Decrescita e movimenti, una sfida appena iniziata

di Troisi Riccardo

Previsioni e rapporti

Gli ultimi rapporti sullo stato di salute del nostro pianeta sono una vera condanna a morte. Il primo, il Living Planet 2006, pubblicato dal WWF, ci ricorda che di questo passo nel 2050 ci vorranno due pianeti per procurarci le risorse rinnovabili come cibo, legna, acqua. Il secondo, il Rapporto Stern del governo britannico, ci ricorda che entro il 2050 i cambiamenti climatici avranno effetti catastrofici sotto tutti i profili: ambientale, umano, sociale, economico. Il terzo, il Rapporto sullo stato degli oceani pubblicato dalla rivista Science, ci ricorda che entro 40 anni sarà scomparso tutto il pesce che finisce sulle nostre tavole. Il quarto rapporto, pubblicato dall’Agenzia internazionale per l’energia, ci ricorda che nei prossimi cinque anni i giacimenti petroliferi di Russia, Norvegia, Usa e Messico entreranno in crisi. E infine, qualche giorno fa, il Rapporto sui «cambiamenti climatici 2007» frutto di sei anni di lavoro di oltre 2.500 scienziati di tutto il mondo, punta il dito contro il surriscaldamento globale causato dalle attività umane degli ultimi decenni, che metterebbe a serio rischio di carestia 61 paesi nel mondo entro il prossimo secolo. Gli scenari delineati prevedono che già tra vent’anni centinaia di milioni di persone rimarranno senz’acqua, mentre epidemie come la malaria si estenderanno anche in zone non tropicali. Nel 2050 l’Europa potrebbe perdere tutti i suoi ghiacciai e nel 2100 metà della vegetazione mondiale potrebbe essere estinta.

Ovviamente è un errore trattare queste previsioni come delle profezie a lunghissimo termine che gli esseri umani di oggi, per egoismo magari inconscio o per ignoranza voluta, possono escludere dal loro orizzonte personale. In realtà i danni alla salute e le distruzioni irreparabili all’ambiente sono iniziati già da molti anni e continueranno ad aumentare anno dopo anno, rendendo sempre più difficili e costosi gli interventi di contrasto di cui ancora oggi non si parla in misura adeguata.

La decrescita è uno slogan

Da tempo i movimenti denunciano in diverso modo il «suicidio» di questo modello di sviluppo, e hanno iniziato a proporre campagne e pratiche alternative che contestano radicalmente questa corsa sfrenata verso il baratro, proponendo la rimozione delle «cause strutturali» prodotte dall’attuale sistema di sviluppo, capaci di aumentare le disuguaglianze e ridurre in miseria miliardi di persone. Vengono di continuo denunciate la distruzione mirata del nostro pianeta (regole inique del commercio, processi di mercificazione e di privatizzazione dei beni comuni, incremento compulsivo delle spese militari, finanziarizzazione dell’economia, devastazione delle risorse naturali, aumento del debito estero dei paesi del Sud) e soprattutto il rifiuto di destinare risorse adeguate alla lotta alla povertà che dilania già oggi oltre metà della popolazione mondiale.

Oltre a ciò, si è rafforzata sempre più l’esigenza di proporre percorsi personali e collettivi che si ispirano alla sobrietà, alimentati da una elaborazione che sempre più sta prendendo piede nelle analisi e nelle pratiche dei movimenti, ossia l’approccio alla «decrescita». Come viene indicato chiaramente dal movimento delle Rete Italiana per la Decrescita: «La decrescita è innanzitutto uno slogan. Uno slogan per indicare la necessità e l’urgenza di un’inversione di tendenza rispetto al modello dominante dello sviluppo e della crescita illimitati. Un’inversione di tendenza che si rende necessaria per il semplice motivo che l’attuale modello di sviluppo è ecologicamente insostenibile, ingiusto e incompatibile con il mantenimento della pace. Esso inoltre porta con sé, anche all’interno dei paesi ricchi, perdita di autonomia, alienazione, aumento delle disuguaglianze e dell’insicurezza. La decrescita non è una ricetta ma semmai un segno, un cartello stradale che indica un nuovo percorso. Un percorso che ci conduce verso un nuovo immaginario, un nuovo orizzonte. È l’orizzonte di un’altra economia: pacifica, sostenibile e conviviale, in altre parole felice».

Progetto comune è necessario

Le sperimentazioni che provano a dare seguito a questo approccio sono diverse anche in Italia: esistono centinaia, addirittura migliaia di gruppi che si occupano di temi che sono come tanti pezzi del progetto di sobrietà orientato alla decrescita. La sfida è mettere insieme chi lavora per l’ambiente, l’equità, la pace, l’economia solidale, l’energia rinnovabile, i beni comuni. Ma ancora manca la consapevolezza di un orizzonte comune, ogni gruppo si muove in ordine sparso

con notevole perdita di efficacia e incisività. È naturalmente difficile costruire una visione comune, un progetto di società orientato a questa dimensione, ma questo impegno non può essere evitato.

Di fronte alla sordità dei politici e alla noncuranza diffusa nelle popolazioni sembra molto probabile che solo mutamenti drammatici e subitanei del clima, nella disponibilità di acqua o nella rarefazione degli alimenti possano dar luogo a delle reazioni adeguate alla gravità della situazione. E ancora, si può temere che eventi catastrofici possano colpire le fantasie solo per i pochi giorni di attenzione a essi destinati da giornali e da televisioni. Ciò è gia avvenuto (chi ricorda Chernobyl o lo tsunami?) e potrebbe ripetersi. Ma ciò che i gruppi di base e le reti più avvertite non riescono ad accettare è la quantità enorme di sofferenze umane che l’errato rapporto stabilito con la natura negli ultimi decenni sta causando e continuerà a causare senza una reazione di portata storica. Le responsabilità sono evidenti, e ogni uomo si deve porre di fronte a esse senza indietreggiare e senza nascondersi. I prossimi mesi, i prossimi giorni sono cruciali, non possiamo evitare di impegnarci.

Qualche segnale inizia ad arrivare, ad esempio le sperimentazioni prodotte dalla campagna «Cambieresti». L’idea nasce a Venezia dove sono state coinvolte 1250 famiglie (circa l’1% della popolazione) in questo grande «gioco sociale», che voleva, da un lato focalizzare l’attenzione sugli impatti globali delle scelte di ciascuno attraverso un processo di conoscenza e di corresponsabilizzazione di tutti i soggetti e dall’altro stimolare l’acquisizione di nuove buone pratiche e di diversi modi di consumare, così come il risparmio e l’uso più efficiente dell’energia e delle risorse naturali attraverso il ricorso a soluzioni e tecnologie innovative. Da questa prima sperimentazione, che propone di far lavorare in rete amministrazioni pubbliche, società civile organizzata, singoli e partner privati, stanno nascendo in giro per l’Italia altre azioni orientate dai principi di solidarietà, equità sociale ed economica, sostenibilità ambientale, tutela dei beni comuni, conservazione delle risorse naturali, partecipazione democratica alla vita della comunità e ricerca di una migliore qualità della vita.

La speranza è avviare con forza un’azione di sensibilizzazione di massa per fare prendere coscienza dei rischi che stiamo correndo e indicare i cambiamenti negli stili di vita che possiamo introdurre da subito per vivere bene con meno.

Un progetto di un’economia orientata alla decrescita implica rispetto per l’ambiente, per i diritti, per la pace, per l’equità; potrebbe diventare l’orizzonte comune che ci potrebbe permettere un cambiamento reale dei nostri modelli di consumo, di produzione e di distribuzione. Tutto questo richiede uno sforzo di creatività e una radicale rimessa in discussione del nostro modello «culturale», alimentato dal bisogno di consumo onnivoro; è solo partendo da qui che potremmo rimettere in discussione questo sistema economico, costruito per soddisfare i pochi ma predisposto alla distruzione di tutti.