Dialogo interculturale e incontro con l’altro (parte 1)

di De Marchi Enzo

Torno a riflettere
su un tema cruciale del Quinto centenario della scoperta
dell’America: l’anno è ormai passato, con le sue “celebrazioni
” di vario tipo, dall’esaltazione alla condanna radicale, ma è
guardando all’urgenza e alla gravita’ delle situazioni e delle sfide
di questo nostro tempo che sento tutta l’attualità e la provocazione
di quanto avvenuto cinque secoli fa.

Ho tra le mani un libro di uno studioso uruguayano, Mario Cayota. Titolo della traduzione italiana (pubblicata nel settembre del 1992, poco prima della IV Conferenza generale dell’Episcopato latino-americano a Santo Domingo): ” La sfida dell’utopia nel mondo nuovo”; sottotitolo: “L’alternativa francescana alla ‘conquista'”.

Il libro non detta
lezione alla storia in nome degli ideali e della nostra coscienza
storica attuale. Scava in profondità e disseppellisce documenti in
gran numero, capaci di illustrare la alternativa” che si cercava
di opporre con i fatti alla “conquista”. L’ultima pagina
del libro così sintetizza l’opera e lo spirito dei
francescani,protagonisti di quella alternativa.

LA SFIDA DELL’UTOPIA

“Il missionario
non fu in grado di superare totalmente il complesso di credenze e di
criteri propri di un modo d’essere europeo (col suo rifiuto di fronte
all'”altro” ritenuto “barbaro” e “inferiore”),
riuscì però in gran parte ad andarVi oltre. Fu così capace di
scoprire come autentici e grandi valori, quelli che la società
europea considerava antivalori. Non accettò di convivere con la
religione e con certe usanze “barbare” dei popoli indigeni.
Fu però capace di riconoscere l’indio come superiore all’europeo
sotto vari aspetti.

Ciò che per
Sepùlveda era motivo di disprezzo, per i francescani diverrà motivo
di ammirazione e di stima. E quindi anche di speranza (da notare che
per Sepùlveda l’assenza di proprietà privata e di denaro divenivano
prove di inferiorità non solo culturale ma anche razziale).

Certi aspetti del
vivere indigeno fecero mettere fortemente in discussione lo stile di
vita degli europei.

L'”altro”
facendosi “prossimo”, ravvivò e confermò nel francescano
il desiderio di cambiamento, di renovatio, di” palingenesi”.
Gli Indios furono per essi “rivelazione”.

LA RICERCA DI UN
SOGNO

L’altro diviene in
questo modo rivelazione per il rinnovamento della propria cultura,
per la rigenerazione dello stesso vivere umano: penso ai problemi e
alle sfide drammatiche dei nostri giorni, come i rapporti Nord-Sud,
gli immigrati e il razzismo, le guerre interetniche…

Invece di sviluppare
dei ragionamenti, scelgo una storia – parabola ebraica semplice e
suggestiva:

“Una volta un
rabbino, Eisik di Cracovia, fece un sogno in cui gli veniva detto di
andare a Praga: là, sotto il grande ponte che conduce al castello
reale, avrebbe trovato nascosto un tesoro. Il sogno si ripeté tre
volte. Il rabbino si decise allora di fare quel viaggio. Arrivato a
Praga, trovò il ponte, custodito però giorno e notte da
sentinelle.Eisik non osava scavare. Continuando ad aggirarsi nei
pressi del ponte, finì per attirare l’attenzione del capo-guardia,
che lo interrogò se avesse perduto qualcosa.

Il rabbino gli
raccontò ingenuamente il proprio sogno.All’udirlo, il capitano
scoppiò a ridere: “Davvero, poveretto! – disse – hai consumato
un paio di scarpe per fare tutta questa strada, solo per un sogno?”.
E gli raccontò a sua volta di avere udito in sogno una voce che gli
parlava di Cracovia e gli ordinava di andare in quella città a
cercare un grande tesoro nella casa di un rabbino, di nome Eisik: il
tesoro si trovava in un vecchio angolo polveroso dov’era stato
sepolto, dietro la stufa. Ma l’ufficiale era una persona ragionevole
, lui! e non credeva affatto alle voci udite in sogno.

Il rabbino lo
ringraziò con un profondo inchino e si affrettò a tornare a
Cracovia. Andò a scavare – lui che credeva alle voci udite in sogno!
– nell’angolo dimenticato della casa e scoprì il tesoro, che pose
fine alla sua povertà.

La storia è tratta
dai “Racconti dei Chassidim” di M. Buber, ed è ripresa da
Mircea Eliade al termine del suo libro “Miti, sogni e misteri”.
E’ una storia che funziona da parabola e ha gli ingredienti della
favola: la voce in sogno, il tesoro da scoprire, il viaggio in terra
straniera, la ricerca nell’angolo nascosto e l’immancabile “happy
end” della eliminazione della povertà.

LA COSCIENZA CRITICA
DELLE BUONE INTENZIONI

Sappiamo di tante
povertà, ma quella che fa più vuoto nel cuore dell’uomo ed è
all’origine di tante altre povertà non è forse il vivere isolati
nella propria cultura, in una società chiusa, con la conseguenza –
per dirla con Bergson – di una morale e di una religione chiusa ?

Noi rimproveriamo e
condanniamo questa povertà umana, questa “cecità e ignoranza”
(come la chiamava Bartolomé de las Casas ) negli scopritori e
conquistatori del 1500 …ma siamo proprio sicuri di essere migliori
di allora e di non proiettare invece negli altri il demone che
vorremmo esorcizzare da noi stessi ? Forse confondiamo coscienza
critica con buona volontà, e dietro parole come “civiltà”,
“villaggio globale”, magari anche “diritti umani”,
nascondiamo le pretese pseudo-universalistiche della nostra cultura,
come se tutti gli altri non dovessero far altro che seguirci, da
bravi!

La storia del
rabbino non ha bisogno di spiegazioni: essa interpella
l’immaginazione creatrice e suscita l’avventura della persona. Vale
però la pena soffermarsi sull’osservazione di H. Zimmer, ripresa da
M. Eliade. Il vero tesoro che ci arricchisce umanamente non è mai
lontano da noi, è nell’intimo della nostra casa, del nostro essere
(e per stare in tema, della nostra cultura)… Eppure rimane vero
questo fatto strano: solo dopo un pio pellegrinaggio in terra
lontana, in una nuova terra, diventa comprensibile il senso di quella
voce intima che ci guida alla scoperta di noi stessi.

E a rivelarci il
senso del misterioso pellegrinaggio dev’essere lo straniero, l’uomo
di un’altra fede e di un’altra razza. Traduco la riflessione in
quest’altro modo: quando siamo capaci di sognare e di ascoltare
dentro di noi la voce che ci scuote dalla nostra fissità culturale e
morale più che locale chiamandoci all’esodo, al viaggio verso
qualcosa di promesso, alla ricerca, all’incontro … allora abbiamo
già sfondato il nostro monolitismo culturale, e già iniziato il
dialogo.

Attraverso
l’altro, nel riconoscimento reciproco, scopriamo dentro di noi non
più l’io isolato, la cultura chiusa, ma l’io col tu, il ” noi ”
della comunicazione, dell’umanità
comune.