MELQUÍADES

Articolo di Paolo D'Aprile

Música brasileira: capitolo 15

La “forma canzone” è comune a ogni paese e a ogni cultura. La canzone francese, quasi parlata, recitata, si scioglie in melodie facili da canticchiare sottovoce. Quella italiana, figlia dell’aria operistica, strappa il cuore ad ogni do di petto, ad ogni za-zà finale. La canzone americana, quasi un musical, con le sue gambe lunghe e inquiete ha la necessità di Liza Minelli o di Fred Astaire, di Frank Sinatra e Ella Fitzgerald per darle la dovuta serietà. Insomma, la canzone, con la sua forma caratteristica di enunciato, ritornello e finale, la trovi un po’ dappertutto. Anche in Brasile. Le grandi canzoni della bossa nova, aggiungono la sofisticazione armonica e le difficoltà melodiche a un formato già istituzionalizzato in tutto il mondo.

Un tipo di musica dalle caratteristiche nazionali uniche e irripetibili tout-court è il chorinho che abbiamo già ascoltato con Pixinguinha. A partire da questa libertà compositiva, una libertà mantenuta a freno da rigidi schemi armonici e melodici, nasce la musica strumentale brasiliana. Gli americani, tra l’indignato e l’ammirato, dicono “it’s not jazz”, non è jazz. E hanno ragione, è proprio così: non è jazz. È musica strumentale brasiliana. Il mondo del jazz ne viene sconvolto, sembra che dicano: come è possibile una musica strumentale in cui l’improvvisazione e il rigore armonico possano convivere senza l’amalgama del Blues? Come è possibile che si possa non dico suonare, ma semplicemente pensare, inventare un tipo di linguaggio che non prevede l’uso della tradizione nata a New Orleans?

Sul retro della copertina si elencano, tra i musicisti e il loro relativo strumento, tra partecipanti alla registrazione, uno sciame di api e un asino con il suo caratteristico ragliare. Neanche i Beach Boys nello storico LP Pet Sound (suono animale) si spinsero così lontano. Infatti i “suoni ambiente” di quel disco, registrati appunto, nell’ambiente circostante la sala di incisione, si limitavano a semplici effetti sonori, una spruzzata di colore in più per una musica destinata ad influenzare perfino i Beatles. Per lo sciame di api e l’asino è però è tutta un’altra cosa: vengono nominati accanto al batterista e il bassista, alla pari tra il sassofonista e le ragazze del coro, veri e propri esecutori di suoni, di musica. Tra le sue mani qualunque cosa, strumento convenzionale, oggetto domestico, animale di fattoria, evento naturale, tra le sue mani qualunque cosa diventa musica. Animale da fattoria sì, certamente. E anche un pappagallo. Perfino la narrazione radiofonica di una partita di calcio, di un gol, è capace di diventare una mini composizione. La voce del  cronista viene intesa come un solista degno di essere accompagnato da un harmonium, con tanto di accordi “gregoriani” e modulazioni jazzistiche.

Siamo davanti a una figura umana e artistica tra le più interessanti del panorama musicale mondiale. Dico mondiale perché fin dagli anni cinquanta chiamò l’attenzione su di sé. In primo luogo per l’aspetto singolare: basso ai limiti del nanismo, albino, i capelli bianchi e quasi crespi lunghi fino ai fianchi; poi per la sua enorme capacità musicale in grado di dominare qualsiasi strumento, dal piano, al flauto, dalla chitarra al maiale. Sì perché un giorno suonò anche un maialino, nel senso che lo tenne in braccio e al momento giusto, con un innocente pizzicotto, lo faceva grugnire a tempo. Arrivò ad incantare perfino Miles Davis (quel Miles Davis, che esonerò Bill Evans perché secondo lui non sapeva suonare il blues!) che lo volle con sé per i suoi dischi più radicali. Insomma, parliamo di Hermeto Pascoal

Hermeto Pascoal | foto di Schorle | public domain

È l’intero disco con cui “o grande bruxo”, il grande stregone, si presentava al pubblico americano e, come unica concessione, i titoli delle composizioni sono tradotti in inglese. Unica concessione. Perché il resto è come uno scavo archeologico nella musica brasileira, uno scavo fatto da un missile supersonico. La modernità del linguaggio musicale che affonda le sue radici nei ritmi ancestrali, nelle concezioni musicali regionali dell’interno dello stato di Pernambuco, la sua terra di origine. Altro che jazz!

Ecco un altro suo disco strepitoso, ascoltiamo per lo meno le prime due composizioni, la musica più radicale costruita sui ritmi antichi accompagnata dagli animali della fattoria, maiale compreso. Il disco si conclude con una composizione capolavoro, “Briguinha de músicos malucos no coreto” Piccola discussione di musicisti pazzi nel “coreto”. Il “coreto” è una specie di pergolato rialzato, un palco circolare coperto da un gazebo, posto al centro di tutte le piazze in ogni paesino dove la domenica vi suona la banda municipale. La composizione in questione racconta appunto una piccola litigata tra i musicisti pazzi. L’unico compositore che tentò qualcosa del genere fu Charles Ives nella sua quarta sinfonia, quando descrisse l’incontro di quattro bande musicali mentre arrivano dai quattro lati della piazza. Hermeto suona il tema al piano accompagnato all’unisono da un sax, poi lo ripete lentamente, mentre i musicisti pazzi invece continuano alla velocità originale in un inferno poliritmico che alla fine si risolve con un mutuo accordo e porta la musica al parossismo, come un manicomio sonoro in cui tutti parlano e cantano insieme. Ascoltiamo.

Ogni suo disco è l’omaggio alla sua terra, la sua gente. Ma è anche un dichiarazione di amore alla musica in sé, al suono, all’armonia, alle modulazioni tra gli accordi, al ritmo e ai suoi repentini cambiamenti, a tutto quello che i musicisti sono capaci da fare. Le sue presentazioni non sono concerti, ma veri e propri happening musicali in cui anche il pubblico partecipa attraverso il battito delle mani, dei piedi, alzandosi o sedendosi, dondolando di qua e di là, seguendo gli ordini di un direttore impazzito, quasi nano, albino, mezzo cieco, come se il pubblico stesso fosse una orchestra o quel maialino fatto grugnire a tempo. Hermeto sul palco, passa dalle tastiere elettroniche alla fisarmonica, dal piffero di legno alla chitarra classica come un folletto indemoniato. Un incontro storico tra il grande stregone e Elis Regina, dove la più famosa canzone brasiliana viene sbriciolata dalla voce drammatica della cantante e ricostruita dagli accordi impossibili di uno straordinario uomo-musica, un uomo fatto di musica, Hermeto Pascoal.

Dice la leggenda che il giovanissimo Egberto Gismonti si recò da Tom Jobim. Seduto sotto un albero ascoltava la musica della natura. Maestro, disse, ho vinto una borsa di studio del conservatorio di Vienna. Cosa mi consiglia, cosa devo fare? 

Egberto Gismondi | foto di Ministerio de Cultura de la Nación argentina | CC BY-SA 2.0

Tom Jobim lo chiamò a sé e rispose: “se parti, diventerai un grande concertista. Se invece resti diventerai il più grande musicista del mondo”. “Come? In che modo?” “Basta che ascolti intorno a te… senti… ascolta…” Si trovavano al Jardim Botânico di Rio, il luogo preferito del Maestro per riposare e pensare la sua musica. Uccelli di tutti i tipi dialogano con le scimmie, un paradiso tropicale nel centro di Rio, dove il vento e il Cristo Redentor a due passi costruiscono leggende. Egberto Gismonti rimase. Diede addio alla carriera di grande concertista classico. Ascoltò la voce della sua terra, degli uccelli, del vento, dei bambini, del Cristo Redentor, delle montagne del suo paesello di origine. Sì, va bene, studiò in Francia con i più grandi professori, ma la storia del dialogo con Tom Jobim è molto bella per essere solo una storia. Oggi, diventato lui stesso Maestro, le sue composizioni si studiano nei conservatori di tutto il mondo da Rio a Roma, in uno soffio universale che unisce le genti.

Lo spirito fantastico è la sensazione che forma il corpo dell’anima, si nasconde nell’interiorità e governa l’essere dal di dentro, prima timidamente poi facendolo suo, trasformandolo in bellezza, amore, arte, musica. I cinque sensi non sono più i cinque sensi ma lo strumento per il quale la natura, penetra negli uomini e li rende migliori, una voce che in silenzio dice: coraggio, basta poco. Lo spirito fantastico diventa quindi l’unico dei sensi ad essere realmente perfetto in ognuna delle sue parti, senza intermediari, essenza dell’anima, scintilla di Dio.

Per tutti gli anni settanta e ottanta i sui dischi fanno innamorare il mondo e Egberto Gismonti, polistrumentista, virtuoso della chitarra e del piano, ne produce in grande quantità. Incide per la prestigiosa casa discografica ECM accanto a personaggi del calibro di Charlie Haden e Jan Garbarek. Hanno detto che è il suo è il suono più bello dopo il silenzio e io sono d’accordo.

La sua musica trascende il tempo e lo spazio, trascende lo stesso musicista che la esegue in quel momento, è l’incontro definitivo tra il significante e il significato, è suono, è storia raccontata, vita vissuta e vita da vivere. 

Frevo, si intitola questo pezzo. Ma con tutti questi accordi, questi ritmi, questo intrecciarsi di melodie, dov’è andata a finire la danza di Recife?

Eppure è tutta lì, in quegli accordi, in quei ritmi, in quell’intrecciarsi di melodie, è tutta lì. Tom Jobim lo sapeva e lo disse al giovane Egberto. Resta, ascolta il tuo paese, gli alberi, gli uccelli, il vento, il mare, i grandi spazi, lì c’è tutto. Come le statue di Michelangelo erano già nel marmo, così la sua musica c’era già, c’è già. Bastava solo ascoltarla, bisognava solo che lui la suonasse. Egberto Gismonti è la più calda e femminile delle parole: SÌ.

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Paolo D'Aprile

Paolo D'Aprile

Libero pensatore, ha scritto sia per Macondo che per Pressenza. Vive a São Paulo do Brasil.