Sulle orme del profeta Gesù
Globalizzazione
Oggi il termine globalizzazione è usato indebitamente a designare il fenomeno per cui il mondo è un villaggio globale e siamo tutti vicini di casa: in tal senso esso sarebbe sinonimo di «planetarizzazione». La globalizzazione – termine usato per la prima volta da Theodor Levitt nel 1985 – è un passo in avanti definitivo nella linea dell’internazionalizzazione e della multinazionalizzazione. E sta a indicare il sistema dominante attuale, il capitalismo neo-liberale, mondiale, ancorato al mercato. Mi dispiace che i miei amici vescovi dell’America Latina, nell’ultima conferenza di Aparecida, l’abbiano giudicato positivamente, in fretta, specialmente dal punto di vista culturale.
Io vedo la globalizzazione alla confluenza di tre fenomeni: pensiero unico, mercato globale e flusso dei capitali.
Il pensiero unico influisce nell’immaginario dei paesi del primo e del terzo mondo, e del… pianeta giovani. Nessuno vuole essere «out», quindi manda al macero la propria cultura. Tutti vogliono essere «in», allineandosi alle mode che vengono dal Nord, fino a sostituire ai tropici i sandali a dito con le Nike.
Quanto al mercato, a lui conviene il consumismo, il saccheggio del pianeta, la pan-pubblicità, la creazione di bisogni artificiali, gli OGM, i bio-brevetti… Forse il simbolo più appropriato del mercato globale è lo shopping center, dove i giovani del primo e del terzo mondo vanno a fare lo struscio.
Nel flusso di capitali, grandi professori maneggiano le tecniche di arbitraggio e i movimenti delle borse, determinano la svalutazione della moneta di un Paese, stabiliscono il costo dell’automobile dell’italiano e perfino dei fagioli del brasiliano. Inoltre, i governi, se possono tassare solo il 4% dei capitali, sono costretti a smantellare il Welfare e privatizzare servizi come la salute, l’educazione, i trasporti pubblici… È il crepuscolo degli Stati-Nazione e della politica che diventa folclore. Senza buoni servizi pubblici, crescono marginalità, violenza, trasgressione…
Insomma, la globalizzazione è un impero – con sede nel Nord-Ovest del pianeta – non molto dissimile da quello babilonese e quello romano: parla di pace ma costruisce armi sempre più letali, parla di crescita della ricchezza ma aumenta il numero dei poveri, parla di ecologia ma depreda il pianeta…
L’impero della globalizzazione ha creato una società assurda. I Paesi del Sud del mondo continuano a essere sfruttati (con il prestito/debito essi danno al Primo mondo ritorni fino al 20×1!). Essi sono derubati della dignità, perché è giocoforza che dimentichino le loro culture di sobrietà e inseguano il costoso modello economico neo-liberale fino… alla bancarotta, con l’emigrazione come effetto collaterale.
Nel passato il popolo di Dio non era parte dell’impero egizio o babilonese, ma ne era vittima, mentre l’impero attuale si dice cristiano. Se il Primo mondo vive al di sopra delle sue possibilità sfruttando il Terzo mondo, che in tal modo vive al di sotto delle sue possibilità, esso è come l’Egitto e Babilonia. Bisogna allora smascherare la pretesa del Primo mondo di dirsi cristiano: esso è impero idolatra.
La Bibbia illumina
A noi interessa ora cercare nella parola di Dio non soluzioni magiche ma, indubbiamente, stimoli e luci. Noi siamo debitori a esegeti che uniscono rigore scientifico e sensibilità umana. Penso in questo momento a Frei Carlos Mesters: in una conferenza sul profetismo, dettata ai Superiori Generali a Roma nel maggio 2007, che mi permetto di riportare, quasi di sana pianta, da Missione Oggi di novembre 2007.
I tre grandi segni o «sacramenti» che in quel periodo erano la garanzia visibile della presenza di Dio in mezzo al popolo – il tempio, la monarchia e la Terra – furono distrutti dall’avanzata dell’impero internazionale di Babilonia. L’esilio distrusse il quadro dei riferimenti religiosi che avevano guidato il popolo di Dio fino a quel momento. Confuso, senza orientamento, il popolo cercava una via di uscita che gli desse sicurezza e speranza. Emersero diverse risposte, classificabili in quattro direzioni:
la maggioranza silenziosa degli esiliati si adattò e cominciò a praticare la religione di Babilonia con le sue processioni grandiose e le immagini maestose;
altri volevano ricostruire il passato. Star fuori dalla propria regione era lo stesso che stare lontano da Dio. Essi consideravano l’epoca dei Re come il modello da imitare. Erano di questo gruppo Zorobabele, Giosuè, Aggeo… Essi ritornarono in Palestina, quando Ciro permise il ritorno. Volevano a ogni costo ricostruire il tempio, restaurare la monarchia e recuperare l’indipendenza politica (ma non vi riuscirono);
un’élite pensante adattò il modello antico alla nuova situazione. Esdra e Neemia pensavano che, in nome di Dio, dovevano accettare il giogo del re straniero, pregare per lui e collaborare con lui. Allo stesso tempo volevano mantenere la coscienza di essere il popolo eletto di Dio, distinto e separato dagli altri popoli. Perciò insistevano sull’osservanza della legge di Dio e sulla purezza della razza che proibiva il contatto con gli altri popoli; crearono un movimento internazionale. Questo progetto di Esdra e Neemia prese il sopravvento sugli altri e divenne egemonico;
un movimento di base cercò di ritornare all’origine del popolo. Geremia e i discepoli di Isaia si domandavano: «Che cosa Dio vorrà insegnarci per mezzo di questo fatto così tragico della cattività?». Rileggevano le storie del passato per trovare in esse una luce che li aiutasse a riscoprire la presenza di Dio in quella terribile assenza o secolarizzazione della vita. Tale movimento di base (profetico) ebbe senza dubbio un peso nell’economia della storia della salvezza e inspirò parecchi libri della Bibbia, ma non arrivò ad avere riconoscimento ufficiale.
E anche oggi c’è la maggioranza silenziosa che cerca il cammino più comodo del consumismo, aderendo alla nuova religione dell’impero neo-liberale con i suoi templi grandiosi. Alcuni sognano il ritorno alla cristianità o chiesa costantiniana o grande disciplina. Altri vedono i rapporti Chiesa-Stato come opportunità per la chiesa di ricuperare prerogative proprie e nuove. Le persone più coscienti si impegnano, anche se intendono che la loro posizione resterà sotterranea, contrastata.
Una prima lettura potrebbe far pensare che la riforma di Esdra e Neemia trovi un parallelo nella strategia della gerarchia della chiesa di oggi, che cerca un adattamento Chiesa-Stato o chiesa-globalizzazione. Accostare papa Ratzinger e Ruini ai due riformatori Esdra e Neemia ci pare un giudizio ancora molto benevolo. E se è vero, come dice per esempio Aldo Bonomi, che la globalizzazione lascia molte porte aperte, la stessa cosa si poteva dire di imperi come quello egizio, babilonese-persiano e romano.
Credo che i cristiani impegnati e coscientizzati dovranno vedersi sempre più nei discepoli di Isaia: noi dovremo metterci nella strada difficile della profezia, della fede nel non-apparente, della rinuncia a ogni potere. Davanti al rullo compressore della globalizzazione, bisogna rinnovare la fede in Dio che non abbandona il suo popolo e prepara un esodo maggiore del primo Esodo.
Gesù Cristo
Ma vorrei soffermarmi su Cristo.
Studi di analisi interna al linguaggio di Gesù riportato dai Vangeli, ci dicono che il contesto della sua vita e del suo pensiero è quello dei contadini e degli artigiani mediterranei. Gesù vive in un ambiente che è un lontano frutto di quella riforma di Esdra e Neemia che portava dentro di sé una contraddizione: essere ossequiente al re pagano perché permetteva di vivere secondo la Legge di Dio. A me piace credere che Gesù stesso abbia maturato la sua linea profetica e la coscienza messianica poco a poco. Inizialmente, insieme ai suo conterranei, egli vive una resistenza radicale, seppur non violenta, alle imposizioni che vengono da sopra: specialmente al tipo di sviluppo urbano di Erode Antipa e al mercato rurale di Roma, che imponeva il commercio nella Bassa Galilea e aveva ridotto alla fame la popolazione. Negli anni che precedono immediatamente la vita pubblica (giunta relativamente tardi), Gesù si coltiva spiritualmente e culturalmente in una linea che prende le distanze dall’élite sacerdotale (egli rimane oltretutto un laico della periferia), ma anche dai farisei e dai dottori della legge. Il suo annuncio dell’amore si oppone alla legge; il suo atteggiamento di servizio nega il potere; la sua predicazione del Regno diventerà opposizione al regno di Cesare e alla monarchia nazionalistica.