MELQUÍADES

Articolo di Paolo D'Aprile

Música brasileira: capitolo 13

È come se fosse un disperato desiderio di immortalità: o tutto, o niente. Ignoro come sia il processo di composizione. So che è un contrappunto tra l’uomo nella sua intera dimensione e il cosmo. Dove il filosofo fallisce, il musicista ci arriva quasi per intuizione in un processo naturale apparentemente senza nessuno sforzo, come se si affacciasse alla finestra e lì rimanesse per ore e ore, fino a fondersi con la materia stessa dell’universo, senza un filo conduttore che non sia altro che il vento, la successione orizzontale delle note, e quella verticale dell’armonia. Verticale non in senso figurato, ma pratico: le note degli accordi sono scritte una sull’altra e non una dopo l’altra. Come una pietra frantumata la cui polvere è lanciata: polvere di pietra, fumo, aria. La solidità dell’immanente che si sfalda per la sua stessa leggerezza. L’esperienza personale diventa così universale. Una volta che la polvere vola nel tempo, diventa essa stessa tempo. L’individuo è infinito, l’uomo infinito, musica infinita. Si può comprendere senza capire: è necessario che la realtà e la irrealtà siano congiunte per portare la poesia fuori dal labirinto della mente dove, solamente lì, l’uomo vince la battaglia contro la bestia che è in lui.

Parte dello spartito di «Vera Cruz» di MIlton Nascimento | CC BY-SA 3.0

Forse, solamente Gustav Mahler arrivò a una concezione musicale totale. Partì da Wagner e dalle innovazioni armoniche, l’uso dei cluster (gli accordi suonati a piene mani come un bambino la prima volta che si siede al pianoforte) e arrivò ai silenzi riempiti di armonie delle sue colossali sinfonie, ai lunghi sibili con cui spesso si concludono le loro lunghissime frasi. Malher scelse la via del dolore e della sofferenza, descrisse la sua vita fatta di addii e morti. Ma la nostra musica è differente. La nostra morte è morte collettiva, è tragedia di popolo, è oppressione fisica, personale perpetrata ogni giorno nelle relazioni personali tra un padrone onnipotente e uno schiavo ubbidiente. E non certo in senso figurato: basta entrare nelle nostre case ed assistere a come si tratta la donna di servizio, il portinaio, la cameriera. E poi uscire per la strada: le file enormi davanti agli sportelli pubblici, la tragedia dei nostri ospedali, delle nostre scuole, dei nostri figli abbandonati a se stessi. La semplice azione dell’uomo è stata sotterrata da usi e costumi imposti, frequentemente importati da coloro che credono e fanno credere attraverso il loro potere che ogni cosa venuta da fuori sia migliore e superiore a tutto ciò che qui si produce. E non si tratta solamente di merci o manufatti, ma di stili di vita, comportamento, filosofia, modo di pensare e interpretare il mondo. Qui risiede il grande divario sociale che condanna il nostro paese al ruolo subalterno, in primo luogo verso se stesso, nei confronti della sua storia e della sua gente, poi verso un mondo impostato sullo sfruttamento, sia della mano d’opera a costi irrisori, sia delle risorse culturali, da trasformare immediatamente in intrattenimento usa e getta. È questo il punto di non ritorno: o si soccombe definitivamente o si resiste con quello che si ha di meglio. La nostra stessa singolare e peculiare natura, il modo come siamo, come pensiamo, camminiamo, parliamo, cantiamo. La musica, pitagorica invenzione di divisione temporale nello spazio di una corda fatta vibrare, diviene nelle nostre mani il canto della nostra terra, diventa Milton Nascimento.

La musica, terra in movimento, polvere nel tempo, è fatta di ritmo popolare, sofisticazione jazzistica, canti contadini, suite erudite, e di ogni altro elemento che il genio umano possa produrre. Mai nessuno come lui ha saputo cantare il sogno della terra, il volo degli uccelli, la luce del sole e quella delle stelle. Si fa conoscere nazionalmente durante i famosi festival a cui partecipavano i tropicalisti e i gruppi del nuovo rock brasiliano, e subito ci si accorge che quello da lui intrapreso forse è l’unico vero cammino musicale realmente originale: non samba, non folclore, non musica di protesta, non rock, non jazz, non virtuosismo, non stereotipi musicali brasiliani che ormai contaminavano la musica mondiale riducendo tutto ad un orrendo cha-cha-cha dal vago sapore esotico. No, niente di tutto questo: solamente un canto. Solto a voz nas estradas já não quero parar… sonho feito de brisa… vão fechar o meu canto, vão querer me matar, Libero la mia voce per le strade e non voglio fermarmi… in un sogno fatto di brezza… vogliono azzittire il mio canto, vogliono uccidermi.

MIlton Nascimento | foto di livepict.com | CC BY-SA 3.0

Un anno dopo venne promulgato l’Atto Istituzionale n. 5 di cui parlavamo nel capitolo precedente! Milton Nascimento, con le sue canzoni dalle melodie aperte e dalle armonie che lasciano spazio a infinite sequenze di accordi difficilmente usati nella musica popolare, canta lo stato di Minas Gerais alla stregua di un equivalente musicale di Guimarães Rosa, autore del romanzo Il Grande Sertão. Il libro narra la storia dell’incontro tra l’universo magico e il reale, tra la leggenda e la storia. Il suo linguaggio è quello del neologismo arcaico, dell’invenzione linguistica su basi dialettali, un po’ come ha fatto l’autore italiano Stefano D’Arrigo nel suo monumentale Orcynus Orca.

Milton Nascimento usa le infinite risorse ritmiche della musica, dei Tambores de Minas, i tamburi di Minas. Non samba non folclore non jazz non…

E subito i grandi del mondo si accorgono delle sue armonie, delle sue modulazioni, della sua straordinaria voce e lo chiamano per dischi memorabili, non jazz non rock non folclore ecc…

Ponta de Areia: una specie di ninna nanna, antica cantilena… oggi suonata in tutto il mondo dai più grandi, come la stupenda Esperanza Spalding, primadonna del jazz.

Gli anni settanta, gli anni della repressione bisognava affrontati a muso duro. Parole vere vissute sulla propria pelle, cantate dalla incredibile voce di un artista unico, ma sentite nel cuore di una intera nazione: mande notícias do mundo de lá, mandami notizie dal mondo di là… imploravano piangendo migliaia e migliaia di esiliati

E quando la poesia si trasformo in rabbia: i sussurri, i sottointesi non bastano più, troppi i morti, troppi gli scomparsi, troppa la sofferenza, troppo il sangue versato e quello ancora da versare. Era inevitabile che i due colossi della musica brasileira si incontrassero, scrivessero e cantassero insieme. Partendo dalle parole del Condannato nel suo momento più umano, Chico Buarque e Milton Nascimento riescono a creare con la parola Calice, il verbo imperativo Cale-se, Stai zitto! Taci! La canzone pur parlando di morte e disperazione è paradossalmente un inno alla libertà, al desiderio di riscatto. Pai afasta de mim este Calice, padre allontana da me questo calice, dice il solista mentre il coro ripete Cale-se, Stai zitto. Calice e Cale-se, si pronunciano allo stesso modo e quindi si confondono, il calice della sofferenza del Figlio dellUomo e l’ordine perentorio del potere assassino. Non più una canzone, non una poesia non…, ma la voce di un continente.

In questo video si può vedere il momento in cui la censura spegne i microfoni e non permette neppure di cantare la canzone con il Là là là, come farebbero i bambini: CALE-SE! TACI. Ma l’arte non “se cala”, l’arte non può, non riesce a tacere neanche quando glielo impongono, l’arte va oltre ogni barriera, attraversa gli oceani e il tempo così come hanno fatto gli spagnoli e i portoghesi addentrandosi in mari sconosciuti e arrivando nelle profondità delle Americhe fondate con il sangue e il cuore degli uomini. I sogni dei colonizzatori presenti nei marmi delle chiese di Minas Gerais e delle sue città storiche testimoni dell’opulenza fondata sull’oro, rivivono nella sofisticate armonie senza tempo di Milton Nascimento. Con i suoi amici di sempre incide un disco fondamentale: Club da Esquina. Esquina è l’incrocio di due strade: Club dell’Angolo di Strada. Da allora è pieno di musicisti di tutto il mondo che vengono in Brasile per sapere dove sia questo famoso club in cui si suona una musica così opulenta e allo stesso modo rarefatta, come le volute barocche che si perdono nell’infinità di una cattedrale (non jazz non samba non pop non rock…).

Le armonie complesse, costruite con la sapienza dei grandi, cantate con la semplicità con cui si canterebbe un girotondo, trasformano il marmo delle cattedrali barocche in riccioli di nuvole.

Da Minas Gerais al mondo. La sua musica: da pietra dura a polvere dei sogni a cui tutti siamo invitati a partecipare in un canto corale in cui il passare del tempo viene sospeso, interrotto e abolito per sempre.

Milton Nascimento!

I collegamenti rimandano a video Youtube

Paolo D'Aprile

Paolo D'Aprile

Libero pensatore, ha scritto sia per Macondo che per Pressenza. Vive a São Paulo do Brasil.