L’odio universale

di Kettmajer Michele

Dall’arrivo dei social network, grandi media di divulgazione globale di ogni pensiero umano, pare che l’odio nel mondo sia aumentato: odio verso il diverso, verso i migranti, verso l’altro schieramento politico, verso il non amico o il non follower. L’odio verso il singolo e l’odio verso un gruppo. È un’affermazione plausibile?

L’odio amplificato

Non credo che oggi ci sia più odio di quanto non ce ne fosse nei secoli scorsi. Anzi, sono convinto che oggi ci sia meno odio tra le persone. Certo è visibile molto più di un tempo. Ma cosa non è più visibile oggi di come lo era solo 50 anni fa? I social amplificano qualsiasi cosa passi nel loro streaming di notizie, emozioni, informazioni, cultura, la foto del gatto del vicino. Passa tutto e tutto prende una dimensione enorme senza filtro. Compreso l’odio. Siamo un’umanità che non è preparata a gestire l’amplificazione dell’odio. L’odio universale non ci appartiene e fatichiamo a vedere gli strumenti per combatterlo. Come prepararsi a gestire questa amplificazione dell’odio è compito di ognuno di noi. Ma come?

Che l’odio esista dalla notte dei tempi è stato dimostrato ormai qualche anno fa da numerosi neuroscienziati, tra questi Semir Zeki, un neurobiologo dell’University College di Londra che, nel 2008, attraverso le immagini del cervello ottenute con la risonanza magnetica funzionale (FMRI), ha potuto dimostrare come esista un unico pattern di attività del cervello collegato all’odio, ben distinto da quello di altre emozioni. Le immagini del cervello mostrano come ci siano alcune zone che si illuminano più o meno intensamente a seconda degli stimoli a cui il soggetto in esame è sottoposto. L’odio in gran parte è una reazione chimica del nostro cervello davanti a determinate condizioni o scelte da fare. Provare a ridurne la forza e magari la quantità rimane una grande sfida.

Se partiamo dal presupposto che la maggior parte dell’odio è amplificata nei social network, dobbiamo provare a capirli e forse a frequentare quelli un po’ più civici. Partendo dal riconoscere che qui e oggi i social e l’intelligenza artificiale non sono mezzi che usiamo a nostro piacere, sono delle decisioni. Decisioni prese nei nostri confronti prima che spetti a noi sapere cosa fare. Sono delle decisioni preliminari. Sono determinate da chi le fa e da chi le possiede. «Code is law» scriveva Lessig, uno dei padri del web, in un bellissimo articolo del 2000. Il codice, che crea e organizza le piattaforme digitali, definisce i termini e le modalità con cui noi abitiamo il mondo digitale.

Incapaci di stare al passo del digitale

L’insieme della tecnologia digitale è il nostro mondo, ma il mondo è un’altra cosa. La rivoluzione digitale ha creato questa asincronizzazione, il dislivello prometeico, come lo chiama il filosofo Anders, conosciuto purtroppo solo per essere stato un marito di Hannah Arendt, tra anima e tecnologia. E l’anima rimane sempre più indietro mentre il digitale corre, aiutato dalla globalizzazione che non conosce i limiti del tempo e dello spazio. Non siamo sincronizzati.

Siamo l’umanità che arranca rispetto all’avanzare del digitale e dei suoi derivati partendo dal web e dall’internet delle cose. E non abbiamo i mezzi per recuperare.àSiamo incapaci di stare al passo, sempre ammesso, e non ne sono per nulla convinto, che sia l’anima a dover recuperare. Siamo scimmie che per darsi un tono, per dissimulare questa condizione di inferiorità rispetto alla tecnologia, teniamo in mano tutto il giorno uno smartphone, abitando sempre più i social, scaricando app spesso inutili. Siamo così a servizio dei social network che qualche anno fa il piu grande di tutti, Facebook, ha fatto un esperimento su qualche milione di account inserendo notizie negative in ogni pagina degli utenti ignari. Alla fine dell’esperimento gli utenti, a loro volta, erano diventati molto più negativi e pessimisti. Nulla vieta che domani l’esperimento sia fatto con l’odio, con il male o con qualsiasi altra emozione.

Ci serve un rifugio ospitale

Il meccanismo è terribile e noi ci siamo dentro. C’è bisogno nel virtuale, di un luogo terzo. Il luogo terzo è tutto da costruire, da edificare. Deve essere un luogo frequentato in maniera civica, consapevole e responsabile. Un luogo dove viene riconosciuto il valore dell’impegno delle persone nella cura del bene comune, dove viene riconosciuta la loro mitezza, la loro disponibilità, la loro sapienza e il loro senso del dono. Gli altri social continueranno a fare quello per cui sono stati legittimamente sviluppati, il profitto. Continueranno a generare potere. Nel luogo terzo ci sarà potere, ma sarà il potere della misericordia. C’è spazio per un web generativo di buone idee, di buone pratiche, dove la gratitudine, la relazione con l’altro e il dono sono nuovamente importanti e il loro senso è quello delle parole con cui sono nate. L’amore spesso si trasforma facilmente in odio e quasi mai quest’ultimo si trasforma in amore. L’odio non può essere spiegato ma sconfitto con il dono che Cristo ci ha fatto nella crocifissione.