Globalizzazione del denaro e governi folclorici

di De Vidi Arnaldo

Un reporter mi ha chiesto: «Com’è il Brasile, oggi?». Sinceramente non lo so. Credo sia cambiato parecchio rispetto a quello epico che ho conosciuto negli anni 1976-96, impegnato nella conquista della democrazia e dei diritti umani. Temo sia arrivato anche lì il «tempo delle mele», come in Italia dopo gli anni sessanta e settanta.

Per non perdere l’opportunità, il reporter ha chiesto il mio parere sull’Italia. Anche sull’Italia non ho molto da dire; ma ricordare che l’Italia è al crepuscolo come statonazione, insieme con gli altri paesi in questo tempo di globalizzazione e di impero. Gli USA sono impero e non ne fanno segreto: «Da quando Roma distrusse Cartagine, nessun’altra grande potenza si è innalzata al culmine cui siamo giunti noi» (C. Krauthammer). Il G8 è G1, con le altre 7 nazioni come comparse, alleate-satelliti. La narrazione del mondo è unica, anglosassone, formulata già a Bretton Woods (1944). Essa predica che, grazie all’industria e alla tecnica, bisogna aumentare la torta mondiale della ricchezza, anche a spese dei poveri e della natura, per poi (quando?) dividerla bene anche a vantaggio dei poveri. Nessun paese può avere progetti alternativi e per il progetto unico i paesi poveri ricevono prestiti… con interessi usurai. Intanto 96% dei capitali sono nella speculazione e liberi da tasse. I governi, dovendo tassare pesantemente il rimanente 4% dei capitali (investito nella produzione), si rendono invisi, devono tagliare le spese sociali e… diventano folclorici. I paesi del terzo mondo, tutti senza eccezione, sono alla bancarotta. Di qui il fenomeno dell’emigrazione. In questo panorama, tornando all’Italia, non si capisce cosa ci stia a fare al governo una coalizione di centro-sinistra, obbligata a un programma di destra, di stabilità e crescita monetaria, invece che a un programma attento al sociale. Prodi fa quello che avrebbe dovuto fare Berlusconi se avesse avuto il coraggio e la coerenza di scelte necessarie ma sgradite agli italiani e a se stesso.

A ciascuno il suo particolare

Vorrei qui anche far accenno al ritorno di alcune nostalgie.

C’è la nostalgia del corporativismo di tipo fascista o, con termine nuovo, nimby (not in my backyard – nel mio cortile). Ogni corporazione dice: «Non mi interessa la situazione generale, solo non tollero che la finanziaria penalizzi me». «Si faccia la discarica, ma non nel mio cortile». «Si realizzi la TAV, ma non qui». Dal corporativismo all’individualismo egoista il passo è breve.

C’è poi la nostalgia dell’ideologia nella politica. Pareva assodato che la politica chiedesse scelte operative (scevre da ideologie) perché è la «scienza del possibile per il bene comune». Ma perfino nella coalizione al governo i partiti litigano con base nella propria ideologia.

Un’altra nostalgia è quella sintetizzata dal motto latino: «Vulgus vult decipi». Il popolo preferisce lasciarsi imbonire, invece che avere la passione della verita. Noi accettiamo un monopolio nei media che ci fa credere quello che vuole. Per esempio, i media hanno potuto fin dall’inizio friggere il governo Prodi, con o senza prove, presentandolo come inetto e moribondo, anche se promosso a livello europeo.

E la chiesa in tutto questo? Per cominciare, preoccupa che si parli di chiesa cattolica in politica, invece che di cristiani impegnati nella politica.

Forse l’Italia è vista dal Vaticano come suo cortile o come sua ultima trincea; forse c’è nostalgia della DC o, meglio, della cristianità costantiniana. È meglio che i fedeli cattolici siano gregge vaccinato dalla gerarchia ecclesiale il cui credo coinciderebbe con la ragione.

Chissà, in un primo momento la gerarchia, lieta per la rivincita di Dio, evidentemente in una rinnovata fame di spiritualità dell’uomo di oggi, cercava una fetta di potere per meglio espletare la sua missione spirituale. Oggi essa vuole di più: che il QG della politica si trasferisca dal parlamento alla presidenza della CEI e che il governo diventi suo braccio secolare.

Su questo bisognerebbe confrontarsi di più. A volte mi sorprendo a sognare una CEI che si pronunci con un trafiletto settimanale puntuale, sul tipo di Curzio Maltese nel Venerdì de la Repubblica.