“Cosa desideri?”. Rispose: “Nulla, l’impossibile”

di Stoppiglia Giuseppe

“È possibile che il messaggio non giunga
a destinazione, ma ciò non significa
che sia inutile inoltrarlo.” [Segaki]
“Quando vedi che la meta è lontana
tu comincia a camminare.” [Proverbio cinese]

L’isola della memoria
Da un po’ di tempo non mettevo piede, fisicamente, a Comacchio. Eppure è stata, per dieci anni, la città della mia esistenza errabonda, la mia sola, la mia vera casa. Luogo di continuità ideale dove sentirmi accolto e riconosciuto, punto fisso cui rapportarmi tra le incerte variabili di un percorso a rischio. Ed è bello ritornarci, da globe-trotter incallito, ritrovare la cordialità gioviale e rassicurante di tanti compagni di viaggio.

L’uomo del faro
Ho abbracciato mons. Marinelli, vecchio e saggio maestro. Mantiene ancora un visto rotondo e pacioso che predispone alla simpatia, ma soprattutto permane in lui la stimolante disponibilità al dialogo e al dissenso, letterario e non, l’apertura fraterna che sempre mi dimostra, l’equilibrio e la misura con cui gestisce una visione laica e cristiana del vivere. Mi ha parlato del suo lavoro, delle pubblicazioni, delle prospettive e ricerche scientifiche, che sempre stimolano la mia insonne curiosità. È stato piacevole e rilassante ascoltarlo e conversare assieme. Rimane fedele alle sue meditate certezze, alle appassionate convinzioni personali, che io rispetto e ammiro, come ammiro la sua pacata serenità, abbrancato come sono ad un problematicismo radicale, in cui brilla, sola, la figura del Rabbi di Nazareth.
Salutandomi, all’amarezza che mi leggeva nel volto per la caduta di umanità, di fede, di gratuità che si va diffondendo in Italia e nel mondo, dolcemente mi rimproverava e mi correggeva con inflessibile mitezza. Vecchio maestro, non sarai condannato al destino di rimanere senza eredi, avendo osato pensare oltre l’uomo.

La navigazione nel mare magnum
La situazione attuale ha un punto di partenza che è la presa di coscienza di una sorta di pensiero unico che, col ruolo attivo dei mass media, tende ad omogeneizzare tutto, dalla sfera della politica a quella della vita sociale, sia a livello nazionale che internazionale. Diventiamo tutti omologati. Il sistema produttivo, politico, economico è il dato di fatto che pare non possa mai essere messo in discussione. Una sorta di fenomeno naturale (e quindi) oggettivo, per cui, ad esempio, si parla di leggi di mercato e non di strumenti di mercato che l’uomo, almeno in linea di principio, può scegliere o meno di usare. Le leggi non comportano scelte etiche, gli strumenti sì! Gli effetti di questa accettazione acritica sono una sostanziale mancanza di speranza, la sfiducia nella possibilità di immaginare modelli di comportamento alternativi e quindi nel desiderio di operare per costruirli.

Chi decide la rotta
Dobbiamo riconoscere che non siamo innocenti, ma corresponsabili, sempre, di tutto il male che si produce. Anche se non siamo stati noi a volerlo. Perché non abbiamo fatto, non facciamo mai abbastanza per evitarlo. O per combatterlo. Con tutte le nostre forze. Quante volte siamo complici, senza accorgercene, per pigrizia, per prudenza, per assenza, per indifferenza, per calcolo o per disperazione. Intervenire, agire, reagire, in difesa del debole, costi quel che costi. E capire che spesso il più debole è proprio il deviante: vittima con noi, come noi, più di noi, di un sistema di potere che umilia e offende l’umano. Sistema di connivenze, di convenienze, di omertà, di tacitazioni utilitarie. Di diffusa, infinita, stomachevole vigliaccheria. O di rassegnata inerzia.
Non ci riguarda quello che accade nella porta accanto? O all’angolo della strada? Non ci coinvolge? Eppure, per i nostri bisogni sacrosanti siamo pronti a scattare e a dilaniarci come belve. Ma per faccende d’altri, no. Rifiutare la vita come dono, comporta il rifiuto della responsabilità, il centro diventa l’io, non la Verità.

Oltre i confini del nulla
Nel libro La storia infinita, di Micael Ende, il guerriero Atreius, per liberare il regno di Fantasia dal Nulla che lo sta per distruggere, deve affrontare diversi pericoli. Il maggiore di questi è costituito da un misterioso specchio. In passato, chiunque si era proiettato su di esso, era fuggito terrorizzato, o era impazzito. Quando Atreius chiede cosa vi sia di così terribile nell’immagine di quello specchio, gli viene risposto che lo specchio magico rimanda sì l’immagine di chi vi si pone davanti, ma ha il potere di mostrare anche i lati più nascosti e reconditi dell’uomo che vi si riflette, e questa è stata una cosa insopportabile per chiunque.
Atreius riuscì a superare la prova dello specchio perché era una persona pura e il regno di Fantasia fu salvato.

Gli spazi della fantasia
Ritengo che questo sia il traguardo da raggiungere per ognuno di noi… L’uomo ha paura del diverso perché in realtà ha paura di se stesso. Quando, come Atreius, sapremo superare la prova dello specchio, saremo anche in grado di accettare gli altri e le altre culture, senza timori e paure.
Solo chi mette a repentaglio il proprio spazio e ne fa terreno aperto, indifeso, senza confini e senza poteri consolidati. Solo chi riesce in questa provocazione continua di se stesso fino a soffrire di qualsiasi luogo chiuso, di rapporti ripiegati a reciproco interesse, di coltivazioni del proprio – a volte vasto e ricco – orticello.
Solo chi ha il cuore leggero e non ha fretta di ritornare nella propria casa non ha il timore del buio della sera. Solo questi può salire la montagna e scorgere al di là terreni nuovi, rallegrarsi perché la piccola panca sull’uscio, il pozzo e l’orto augusto sono ora di fronte, laggiù nella pianura e non più sulla strada di ieri, lasciata alle spalle.

Coltivo la rosa bianca
Il villaggio Macondo, come i suoi campi, sono sempre oltre. Appartengono al respiro vastissimo di chi coltiva una rosa ed è come se gli fiorisse l’universo.
Ecco, amici, il dovere del rischio che viene dal non dare per scontato ciò che si è, ciò che si fa, ciò che si ha. Anche la vita più nascosta, più umile, ha bisogno di essere verificata e misurata sull’utopia. E lasciare che un raggio di luce vivifichi il quotidiano vuol dire abbandonarsi alla spaziosità senza confini ed assaporare la pace.

Alex, un seme sottoterra
L’estate ci ha portato via un amico, il quale spesso si domandava dove abitasse la sua fedeltà: Alex Langer. Con la sua coscienza disubbidiente viveva lontano dai palazzi di potere, continuando sempre però a costruire ponti tra gli uomini, le razze e i popoli. La sua partenza, nel modo in cui è avvenuta e per gli interrogativi che ci ha lasciato, merita rispetto e tenerezza. Ora la terra in superficie è più povera, ma un altro seme ha scelto di essere fecondo.

Da Sarajevo a Sarajevo
Quanto sta avvenendo nel mondo sembra purtroppo concorrere a far rinunciare alla speranza. Continuano le devastazioni e gli orrori nella ex Jugoslavia, in Ruanda, in Cecenia, senza dimenticare l’Algeria, il Sudan del Sud e il terrorismo che ha ripreso vigore anche in Francia e in Giappone, non fermandosi mai in Palestina.
Un panorama di atrocità che lascia sgomenti ed annichiliti. Il secolo è iniziato con nazionalsocialismo sanguinario a Sarajevo e con lo sciovinismo sanguinario a Sarajevo termina. Una civiltà che in cento anni non è riuscita ad imparare niente, non merita niente.

Procedere a piccoli passi
Sarebbe una semplificazione insensata pensare che ci sia una soluzione radicale definitiva. Ma non per questo possiamo costringerci alla rassegnazione. L’uomo procede per obiettivi parziali.
È indubbio che c’è nel mondo una crisi di solidarietà. Il parlarne può sembrare un luogo comune, però si tratta di una amara verità che, per un verso o per un altro, riguarda tutti, quelli che dovrebbero dare solidarietà e quelli che necessitano di riceverla. O meglio, tutti noi abbiamo bisogno di ricevere e di darla. “La solidarietà – scrive Dom Pedro Casaldaliga – è un mistero di reciprocità fraterna ineludibile”. E aggiunge: “Per i poveri è notte, ma di vigilia e di vigilanza, di riflessione e preparazione. Quello che occorre fare è studiare il suolo reale del neoliberalismo, individuarne le crepe, ovvero le contraddizioni e su quelle far leva per dissodare il terreno e prepararlo alla crescita del germoglio”.

Lasciare alle spalle il definitivo
Conoscere la realtà, farcene carico. Chiamare sempre la realtà mutevole con il suo nome. Abbandonare la nostalgia del passato che non tornerà. Altra è la nostra memoria, altra la consapevolezza.
Scrive Thich Nhat Hanh, vietnamita (cfr. Essere pace): “Promettimi oggi, mentre il sole sta appena nascendo, che anche se ti abbatteranno con una montagna di odio e di violenza, promettimi che ricorderai che nessun uomo è nostro nemico… Con l’odio non si potrà mai affrontare la bestia che è nell’uomo. Invece un giorno quando affronterai da solo questa bestia col tuo coraggio intatto, il tuo sguardo gentile, dal tuo sorriso sboccerà un fiore…”.

Le sirene della protezione
La scienza mondana ci dirà: “Difenditi… perché le vie, i tracciati del mondo, sono incompatibili con la non-violenza, la solidarietà”. L’anima dovrà allora respirare alto, riscoprendo la libertà dentro da ogni impulso reattivo, da ogni autodifesa, perduti.
Psicologi, avvocati, assistenti sociali ci convinceranno a rientrare nella logica clinica, politica, civile, che non è quella del perdono disarmato, dell’amore che non arretra. Perdere dal punto di vista del mondo è la vittoria dell’amore.

Il punto di partenza
Arrivato a questo punto, la stessa parola volontario o missionario mi sembra debba assumere significati diversi. Siamo tutti eredi di un concetto di missionarietà che espande sì l’amore, ma dove l’amore è stato interpretato nella luce del pensare oggettivante. Amore sarebbe, cioè, costruire il nostro Dio sugli altri, assumendo gli altri dentro il nostro amore. Anche l’amore allora può diventare violenza, può diventare colonialismo, può diventare espansionismo. Soprattutto poi, e questo è più facile, ci si convince, contro l’evidenza biblica, che l’amore cominci da noi. Il più grande dogma biblico, invece, è che l’amore esiste prima del nostro amore. Noi non cominciamo a generare l’amore, ma, amati, nell’amore, amiamo.

Prima di noi
L’amore ci trascende. E, forse, il nostro difetto è quello di ergere la nostra soggettività del pensare e dell’amare in termini di inizio assoluto, per cui tutto il resto sarebbe solo oggetto, qualcosa di costruito, di messo assieme o, addirittura, di creato per espansione.
Il problema del futuro sta proprio in questo: nel concepire l’unità e la cattolicità a partire dalla diversità dei soggetti e dalle culture altre, diverse.
Pove del Grappa (Vicenza), settembre 1995