Individuo

di Pinhas Yarona, Khadija Dal Monte Patrizia, Broccardo Carlo

Individuo: nella Torà

«La mente di un uomo deve armonizzarsi con quella del prossimo». [Ketubòt 17a]

Famoso il detto di Rabbi Hillel: «Se io non sono per me, chi sarà per me? E se io sono per me, che sono io?» (Perqé Avot 1:14). L’uomo deve sviluppare prima un senso di sé, essere indipendente, avere autostima senza che si trasformi in egoismo o peggio ancora nel culto di sé. Questo sottile equilibrio si può mantenere esclusivamente rimanendo in continua connessione con Dio. Il primo passo di questo cammino nella consapevolezza di se stessi e del prossimo è racchiusa nella frase di Genesi: «Dio creò l’uomo a Sua immagine e somiglianza». Chi riconosce nell’altro lo stesso proprio valore, a prescindere dalle condizioni sociali contingenti, esaudisce un vero e proprio comandamento divino. «Io sono creatura di Dio, e il mio compagno è anch’egli Sua creatura; il mio lavoro è in città, il suo è nei campi… come egli non può eccellere nel mio lavoro, io non posso eccellere nel suo. Forse potresti dirmi che io faccio grandi cose, ed egli ne fa delle piccole! Abbiamo imparato che non importa se uno fa grandi o piccole cose, purché rivolga il suo cuore al cielo» (Genesi Rabbà 17a). Nel Salmo 23 Dio è chiamato dal salmista «pastore» identificando l’onnipotente con una delle figure più umili della scala sociale.

Il passo successivo è il valore dell’autostima, vale a dire, non dover dipendere dall’altro, ma solo da Dio, in un interscambio attivo fatto sì di preghiera e abbandono, ma anche di pratica attiva e concreta.

Possiamo quindi chiederci quale sia la giusta misura nel rapporto con gli altri: «Due sono migliori di uno» (Ecclesiaste 4:9) e allora «l’uomo deve acquistarsi un amico per leggere con lui la scrittura, studiare con lui la Mishna, mangiare con lui, bere con lui e aprirgli i propri segreti» (Sifrè, Deut.12). Il messaggio morale che è rilevabile in questo brano è l’assenza totale della sopraffazione: i due poli sono paritetici e ognuno dà e riceve in uguale misura condividendo la vita dell’altro. Rabbi Mendel di Kotzk usava dire: «Così come i volti degli uomini sono diversi l’uno dall’altro, così le loro opinioni si distinguono. E come sopporti il viso dell’altro devi accettare la sua idea diversa dalla tua». E continua: «Il comandamento «Non rubare» (Esodo 20:13) significa, non rubare te stesso. Se io sono io in quanto me, e tu sei tu in quanto te, ma se io sono me in funzione di te, e tu sei tu in funzione di me, allora io non sono io e tu non sei tu». Questo ragionamento quasi paradossale investe due campi dell’esistenza umana: il primo è l’acquisizione-perdita dell’identità in virtù dello sguardo altrui, il secondo è un straordinario commento al comandamento che recita «non rubare». Il furto in questo caso è un furto di identità in quanto il mio essere non deriva dall’imprinting divino ma da ciò che io sottraggo all’opinione dell’altro. Lo sguardo dell’altro finisce per essere l’immagine che noi abbiamo di noi stessi e che riteniamo spesso vera e viceversa, abbiamo la tendenza a far sì che gli altri siano a «nostra immagine e somiglianza». Da qui il fraintendimento fatale per cui crediamo acriticamente a ciò che vediamo, cioè all’immagine che ci viene proposta di noi stessi e degli altri. Il comandamento che ci impone di non crearci delle immagini va esattamente nel senso opposto, superare lo schermo delle apparenze sensibili per raggiungere il nulla divino, cioè il potenziale del tutto. L’individuo consapevole ha il compito di andare oltre l’immagine formata dal vivere sociale per risalire all’essenza che è il Nulla divino. In definitiva, per l’ebraismo la comunità è il luogo d’elezione dove si svolge la vita di ogni individuo che per suo conto ha il dovere di progredire in armonia con gli altri abbattendo la separazione tra «io» e «voi» per diventare «noi».

Yarona Pinhas

Individuo: nel Corano

Spesso si dice che l’Islam non riconosce l’individuo, che la comunità assorbe e fagocita completamente le soggettività, a differenza della cultura europea moderna, dove l’essere umano viene concepito come individuo e come soggetto distinto dallo Stato e dalla società.

Al di là di un esame del complesso cammino che l’Islam ha fatto intrecciandosi con i valori portanti delle società tradizionali, ci chiediamo se emerga dai testi normativi della religione islamica il riconoscimento della persona-individuo. E ci sembra che una risposta positiva ci sia, se noi evidenziamo due componenti della persona umana quali emergono dalle scritture e cioè: nafs, anima (nel senso d’individuo) e niyya, intenzione.

Ogni persona è creata individualmente da Allah, e ogni persona lascia questa vita, quando Lui lo decide:

«…Vi crea nel ventre delle vostre madri, creazione dopo creazione, in tre tenebre [successive]. Questi è Allah, il vostro Signore! [Appartiene] a Lui la sovranità…» (XXXIX, 6).

«Ogni anima (nafs) gusterà la morte. Vi sottoporremo alla tentazione con il male e con il bene e poi a Noi sarete ricondotti» (XXI, 35).

«Siate generosi di quello che Noi vi abbiamo concesso, prima che giunga a uno di voi la morte ed egli dica: «Signore, se Tu mi dessi una breve dilazione, farei l’elemosina e sarei fra i devoti». Ma Allah non concede dilazioni a nessuno che sia giunto al termine» (LXII, 10-11).

La responsabilità è individuale e si basa sulle possibilità della propria nafs e sull’intenzione con cui si sono compiute le scelte:

«O uomini! vi è giunta la verità da parte del vostro Signore. Chi è sulla Retta Via lo è per se stesso, e chi se ne allontana lo fa solo a suo danno. Io non sono responsabile di voi» (X, 108).

«Allah non impone a nessun’anima (nafs) al di là delle sue capacità. Quello che ognuno avrà guadagnato sarà a suo favore e ciò che avrà demeritato sarà a suo danno… E chi vi sarà costretto (a fare qualcosa, n.d.r.), senza desiderio o intenzione, non farà peccato. Allah è misericordioso» (II,173).

«Quando vengono a te quelli che credono nei Nostri segni, di’: Pace su di voi! Il vostro Signore si è imposto la misericordia. Quanto a chi di voi commette il male per ignoranza e poi si pente e si corregge, in verità Allah è misericordioso» (VI, 5).

Intenzioni che solo Dio conosce fino in fondo: «Il vostro Signore ben conosce quello che c’è nell’animo vostro (nafs). Se siete giusti Egli è Colui che perdona coloro che tornano a Lui pentiti» (XVII, 25).

L’essere umano dunque ci appare dai versetti rivelati da Dio nel Corano come un essere la cui individualità è ben assodata e stabilita; l’affermare con forza la dimensione comunitaria non significa svilire la dimensione individuale, che proprio in essa trova il suo naturale habitat di maturazione. Tra individuo e creatore c’è un rapporto profondo ed esclusivo, che illumina gli anfratti più profondi della coscienza e dell’inconscio, là dove l’essere umano partorisce le sue intenzioni, che a volte non si riescono a tradurre sufficientemente nella realtà. Portare in risalto il primato dell’intenzione equivale anche a rispettare il mistero che avvolge la persona. Ogni persona nel suo unicum, non è riducibile completamente a degli schemi prestabiliti, e ci apre anche alla necessità di assumere, all’interno della riflessione islamica il senso della complessità dell’individuo e il bisogno di approfondire la conoscenza dei suoi diversi aspetti.

Concludo con un hadith del profeta che ci indica come dimensione comunitaria e individuale siano in armonica composizione: «Il Profeta disse: «La religione è devozione sincera»; chiedemmo: «Verso chi?»; rispose: «verso Dio, il Suo Libro e il Suo inviato, e verso i musulmani, tutti e ciascuno»».

Patrizia Khadija Dal Monte

Individuo: nel Nuovo Testamento

Partiamo da un dato: l’attenzione al singolo in quanto persona, individuo, è stata una conquista tutto sommato moderna; in genere le società antiche erano più sbilanciate sull’aspetto comunitario, nazionale o familiare che fosse. Questo vale anche per Gesù e le prime comunità cristiane: l’abbiamo visto nel numero precedente, quanto la comunità sia una dimensione fondamentale della fede. Eppure proprio quei filosofi del Novecento, che più hanno posto al centro della loro riflessione la persona in quanto tale, hanno attinto abbondantemente alla Bibbia; basta fare due nomi: Lévinas e Mounier. Perché, a ben guardare, alcune intuizioni di San Paolo e prima ancora certe prese di posizione di Gesù dimostrano una chiara e inequivocabile attenzione alla persona: nessuno è sacrificabile per la collettività!

Leggiamo per esempio la prima lettera ai Corinti; quella di Corinto era una comunità molto vivace, ma altrettanto divisa al suo interno e sempre a rischio di rottura. Uno dei tanti motivi di discussione erano le carni immolate agli idoli; i vari culti pagani comportavano spesso che venisse sacrificato un animale in onore di questa o quell’altra divinità; poi, parte della carne veniva bruciata in onore del dio, parte la tenevano i sacerdoti, parte la mangiavano gli offerenti oppure andava venduta al mercato. Ora, siccome gli idoli non esistono (perché c’è un solo Dio), la carne offerta agli idoli è esattamente uguale all’altra carne. Dunque posso mangiarla senza preoccupazioni. Ma se un mio fratello, sbagliando, pensa che mangiare quella carne sia sacrilegio, «se un cibo scandalizza un mio fratello, non mangerò mai più carne», dice Paolo (1Cor 8,13); di nessun tipo, tanto per non correre rischi inutili! L’altro viene prima della mia libertà.

Per tutto il capitolo nove della lettera ai Corinti Paolo si racconta, dice qual è il suo modo di fare: per lui l’unica cosa che veramente conta è annunciare il Vangelo di Gesù Risorto; ma sempre con la massima attenzione alle persone a cui l’annuncio è rivolto. Se un qualsiasi aspetto del mio modo di annunciare il Vangelo scandalizza il mio fratello, rinuncio (dice Paolo); non al Vangelo, ma a quel particolare modo di annunciarlo. Per esempio: io so che in quanto apostolo ho il diritto a essere mantenuto dalla comunità; però siccome so anche che qualcuno rimarrebbe scandalizzato al vedere che io non lavoro, preferisco piuttosto lavorare di notte e mantenermi.

Questa attenzione all’altro, al fratello, Paolo l’ha imparata da Gesù. Gesù spesso entrava in polemica con le autorità dell’epoca su questioni riguardanti il sabato (giorno di assoluto riposo). Non lo ha mai fatto per spirito di contesa, né ponendosi contro la Legge di Dio che ha sempre rispettato; ma quando si accorgeva che qualcuno era così ligio alle regole da passare sopra alle persone, allora era disposto a infrangerle. Perché «il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27). La persona, per Gesù, viene prima di tutto.

Come ha fatto lui, così Gesù vuole che i suoi discepoli siano altrettanto attenti agli altri, ai «fratelli»; ma non solo: chiede ai suoi che siano particolarmente attenti ai fratelli più deboli e fragili, a quelli che amava chiamare «i piccoli». Ammirato da tutti per la sua mitezza, Gesù è arrivato a pronunciare parole di fuoco, quando si trattava di proteggere i più deboli: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina da asino, e fosse gettato negli abissi del mare!» (Mt 18,6). Gesù è così: amabile con tutti, ma pronto a difendere ogni singola persona. E poi lo ha detto chiaramente: quel giorno, quando giudicherà il mondo, non chiederà tante cose; dirà solo, e questo è il suo criterio di giudizio: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Carlo Broccardo