MELQUÍADES
Música brasileira: capitolo 14
Avenida Pres. Vargas. Basta dare una occhiata alla mappa di Rio de Janeiro per capirne l’importanza. La strada è una arteria fondamentale che lega il centro della città al resto. Pres. Significa presidente. Avenida Presidente Vargas. Getúlio Vargas è il personaggio fondamentale della storia del 900. Prende il potere nel 1930 attraverso uno dei tanti colpi di stato della prima metà del secolo. Per quindici anni governa con mano di ferro, anche se sostenuto da un manto di legalità costituzionale. Amatissimo, il popolo lo considera “o pai dos pobres”, il padre dei poveri. Mentre nei sotterranei del potere marcivano gli oppositori, tra cui molti esponenti del partito comunista, altrettanti erano costretti all’esilio. Responsabile per la politica assistenzialista più bieca, è l’autore delle leggi che tutt’ora reggono i rapporti nel mondo del lavoro. Garante dei diritti dei lavoratori, Getúlio viene perfino eletto presidente con il voto popolare nel 1951. Travolto dagli scandali, tra cui l’accusa di essere il mandante di attentati contro i principali leader dell’opposizione, si uccide nel suo ufficio con un colpo di pistola al cuore. Lascia una lettera testamento in cui dice profeticamente: Deixo a vida para entrar na história, lascio la vita per entrare nella storia. Ai suoi funerali accorre una folla mai vista. Lo si piange come padre della patria, lo si venera come un santo popolare. A lui si intitolano strade, piazze, scuole. Col suo nome si battezzano i bambini. Ammiratore di ogni dittatore europeo degli anni trenta, da Franco a Hitler, ma soprattutto emulo di Mussolini di cui cercava di imitarne la pompa con grandi manifestazioni di massa, venne collocato con le spalle al muro dagli americani. O stai con noi o contro di noi, gli dice Roosevelt. Le coste del Brasile, la sua posizione strategica, facevano ovviamente gola a tutti. Per non farsi un nemico così potente, Getúlio Vargas, abbraccia l’America che, per una questione puramente geografica praticamente era già in casa. Il nord est pullulava di basi militari, e con questo il Brasile si garantiva il petrolio e i vari prestiti impagabili per il suo futuro, e mai avvenuto, sviluppo industriale. I soldati brasiliani parteciparono alla campagna d’Italia e aiutarono gli alleati nella loro avanzata contro l’Asse. In alcune città sull’Appennino tosco emiliano, furono proprio loro i primi ad arrivare. Se con una mano Getúlio squartava gli oppositori, con l’altra iscriveva il nome del paese nello scenario internazionale. Fu lui ad istituire i diritti dei lavoratori, a garantire il rispetto dei contratti di categoria, a introdurre la giornata di lavoro con orario fisso e stipulato in precedenza e soprattutto fu lui a definire e garantire il “salario minimo”: una quantità fissata dallo stato, il limite minimo di qualunque stipendio e che il datore di lavoro deve rispettare. Fino ad oggi il salario minimo è la base di ogni calcolo in ogni vertenza sindacale sia per quanto riguarda gli stipendi che le pensioni. Si può capire quindi il tipo di rivoluzione che tutto questo comportò in un paese feudale come il Brasile di quegli anni, in cui il lavoro era un favore che il padrone faceva al suo dipendente, e lo stipendio una concessione una tantum, che dipendeva esclusivamente dalla buona volontà di chi lo elargiva.
Alleandosi a filo doppio con gli USA permise di fatto una nuova colonizzazione. Il paese venne inondato di prodotti americani e smise di produrre i suoi. Di conseguenza arrivarono anche i prodotti europei, soprattutto le automobili. Basta pensare che fino ad oggi la nostra industria automobilistica è composta esclusivamente da marche straniere, europee, americane e giapponesi, magari prodotte e montate qui a costi minimi per la casa madre. Fino a ieri, quale operaio brasiliano poteva comprarsi la macchina che lui stesso aveva costruito? Oggi la situazione è cambiata, il livello di reddito è aumentato molto, ma il Brasile continua senza una industria automobilistica nazionale, anzi senza una industria nazionale che non sia quella dell’estrazione di materie prime. Tutto grazie a Getúlio Vargas e ai suoi successori, passando per le giunte militari fino ad arrivare ai giorni nostri.
Quando dipendevamo dall’America volevamo che questa ci riconoscesse non solo come un mercato da inondare di schifezze ma soprattutto come espressione culturale degna di attenzione. Creammo così una immagine capace sia di attirare l’interesse che di riassumere e concentrare tutti i luoghi comuni. Carmen Miranda fu una delle grandi star di quell’epoca. Il suo aspetto esotico, i suoi vestiti, i turbanti con le banane e gli ananassi, le canzoni di Dorival Caymmi, il samba…
Ma gli americani e il mondo continuarono a non capire. Confondevano il samba con la rumba. Il samba con il calipso e perfino con il danzon cubano. Insomma, per gli americani, e di conseguenza, per l’Europa intera, da Firenze in giù tutti terroni: un unico pentolone di esotismo in cui realmente tutto fa brodo.

La povera Carmen Miranda tornò in Brasile e si dovette giustificare davanti alla nostra elite culturale che la disprezzava per essersi venduta: disseram que voltei americanizada… dicono che sono tornata americanizzata.
È una canzone stupenda in cui la grande show-girl afferma al paese la sua “brasilidade”: io suono il samba per tutta la notte, dice un verso, e l’altro bellissimo: digo eu te amo e nunca I love you, dico io ti amo e mai I love you.
Molti sono gli artisti che vogliono affermare la loro autonomia culturale in relazione alla musica venuta da fuori, specialmente quella americana. Tra i tanti cito Jackson do Pandeiro, simpaticissimo sambista che canta una strepitosa canzone intitolata Chiclete com banana. Chiclete è il nome che si dà alla gomma da masticare. La canzone ha un inedito ritmo che riesce a assemblare il forrò, il samba e il boogie-woogie. Il testo dice: “metterò il be-bop nel mio samba quando lo Zio Sam suonerà il tamborim , quando imparerà che il samba non è rumba! Allora sì, potrò mescolare il chiclete con la banana e il mio samba suonerà così… un vero samba-rock. Poi, per compensare voglio vedere lo Zio Sam con una padella in mano entrare in una “batucada brasileira” (Batucada, significa ritmo, sessione ritmica…)”. Una canzone che vale più di mille convegni di sociologia, mille seminari di politica e mille incontri tra gli addetti culturali delle ambasciate, viva Jackson do Pandeiro e siccome questa canzone ci è piaciuta molto adesso la riascoltiamo anche con la tropicalisita, bellissima e bravissima Gal Costa.
Gli intenditori avranno riconosciuto le decine di citazioni, tra le quali il riff della famosissima canzone Salt Peanats, inno del be-bop di Dizzie Gillespie…
Negli anni settanta, la musica brasileira aveva ormai creato mille strade. Il rock premeva alle porte e anch’egli venne inglobato nella famosa geleia geral, la marmellata generale in cui ormai si viveva. Il gruppo simbolo di quella musica e di quel modo di pensare, incorporò nel suo sound e nel suo stile di vita l’immaginario giovanile: os Novos Baianos. Capelloni, da far venire il voltastomaco, decisero di montare una vera e propria comune. Si viveva insieme, una enorme famiglia pidocchiosa ma dalla musica di fuoco. Tra i tanti dischi del periodo ce n’è uno che entra nella storia: Acabou Chorare Sembra proprio che il samba di Jackson do Pandeirdo si unisca con il rock di Jimi Hendrix, che la bossa nova di João Gilberto abbracci gli sberleffi dei Rolling Stones. Tutto grazie alla sapienza musicale di quei ragazzi sporchi e sudati, ma musicisti finissimi. Durò poco, poi ognuno per sé, alcuni nelle strade dell’oblio, altri nel Gotha della musica.
Ascoltiamo la prima canzone di quel famoso disco: un vero manifesto culturale delle intenzioni musicali del gruppo: “È arrivata l’ora che questa gente abbronzata mostri il suo valore… Voglio vedere lo zio Sam suonare il pandeiro… La Casa Bianca sta ballando la batucada… Brasile, scalda i tuoi tamburi, che vogliamo sambare!”
Sono tutte affermazioni di identità che oggi possono far sorridere, ma nel contesto di quel tempo assumono tutto il carattere di auto determinazione non solo brasiliana, ma di tutto il continente latinoamericano, ancora sotto il giogo di dittature militari ed economiche eterodirette. Come a dire: sì, siamo una colonia, ma…

Io danzo solo il samba, sono stanca del twist, del calipso e del cha cha chà, come dice Elza Soares. Anche in questo caso l’arrangiamento orchestrale, le citazioni di Duke Ellinghton, la voce alla Louis Armstrong…, la dicono lunga su chi comanda veramente quando si tratta di musica.
La bossa negra! Il jazz, il samba… Elza Soares, leggenda vivente della musica brasiliana, fu ed è tutt’ora una delle voci più emblematiche, in bilico tra il samba e il jazz, tra l’affermazione e l’assimilazione. La sua traiettoria è scritta nella leggenda: nata miserabile, tenta la sorte in un concorso canoro alla radio. Quando entra sul palco, il presentatore la vede così magra ed emaciata che in tono sfottente le chiede “e tu da che pianeta arrivi?” Le risate del pubblico si interrompono quando la ragazza dichiara: “dal pianeta Fame”. Elza Soares, immensa.
Il jazz, il samba, il rock: Jorge Benjor! Fin dagli anni sessanta intuì la potenza di questa esplosiva unione. Ecco quindi la musica negra americana, quella sporca, quella dei ghetti, il funky, e il samba e il rock ballabile, puro divertimento, pura meraviglia pura cialtroneria musicale, Jorge Benjor! Un verso di questa canzone il coro ripete, come se lo chiamasse il nome di: Tim Maia. E quindi lo chiamo anch’io, lo invoco. Tim Maia, mostro sacro del funky, del soul, il suono nero americano trapiantato ai tropici in un delirio collettivo, in cui la musica negra apre i suoi confini. La musica brasiliana, affermandosi come tale è capace di inglobare musica nata altrove ma che, una volta assimilata, diventa totalmente sua. Come se fosse frevo, maractu, chorinho…
Paolo D'Aprile
Libero pensatore, ha scritto sia per Macondo che per Pressenza. Vive a São Paulo do Brasil.
