la vita alla sola dimensione economica. Il sacro è diventato un ricordo lontano, soffocato dalla presunta onnipotenza dell’uomo.

Pietro fu un uomo di frontiera, a volte frainteso, altre, addirittura, irriso. Una vita, la sua, contrassegnata da uno stile tanto riservato quanto attento ai cambiamenti.

Questo è il destino inevitabile di un maestro, che ha accettato di battere una via profetica in nome della propria laicità. Un maestro che ha sempre seguito la strada della conoscenza, del rispetto dell’altro e degli affetti, affermando con forza che non può esistere né verità, né libertà senza giustizia. Un uomo «giusto», guida per il suo popolo.

Fedele al mistero di luce

Era buono perché rifiutava ogni divisione, ogni barriera o steccato. Amava la vita e le sue contraddizioni. Non haàmai cercato scorciatoie anche nel buio della malattia, solo la mano di chi gli portava calore e ascolto.

Mite e docile, libero e disarmato, come un vero laico, attirava a sé i semplici e i puri di cuore, praticando quanto scrive il Talmud: «Dove non c’è alcun uomo, sii tu uomo». Qualcuno ha detto che Pietro Barcellona era un convertito. Non è vero! È stato un uomo in costante e gioiosa ricerca, in ogni spazio e incontro della sua vita. Si è avvicinato al Mistero, che non è una porta chiusa, ma il luogo della conoscenza e dell’Amore senza fine. Lui, lì, in quel luogo, ci ha abitato, con grande docilità interiore e una coerenza affettuosa.

Non parlava mai di Dio, perché lo viveva, impegnato com’era a creare comunione e unità, soprattutto dove la violenza e l’ingiustizia avevano spento l’umanità.

Il suo dio era ogni luogo di vita. Era la fedeltà alla storia, agli uomini, segno di coerenza e d’integrità, era la forza per la costruzione dell’umanità.

Ha superato, con rispetto, le religioni, raccogliendone i diversi valori: non sincretismo ma pluralismo. Come auspicava Bonhoeffer, è entrato in un «cristianesimo non religioso». Noi cristiani dobbiamo ancora camminare per raggiungere davvero questo traguardo, che non toglie nulla al Cristo, ma lo proietta dentro una luce universale.

L’incontro con l’uomo di Galilea

La figura di Gesù ha sempre affascinato Pietro Barcellona.àL’attrazione di Gesù è stata l’unica alternativa all’abisso del nulla? Non lo so, ma credo che sia stato suo compagno di viaggio nel segno dell’amore assoluto. L’incontro con Gesù di Galilea, nessuno può sapere quando, come né dove sia avvenuto, forse lo può intuire solo chi si è avvicinato a lui, disarmato e senza pregiudizi, scoprendolo nel suo sguardo misericordioso.

È stato un sapiente morire quello di Pietro Barcellona. Per nulla facile, ma consapevole, sereno, calmo, preparato, persino sorridente. Per me, quella di Pietro è stata la morte di un sapiente, un insegnamento per tutti, specialmente per chi di noi è più avanti nella scuola della vita e sempre cerca di imparare dai veri sapienti. Gli ho posato un bacio di commiato sulla fronte, per dirgli grazie.

In questi anni difficili, a volte buoni, a volte cattivi, mi ha dato il gusto del camminare e mi ha liberato dal delirio ricorrente di tentare Dio e di cadere nella logica che tutto programma. «La fede, caro Giuseppe, non esce dalla storia, ma la comprende meglio».

Il suo è stato un funerale altamente religioso, comunicazione aperta a ogni spirituale realtà. Infatti per Pietro Barcellona, il riferimento più grande era «la luce che illumina ogni uomo, che adora Dio in spirito e verità» (Gv. 1, 9 – 4, 24).